DINA
DINA [Ebraico דִּינָה Dinah - giudicata (cioè, assolta; vendicata)]
Dina era figlia di Giacobbe e di Lia, settima ed ultima figlia di costei. Nata a Carran durante i venti anni di permanenza di Giacobbe suo padre al servizio di Labano, padre di Lia e Rachele. Alla fine dei venti anni di servizio, Giacobbe fece ritorno in Canaan e si stabilì a Succot, dove costruì una casa per sé e fece capanne per il gregge. Per questo chiamò quel luogo Succot (Gen 30, 21-22. 25; 31, 41).
Dopo di ché Giacobbe si stabilì presso la città di Sichem, accampandosi di fronte alla città, avendo acquistato da Camor padre di Sichem l’appezzamento di terreno dove aveva piantato la tenda e vi eresse un altare che chiamò "El, Dio d'Israele".
Mentre Giacobbe e la sua famiglia erano accampati presso la città di Sichem, la Bibbia ci dice che Dina: “uscì a vedere le ragazze del posto. Ma la notò Sichem, figlio di Camor l'Eveo, principe di quel territorio, la rapì e si coricò con lei facendole violenza”.
Ma poi dopo averle fatto violenza Sichem s’innamorò di lei e cercò di averla in sposa. Dina rimase in casa di Sichem finché i suoi fratelli germani Simeone e Levi con l'inganno non vendicarono l’affronto fatto alla sorella uccidendo tutti i maschi della città e passando a fil di spada Camor e il figlio Sichem e portando via Dina da quella casa allontanandosene (Gen 34, 1-31).
Anni dopo quando Giuseppe fece scendere in Egitto il padre Giacobbe insieme a tutta la famiglia, Dina andò con loro (Gen 46, 7-15).
Una citazione di questi avvenimenti si trova nel libro di Giuditta al capitolo 9, 2-4.
ALCUNE IPOTESI E COMMENTI SULLA FIGURA DI DINA
Interpretazione mitica secondo Graves
Secondo Robert Graves all'interno del racconto biblico è intelligibile un'altra versione del mito, probabilmente più antica della stesura della Genesi, dove Dina è gemella di Dan, primogenito di Bila, l'ancella che Rachele, supposta sterile, diede all'amato Giacobbe per concepire figli al posto suo.
Dina era forse la dea eponima di una tribù che faceva parte della confederazione di Israele, che venne sterminata in tempi remoti dalla tribù (cananea?) dei sichemiti.
Giacobbe rimprovera i due collerici fratelli, ma non ricusa il loro atto, anzi: in Gen 35, 4 Giacobbe si fa consegnare gli idoli dei sichemiti raccolti dai suoi figli e li sotterra presso una quercia. La quercia probabilmente era un albero sacro a YHWH, quindi quest'azione ha il chiaro significato di sancire la supremazia del dio degli Ebrei sugli idoli cananei.
Probabilmente il mito racconta che alcuni membri della tribù israelitica di Dan, abitanti in Sichem, officiavano riti sincretici agli idoli cananei e per questo venne sterminata da clan fratelli, i Simeoniti e i Leviti.
Poi però, senza alcun apparente motivo, Giacobbe predice la stessa fine di Dina ai due fratelli violenti. Probabilmente tale maledizione è solo la spiegazione a posteriori di un fatto storico, cioè che i Simeoniti erano scomparsi già prima dell'era monarchica. I Leviti, invece, durante l'era mosaica (Esodo 32, 25-28) si distinsero per un'ulteriore intransigenza religiosa nei confronti dei propri fratelli ebrei: per loro la maledizione della dispersione assume i toni di una "separazione" dopo aver passato a fil di spada circa tremila uomini del popolo, ricevendo l'investitura sacerdotale.
Dal blog di famiglia cristiana
Gianfranco Ravasi (Cardinale arcivescovo e biblista)
Una ragazza violentata
La sequenza di giovani donne che facciamo salire alla ribalta nella nostra rubrica, conferma quanto la Bibbia sia una storia in cui Dio rispetta la libertà umana, ma la giudica quando degenera nel peccato. Ancora una volta è in scena un crimine odioso, la violenza sessuale. Esso, come vedremo, trascina un’onda di altri delitti. Ora, però, risaliamo alle origini di Israele, al tempo dei patriarchi e alla storia che riguarda Giacobbe e una sua figlia, Dina, che egli aveva avuto dalla sua prima moglie, Lia.
La vicenda drammatica è narrata nel capitolo 34 del libro della Genesi. Giacobbe era stato costretto a migrare esule per un lungo periodo a causa dell’ira del fratello Esaù che egli aveva ingannato soffiandogli il diritto di primogenitura. Ora sta rientrando nella sua terra, sperando che la tensione col tempo si sia placata. Il clan è in marcia verso il Sud della Terrasanta e si accampa nei pressi di Sichem, una città posta nella regione centrale, la futura Samaria. Come accade ancor oggi, la giovane Dina un giorno si era recata in quella città per incontrare e conoscere altre sue coetanee e divertirsi con loro.
E là era accaduto un fatto inatteso. Forse perché straniera, la ragazza era stata notata dal figlio del principe della città, il cui nome era lo stesso di quello della città, Sichem. Era stato un colpo di fulmine: egli si era innamorato, l’aveva corteggiata e alla fine conquistata, violentandola. Dopo questo atto sessuale brutale, il suo desiderio era però di sposarla. Ma Giacobbe e i fratelli di Dina, saputa la notizia, si erano indignati per quello che essi consideravano non solo uno stupro, ma soprattutto una violazione delle norme procedurali matrimoniali dell’antico Vicino Oriente.
Nonostante la buona volontà del padre di Sichem che aveva subito aperto il procedimento per legalizzare l’unione avviando una trattativa con Giacobbe, i fratelli di Dina covavano il desiderio di vendicare l’affronto. Così escogitarono un tranello. Imposero come condizione che Sichem e i maggiorenti della città si circoncidessero, per avere un’omogeneità culturale e religiosa con loro. Il principe Sichem accolse questa proposta e convinse «quanti avevano accesso alla porta della sua città», cioè i notabili e i guerrieri perché la “porta” era il nostro municipio o palazzo comunale e di governo.
A questo punto era scattata la brutale vendetta dei fratelli di Dina, un vero e proprio delitto d’onore. Ascoltiamo il racconto biblico: «Il terzo giorno, quand'essi erano sofferenti [per il taglio della circoncisione], i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi, i fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, entrarono indisturbati nella città e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono. I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città» (Gen 34, 25-27).
Giacobbe reagì a questa strage, consapevole che sarebbe scattata la ritorsione da parte delle tribù collegate ai Sichemiti, e fu costretto a trasferirsi col suo clan altrove. Anche in punto di morte ricorderà con asprezza la violenza di Simeone e Levi: «Strumenti di violenza sono i loro coltelli… Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele!» (Genesi 49, 5-7). È curioso notare che Dina non dice una parola: è questo il segno di quei tempi (ma non solo!) in cui il maschio imperava e la donna era solo una suddita silenziosa e obbediente.
Ebraismo
Lo stupro di Dina (Dal Sito: http://xoomer.alice.it/sc/ci/scienzeantiche/directory/ebraismo/dina.htm)
Prologo
Una sola voce non viene sentita nella Bibbia a proposito dello stupro di Dina: quella di Dina stessa. Mentre i maschi discorrono e litigano e complottano fra loro e sono l'uno contro l'altro, nessuno si prenderà, briga di chiederle se preferisce sposare Sichem o vederlo uccidere. Il silenzio di Dina, così strano provocatorio, ci ricorda che l'autore biblico nasconde ben più di quanto riveli nel raccontarci questa storia.
Una sola frase ci è offerta per spiegare il ruolo di Dina in quella tragica vicenda:
Genesi 34, 1
Dina, la figlia che Lia aveva partorita a Giacobbe, uscì a vedere le ragazze del paese.
L'uscita di Dina
Dunque, "...Uscì a vedere le (Benot Hemor) ragazze del paese". Forse durante una festa locale. Ma persino questa laconica informazione ci lascia sconcertati. Per i severi studiosi della Bibbia che devono interpretare la storia di Dina, l'immagine di una donna celibe che cammina liberamente per i campi era sconvolgente e pericolosa. In effetti, questi studiosi non potevano liberarsi dal pregiudizio che la donna è per natura una seduttrice, o nel migliore dei casi, una vittima della propria vanità e curiosità. Così un antico commentatore rabbinico suppone che Dina se uscita dalla tenda paterna "ingioiellata come una prostituta"; un altro rabbino ipotizza che Sichem abbia ingaggiato una truppa di donne allegramente vestite per cantare, ballare e giocare nelle strade al fine di attirare Dina fuori dall'accampamento di Giacobbe e poterla rapire.
"Se fosse rimasta a casa, non sarebbe successo niente", dice l'omelia del rabbino. "Ma era donna, e tutte le donne amano ostentarsi per strada".
I lettori attuali ovviamente restano sconvolti da tanta misoginia. Ma i rabbini del passato, per quanto ci possono sembrare sessisti, reagivano a qualcosa che era fuori del comune nel testo stesso. Infatti che una giovane donna celibe, che viveva fra degli stranieri, si allontanasse dall'accampamento del padre e cercasse la compagnia delle donne del posto era un atto audace e coraggioso: Dina stava sfidando le norme severe strette che governavano la vita delle mogli e delle figlie dei patriarchi. Dina ha intrapreso un'azione pericolosa e temeraria, che necessitava di forza di carattere e determinazione. Dina è una donna che rigetta le costrizioni della moralità tradizionale e che afferma propria identità autentica.
L'avventura di Dina è così temeraria e rischiosa agli occhi dell'autore biblico che la fa quasi scomparire dalla propria storia. Tuttavia possiamo ancora percepire gli echi della voce di Dina nel testo del capitolo 34 della Genesi.
- Alcuni lettori sostengono che si tratta di una storia d'amore a lungo censurata piuttosto che una leggenda sanguinaria di stupro e vendetta.
- Altri affermano che i veri eroi della storia sono i fratelli armati di spada che macellano un intero popolo in nome di Dio.
A lungo trascurato e a volte perfino soppresso dai predicatori e dagli insegnanti di catechismo, Genesi 34 acquisisce nuovi significati attualissimi nel nostro mondo perturbato, dove i lontani discendenti di Giacobbe e gli equivalenti moderni di Camor ancora si scontrano in Palestina.
Lo stupro
(Un grido a distanza sveglio Giacobbe nella calura del tardo pomeriggio. L'uomo si trascinò fino alla porta per vedere cosa causava quel trambusto. Sentì grida acute di donne, e vide un gruppetto di ragazze dirette verso di lui, seguite da alcuni braccianti e, in fondo al corteo, da una o due donne più anziane, che arrancavano faticosamente dietro di loro.
"Che succede?", chiese stancamente Giacobbe dalla soglia di casa alle ragazze che si avvicinavano. Le donne mormoravano gemevano, alcune piangevano ma nessuna parlava.
"Allora?", insisté Giacobbe.
Finalmente una delle giovani, una ragazza snella dagli occhi neri che Giacobbe riconobbe vagamente come una delle serve di sua figlia, fece un passo avanti e parlò senza paura.
"Tua figlia è stata disonorata", annunciò. Poi tacque, e le grida acute delle donne raggiunse un nuovo crescendo.
"Disonorata?", chiese Giacobbe. "Cosa intendi?"
"Disonorata", ripeterà ragazza, "da uno del popolo di Camor".
"Dov'è Dina adesso". Chiese Giacobbe. "Dimmi esattamente cos'è successo".
"Siamo andate al pozzo dentro le mura della città", iniziò la ragazza. "Volevamo vedere le donne del paese che vengono riempire le giare d'acqua").
Genesi 34, 2
Ma la vide Sichem, figlio di Camor l'Eveo, principe di quel paese, e la rapì e si unì a lei e "invah" la umiliò.
Stupro o seduzione?
Nessuna delle parole ed espressioni ebraiche usate dall'autore biblico per descrivere ciò che Sichem fece a Dina viene tradotta direttamente con "stupro". La versione tradizionale della Bibbia ci dice che "la vide... la rapì, si unì a lei". Poi probabilmente con un aggiunta tardiva, viene scritta un espressione sconcertante "la umiliò". Potremmo chiederci se Sichem ha realmente stuprato Dina, o se fra il giovane principe innamorato e l'audace figlia di Giacobbe è avvenuto qualcosa di più sottile.
La parola ebraica "invah", tradotta con "umiliata", in alcune bibbie con "abusata", "deturpata", "stuprata" o "disonorata", per indicare un'esperienza "degradante e avvilente" attraverso la quale "una ragazza perde la speranza di un matrimonio completamente valido", soprattutto perché non è più vergine.
Eppure, la frase successiva afferma che Sichem è innamorato?
Genesi 34, 3
Egli rimase legato a Dina, figlia di Giacobbe; amò la fanciulla e le rivolse parole di conforto.
Genesi 34, 4
Poi disse a Camor suo padre: "Prendimi in moglie questa ragazza".
Il corteggiamento
Dopo aver riferito in una sola frase il rapporto sessuale, il narratore si concentra sulla parte fondamentale della storia: l'Ardente corteggiamento da parte di Sichem e il complesso negoziato del contratto matrimoniale. Così la Bibbia stessa lascia aperta la possibilità che quel che è successo non sia un semplice stupro.
Genesi 34, 5
Intanto Giacobbe aveva saputo che quegli aveva disonorato Dina, sua figlia, ma i suoi figli erano in campagna con il suo bestiame. Giacobbe tacque fino al loro arrivo.
La donna disonorata
La Bibbia usa qui la parola "disonorare" per descrivere ciò che Sichem fece a Dina. Il termine "disonorare" viene usato altrove nella Bibbia per descrivere relazioni sessuali proibite piuttosto che forzate, come l'adulterio di una moglie fedifraga:
Numeri 5, 12
...Se una donna si sarà disonorata commettendo un'infedeltà verso il marito.
O l'accoppiamento tra un sacerdote e una prostituta, o una donna ripudiata dal marito o una ragazza non più vergine:
Levitico 21, 7
(...I sacerdoti) non prenderanno in moglie una prostituta o una donna già disonorata; né una donna ripudiata dal marito, perché sono santi per il loro Dio.
Un riferimento al "disonore inflitto" alla figlia di Giacobbe da parte del giovane principe innamorato, potrebbe significare soltanto che i due non erano sposati quando fecero l'amore.
Certi specialisti hanno reperito nel testo biblico tracce di stupro e insieme di seduzione: la contraddizione può essere spiegata dal fatto che il filone della storia è opera di due o più autori.
Genesi 34, 6
Venne dunque Camor, padre di Sichem, da Giacobbe per parlare con lui.
Due storie
Dunque la storia biblica di Dina e Sichem, conserverebbe (almeno) due narrazioni o tradizioni separate e nettamente diverse circa la storia antica degli israeliti. La prima tradizione tramanda una storia d'amore pura e genuina: il corteggiamento di Sichem e Dina, i negoziati di matrimonio che seguirono fra i padri e le famiglie e che forse si concludevano con un'unione riuscita e un finale felice. L'altra è invece una storia guerriera: il conflitto armato fra la tribù di Giacobbe e i cananei aborigeni che cercavano di cacciarli. Secondo alcuni studiosi, un autore biblico avrebbe avrebbe unito le due storie e trasformato l'incontro fra Dina e Sichem, un legame romantico, in uno stupro violento per giustificare il massacro degli sichemiti.
Genesi 34, 7
Quando i figli di Giacobbe tornarono dalla campagna, sentito l'accaduto, ne furono addolorati e s'indignarono molto, perché quello aveva commesso un'infamia in Israele, unendosi alla figlia di Giacobbe: così non si doveva fare!
Genesi 34, 8
Camor disse loro: "Sichem, mio figlio, è innamorato della vostra figlia; dategliela in moglie!
Genesi 34, 9
Anzi, alleatevi con noi: voi darete a noi le vostre figlie e vi prenderete per voi le nostre figlie.
Genesi 34, 10
Abiterete con noi e il paese sarà a vostra disposizione; risiedetevi, percorretelo in lungo e in largo e acquistate proprietà in esso".
Camor il padre di Sichem
Il padre di Sichem, Camor, è descritto come un "ivita" nel testo massoretico della Bibbia e come un "orita" nella Settanta, l'antica traduzione greca della Bibbia. Certi studiosi suggeriscono che Camor e il suo clan erano in realtà "urriani", un popolo del Medio Oriente antico la cui terra d'origine era a nord e a ovest di Canaan.
Genesi 34, 11
Poi Sichem disse al padre e ai fratelli di lei: "Possa io trovare grazia agli occhi vostri; vi darò quel che mi direte.
Genesi 34, 12
Alzate pure molto a mio carico il (mohar) prezzo nuziale e il valore del (umattan) dono; vi darò quanto mi chiederete, ma datemi la giovane in moglie!".
Il prezzo
Sichem implora Giacobbe e i fratelli carnali di Dina, di usar con il suo peccato, gentilezza e di dargli la fanciulla in moglie, è pronto a risarcire il danno causato dalla seduzione, operata nei riguardi della fanciulla, pagando anche il necessario, anche se lo esigeranno altissimo. Mohar Umattan, alla lettera "dote e dono", con il significato di "pagamento di tributo", o del necessario dovuto alla famiglia per il rilascio della fidanzata.
Anche se Sichem è davvero uno stupratore, la sua proposta di matrimonio è meno peregrina di quanto possa sembrare se consideriamo lo strano castigo del delitto di stupro previsto nella legge biblica. Secondo il Deuteronomio, ogni uomo che incontra una vergine non fidanzata:
Deuteronomio 22, 28
Se un uomo trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, l'afferra e pecca con lei e sono colti in flagrante,
Deuteronomio 22, 29
l'uomo che ha peccato con lei darà al padre della fanciulla cinquanta sicli d'argento; essa sarà sua moglie, per il fatto che egli l'ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita.
Per evitare di aggravare l'offesa, naturalmente, lo stupratore è costretto a sposare la vittima. La Bibbia decreta che, a differenza del marito in un matrimonio normale, lo stupratore non potrà mai divorziare dalla sua vittima diventata moglie.
Inoltre la legge che costringeva uno stupratore a sposare la sua vittima può essere considerata una misura assolutamente positiva e addirittura progressista, perlomeno nel contesto sociale del mondo in cui viveva Dina. Ai tempi biblici una donna doveva rimanere sempre sotto l'autorità di un maschio: come bambina e giovane vergine viveva a casa del padre fino al matrimonio; una volta sposata, viveva con il marito e gli partoriva dei figli e li educava; se rimaneva vedova, dipendeva dai propri figli maschi, che ereditavano i beni del padre?' Nessun altro ruolo le era concesso. A una donna come Dina, non ancora sposata ma non più vergine, non era concesso sposarsi, partorire o allevare figli, guadagnarsi da vivere o avere una vita sessuale.
Così l'idea del matrimonio come castigo per uno stupro può essere vista come una forma di riparazione. La vittima è ormai "merce avariata" agli occhi della sua comunità e inaccettabile come moglie e madre per qualsiasi uomo, tranne per il suo stupratore. Perciò lui, sposandola, deve riparare il danno che ha arrecato a lei e, in un certo senso, alla sua famiglia e alla tribù in generale. Naturalmente la Bibbia non suggerisce che qualcuno si sia preoccupato di chiedere a Dina se volesse davvero sposare Sichem, ma non le è stato nemmeno chiesto se lo voleva vedere morto. Inoltre, uccidendo Sichem, i vendicativi fratelli di Dina le negano persino la possibilità del matrimonio e la condannano a una vita di reclusione e di solitudine.
La scomparsa di Dina
Già ma dove è finita Dina? Dopo che l'incontro fra Sichem e Dina, viene riportato all'inizio del capitolo, non sappiamo più niente di lei, nemmeno dove si trova, fino alla fine del capitolo, quando scopriamo per la prima volta che Dina si era apparentemente trattenuta in casa di Sichem, dopo il primo incontro. È prigioniera e ostaggio di Sichem come vorrebbe farci credere il commento biblico tradizionale? Oppure, come certi studiosi hanno osato suggerire, è forse ospite consenziente di quel giovane tanto innamorato di lei?
Dina ospite o ostaggio?
Se ricordiamo le ardenti dichiarazioni d'amore di Sichem e il suo ardente desiderio di sposare Dina, viene la tentazione di immaginare che i due (giovani, celibi e, fatto cruciale appartenenti a tribù diverse), si siano innamorati così profondamente da osare un incontro sessuale vietato. Se dopo questo primo rapporto, Dina si trasferisce a casa di Sichem di propria volontà, anziché costretta, potremmo concludere che i due sono innamorati e non stupratore e vittima.
In effetti vari studiosi hanno sostenuto che lo stupro di Dina potrebbe essere stato inserito nel testo biblico da un sacerdote o da uno scriba con un secondo fine.
Forse il vero crimine di Sichem e Dina, è di essersi innamorati malgrado il fatto che lei era israelita e lui no.
Genesi 34, 13
Allora i (bene Ja'aqob) figli di Giacobbe risposero a Sichem e a suo padre Camor e parlarono con astuzia, perché quegli aveva disonorato la loro sorella Dina.
Genesi 34, 14
Dissero loro: "Non possiamo fare questo, dare cioè la nostra sorella ad un uomo non circonciso, perché ciò sarebbe un disonore per noi.
Genesi 34, 15
Solo a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta, se cioè voi diventerete come noi, circoncidendo ogni vostro maschio.
Genesi 34, 16
Allora noi vi daremo le nostre figlie e ci prenderemo le vostre, abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo.
Genesi 34, 17
Ma se voi non ci ascoltate a proposito della nostra circoncisione, allora prenderemo la nostra figlia e ce ne andremo".
Il tranello della circoncisione
I fratelli di Dina respingono le offerte di Sichem, perché maritare una loro sorella a un incirconciso sarebbe per loro un obbrobrio. Fingono di respingere le offerte di Camor e di Sichem con pretesti religiosi: non possono sposare degli incirconcisi; di fatto vogliono solo mettere i Sichemiti in condizioni precarie per la loro difesa.
Non vi è altra possibilità, vi è un'unica condizione per acconsentire alla loro richiesta: che diventino come loro, circoncidendo ogni maschio. Solo allora potranno diventare affini con essi e perciò avranno la possibilità di divenire un popolo solo, cioè consanguinei e potranno sposarsi reciprocamente, partecipare della stessa residenza.
Genesi 34, 18
Le loro parole piacquero a Camor e a Sichem, figlio di Camor.
Genesi 34, 19
Il giovane non indugiò ad eseguire la cosa, perché amava la figlia di Giacobbe; d'altra parte era il più onorato di tutto il casato di suo padre.
Genesi 34, 20
Vennero dunque Camor e il figlio Sichem alla porta della loro città e parlarono agli uomini della città:
Genesi 34, 21
"Questi uomini sono gente pacifica: abitino pure con noi nel paese e lo percorrano in lungo e in largo; esso è molto ampio per loro in ogni direzione. Noi potremo prendere per mogli le loro figlie e potremo dare a loro le nostre.
Genesi 34, 22
Ma solo ad una condizione questi uomini acconsentiranno ad abitare con noi, a diventare (le'am ehad) un sol popolo: se cioè noi circoncidiamo ogni nostro maschio come loro stessi sono circoncisi.
Genesi 34, 23
I loro armenti, la loro ricchezza e tutto il loro bestiame non saranno forse nostri? Accontentiamoli dunque e possano abitare con noi!".
Genesi 34, 24
Allora quanti avevano accesso alla porta della sua città ascoltarono Camor e il figlio Sichem: tutti i maschi, quanti avevano accesso alla porta della città, si fecero circoncidere.
Camor e Sichem accettano il rito della circoncisione
Camor accetta le condizioni poste dagli israeliti. Si presenta alla porta della città, cioè davanti agli anziani, unici responsabili degli atti pubblici e presenta le proposte israelitiche. Queste sono descritte con fine politico, Camor era un pacifista, non amava la guerra. L'autore biblico, a torto, mette in bocca a Camor, queste parole: "Questi uomini sono gente "pacifica": abitino pure con noi nel paese e lo percorrano in lungo e in largo; esso è molto ampio..." Che perciò potrà domiciliarsi nella regione, senza suscitare inconvenienti; inoltre potrà circolare a piacere, essendo la regione abbastanza ampia per tutti; sposandoli e facendosi sposare da loro, gli israeliti accetteranno di diventare loro (le'am ehad) consanguinei e di conseguenza il loro bestiame e le loro sostanze saranno dei sichemiti. Acconsentano dunque alla loro unica richiesta, cioè farsi circoncidere.
Convinti dagli argomenti di Camor, tutti quelli che uscivano dalla porta della città, cioè tutti quelli che erano validi per andare in guerra e tutti quelli che partecipavano al consiglio della città, si circoncisero.
Genesi 34, 25
Ma il terzo giorno, quand'essi erano sofferenti, i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi, i fratelli di Dina, presero ciascuno una spada, entrarono nella città con sicurezza e uccisero tutti i maschi.
Genesi 34, 26
Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono.
Genesi 34, 27
I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella.
Genesi 34, 28
Presero così i loro greggi e i loro armenti, i loro asini e quanto era nella città e nella campagna.
Genesi 34, 29
Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e le loro donne e saccheggiarono quanto era nelle case.
Lo strano castigo del reato di stupro
Il terzo giorno, approfittando del momento critico dell'operazione, i bene Ja'aqob "figli di Giacobbe" passano dalla promessa di amicizia alla strage: e assalirono la città che si riteneva sicura e uccisero tutti i maschi. Poi i bene Ja'aqob infierirono contro gli uccisi e saccheggiarono la città, presero le loro gregge, i loro armenti, i loro asini, quello che era in città e quello che era per i campi e portarono via come bottino di guerra tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e tutte le loro mogli.
Da questo racconto sarebbe quasi impossibile dedurre che la circoncisione -cioè l'ablazione chirurgica del prepuzio del pene- fosse il simbolo più importante dell'identità degli israeliti, e che lo è tuttora fra gli ebrei. La circoncisione è letteralmente il segno che sigilla la fatale alleanza fra Dio e Abramo: Dio appare ad Abramo, promette di fare di lui "il padre di una moltitudine di nazioni", e in cambio esige da lui un'unica promessa in nome della sua discendenza: Abramo e tutto il suo lignaggio si sottoporranno alla circoncisione.
"La mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne: il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza".
L'autore biblico che racconta la storia di Dina ha un altro scopo: usa la circoncisione per sottolineare la "diversità" di Sichem e del suo popolo. Questa tribù è così diversa dagli israeliti, sembra dire l'autore, che occorre una circoncisione di massa per purificarla prima che una singola figlia di Israele possa fidanzarsi con il suo principe. Persino così, l'idea di "sposarsi fuori" rimane tanto repellente per i fratelli che essi si sentono costretti a eseguire un massacro per impedire quell'unione proibita. Vi è una forte ironia nel fatto che Simeone e Levi non hanno remore a trasformare il sacro rito della circoncisione in una forma di tortura e d'inganno, per impedire che quel matrimonio si faccia.
Per il lettore contemporaneo (e per una parte considerevole degli esegeti biblici), usare un sacro rituale per mettere degli uomini fuori combattimento affinché possano essere macellati più facilmente non è soltanto un trucco capestro, ma un sacrilegio.
La Bibbia non dice che cosa sia successo a Dina dopo la notte del macello in casa di Sichem. Sappiamo soltanto che lei faceva ancora parte della famiglia di Giacobbe molti anni dopo, quando l'intero clan seguì il patriarca in Egitto, dove il suo figlio prediletto, Giuseppe, regnava allora come cancelliere.
Genesi 46, 15
Questi sono i figli che Lia partorì a Giacobbe in Paddan-Aram insieme con la figlia Dina; tutti i suoi figli e le sue figlie erano trentatré persone.
L'ipotesi più verosimile è che Dina sia stata rinchiusa in casa di suo padre o di uno dei suoi fratelli, zia nubile con un passato oscuro e senza futuro, e che abbia finito i suoi giorni nella disperazione.
Genesi 34, 30
Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: "Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese, ai Cananei e ai Perizziti, mentre io ho pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa".
Genesi 34, 31
Risposero: "Si tratta forse la nostra sorella come una prostituta?".
Il tribunale biblico della coscienza
"Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese", Giacobbe dichiara di preferire la diplomazia alla guerra, il compromesso allo scontro, la coabitazione e l'accordo alla ribellione contro le autorità.
"Io ho pochi uomini", si lamenta Giacobbe, maestro nell'arte della realpolitik, e spiega chiaramente che le sue preoccupazioni rispetto ai cananei sono pragmatiche e non morali: "(Se) essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa".
Per il patriarca Giacobbe, il fidanzamento di Dina con l'uomo che l'ha "disonorata" è un compromesso onorevole che sarà fonte di pace e prosperità benedette. Per i suoi figli, si tratta di una pace senza onore, di una transazione vergognosa. L'accusa che lanciano sembra applicarsi più a Giacobbe che non a Sichem o a Camor: "Nostra sorella (va dunque trattata) come una prostituta?".
Il "tribunale della coscienza" della Bibbia, secondo la formulazione di uno studioso, ha pesato le azioni di Simeone e Levi e si è pronunciato a loro sfavore. Giacobbe stesso emette la sentenza sul letto di morte, rifiutando la sua benedizione a Simeone e a Levi, dichiarandoli figli e successori indegni perché avevano agito in modo così avventato ed esagerato, e rifiuta loro qualsiasi porzione della Terra Promessa.
Conclusione
Benché Genesi 34 finga di riportare avvenimenti di un passato molto remoto -ben prima che gli israeliti venissero ridotti in schiavitù dal faraone, ben prima che lasciassero l'Egitto sotto la guida di Mosè e si stabilissero in terra di Canaan- la storia di Dina e Sichem potrebbe essere entrata nelle sacre Scritture nella sua forma attuale soltanto intorno al 400 a.C., quando i filoni più antichi delle leggende, tradizioni e leggi d'Israele furono raccolti e intrecciati nell'opera che conosciamo oggi come i Cinque Libri di Mosè.
Bibliografia essenziale: la Bibbia di Gerusalemme, Biblia Hebraica Stuttgartensia, la Sacra Bibbia (edizioni Marietti), I Racconti proibiti della Bibbia di Jonathan Kirsch.
http://xoomer.alice.it/sc/ci/scienzeantiche/directory/ebraismo/dina.htm
Dina era figlia di Giacobbe e di Lia, settima ed ultima figlia di costei. Nata a Carran durante i venti anni di permanenza di Giacobbe suo padre al servizio di Labano, padre di Lia e Rachele. Alla fine dei venti anni di servizio, Giacobbe fece ritorno in Canaan e si stabilì a Succot, dove costruì una casa per sé e fece capanne per il gregge. Per questo chiamò quel luogo Succot (Gen 30, 21-22. 25; 31, 41).
Dopo di ché Giacobbe si stabilì presso la città di Sichem, accampandosi di fronte alla città, avendo acquistato da Camor padre di Sichem l’appezzamento di terreno dove aveva piantato la tenda e vi eresse un altare che chiamò "El, Dio d'Israele".
Mentre Giacobbe e la sua famiglia erano accampati presso la città di Sichem, la Bibbia ci dice che Dina: “uscì a vedere le ragazze del posto. Ma la notò Sichem, figlio di Camor l'Eveo, principe di quel territorio, la rapì e si coricò con lei facendole violenza”.
Ma poi dopo averle fatto violenza Sichem s’innamorò di lei e cercò di averla in sposa. Dina rimase in casa di Sichem finché i suoi fratelli germani Simeone e Levi con l'inganno non vendicarono l’affronto fatto alla sorella uccidendo tutti i maschi della città e passando a fil di spada Camor e il figlio Sichem e portando via Dina da quella casa allontanandosene (Gen 34, 1-31).
Anni dopo quando Giuseppe fece scendere in Egitto il padre Giacobbe insieme a tutta la famiglia, Dina andò con loro (Gen 46, 7-15).
Una citazione di questi avvenimenti si trova nel libro di Giuditta al capitolo 9, 2-4.
ALCUNE IPOTESI E COMMENTI SULLA FIGURA DI DINA
Interpretazione mitica secondo Graves
Secondo Robert Graves all'interno del racconto biblico è intelligibile un'altra versione del mito, probabilmente più antica della stesura della Genesi, dove Dina è gemella di Dan, primogenito di Bila, l'ancella che Rachele, supposta sterile, diede all'amato Giacobbe per concepire figli al posto suo.
Dina era forse la dea eponima di una tribù che faceva parte della confederazione di Israele, che venne sterminata in tempi remoti dalla tribù (cananea?) dei sichemiti.
Giacobbe rimprovera i due collerici fratelli, ma non ricusa il loro atto, anzi: in Gen 35, 4 Giacobbe si fa consegnare gli idoli dei sichemiti raccolti dai suoi figli e li sotterra presso una quercia. La quercia probabilmente era un albero sacro a YHWH, quindi quest'azione ha il chiaro significato di sancire la supremazia del dio degli Ebrei sugli idoli cananei.
Probabilmente il mito racconta che alcuni membri della tribù israelitica di Dan, abitanti in Sichem, officiavano riti sincretici agli idoli cananei e per questo venne sterminata da clan fratelli, i Simeoniti e i Leviti.
Poi però, senza alcun apparente motivo, Giacobbe predice la stessa fine di Dina ai due fratelli violenti. Probabilmente tale maledizione è solo la spiegazione a posteriori di un fatto storico, cioè che i Simeoniti erano scomparsi già prima dell'era monarchica. I Leviti, invece, durante l'era mosaica (Esodo 32, 25-28) si distinsero per un'ulteriore intransigenza religiosa nei confronti dei propri fratelli ebrei: per loro la maledizione della dispersione assume i toni di una "separazione" dopo aver passato a fil di spada circa tremila uomini del popolo, ricevendo l'investitura sacerdotale.
Dal blog di famiglia cristiana
Gianfranco Ravasi (Cardinale arcivescovo e biblista)
Una ragazza violentata
La sequenza di giovani donne che facciamo salire alla ribalta nella nostra rubrica, conferma quanto la Bibbia sia una storia in cui Dio rispetta la libertà umana, ma la giudica quando degenera nel peccato. Ancora una volta è in scena un crimine odioso, la violenza sessuale. Esso, come vedremo, trascina un’onda di altri delitti. Ora, però, risaliamo alle origini di Israele, al tempo dei patriarchi e alla storia che riguarda Giacobbe e una sua figlia, Dina, che egli aveva avuto dalla sua prima moglie, Lia.
La vicenda drammatica è narrata nel capitolo 34 del libro della Genesi. Giacobbe era stato costretto a migrare esule per un lungo periodo a causa dell’ira del fratello Esaù che egli aveva ingannato soffiandogli il diritto di primogenitura. Ora sta rientrando nella sua terra, sperando che la tensione col tempo si sia placata. Il clan è in marcia verso il Sud della Terrasanta e si accampa nei pressi di Sichem, una città posta nella regione centrale, la futura Samaria. Come accade ancor oggi, la giovane Dina un giorno si era recata in quella città per incontrare e conoscere altre sue coetanee e divertirsi con loro.
E là era accaduto un fatto inatteso. Forse perché straniera, la ragazza era stata notata dal figlio del principe della città, il cui nome era lo stesso di quello della città, Sichem. Era stato un colpo di fulmine: egli si era innamorato, l’aveva corteggiata e alla fine conquistata, violentandola. Dopo questo atto sessuale brutale, il suo desiderio era però di sposarla. Ma Giacobbe e i fratelli di Dina, saputa la notizia, si erano indignati per quello che essi consideravano non solo uno stupro, ma soprattutto una violazione delle norme procedurali matrimoniali dell’antico Vicino Oriente.
Nonostante la buona volontà del padre di Sichem che aveva subito aperto il procedimento per legalizzare l’unione avviando una trattativa con Giacobbe, i fratelli di Dina covavano il desiderio di vendicare l’affronto. Così escogitarono un tranello. Imposero come condizione che Sichem e i maggiorenti della città si circoncidessero, per avere un’omogeneità culturale e religiosa con loro. Il principe Sichem accolse questa proposta e convinse «quanti avevano accesso alla porta della sua città», cioè i notabili e i guerrieri perché la “porta” era il nostro municipio o palazzo comunale e di governo.
A questo punto era scattata la brutale vendetta dei fratelli di Dina, un vero e proprio delitto d’onore. Ascoltiamo il racconto biblico: «Il terzo giorno, quand'essi erano sofferenti [per il taglio della circoncisione], i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi, i fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, entrarono indisturbati nella città e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono. I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città» (Gen 34, 25-27).
Giacobbe reagì a questa strage, consapevole che sarebbe scattata la ritorsione da parte delle tribù collegate ai Sichemiti, e fu costretto a trasferirsi col suo clan altrove. Anche in punto di morte ricorderà con asprezza la violenza di Simeone e Levi: «Strumenti di violenza sono i loro coltelli… Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele!» (Genesi 49, 5-7). È curioso notare che Dina non dice una parola: è questo il segno di quei tempi (ma non solo!) in cui il maschio imperava e la donna era solo una suddita silenziosa e obbediente.
Ebraismo
Lo stupro di Dina (Dal Sito: http://xoomer.alice.it/sc/ci/scienzeantiche/directory/ebraismo/dina.htm)
Prologo
Una sola voce non viene sentita nella Bibbia a proposito dello stupro di Dina: quella di Dina stessa. Mentre i maschi discorrono e litigano e complottano fra loro e sono l'uno contro l'altro, nessuno si prenderà, briga di chiederle se preferisce sposare Sichem o vederlo uccidere. Il silenzio di Dina, così strano provocatorio, ci ricorda che l'autore biblico nasconde ben più di quanto riveli nel raccontarci questa storia.
Una sola frase ci è offerta per spiegare il ruolo di Dina in quella tragica vicenda:
Genesi 34, 1
Dina, la figlia che Lia aveva partorita a Giacobbe, uscì a vedere le ragazze del paese.
L'uscita di Dina
Dunque, "...Uscì a vedere le (Benot Hemor) ragazze del paese". Forse durante una festa locale. Ma persino questa laconica informazione ci lascia sconcertati. Per i severi studiosi della Bibbia che devono interpretare la storia di Dina, l'immagine di una donna celibe che cammina liberamente per i campi era sconvolgente e pericolosa. In effetti, questi studiosi non potevano liberarsi dal pregiudizio che la donna è per natura una seduttrice, o nel migliore dei casi, una vittima della propria vanità e curiosità. Così un antico commentatore rabbinico suppone che Dina se uscita dalla tenda paterna "ingioiellata come una prostituta"; un altro rabbino ipotizza che Sichem abbia ingaggiato una truppa di donne allegramente vestite per cantare, ballare e giocare nelle strade al fine di attirare Dina fuori dall'accampamento di Giacobbe e poterla rapire.
"Se fosse rimasta a casa, non sarebbe successo niente", dice l'omelia del rabbino. "Ma era donna, e tutte le donne amano ostentarsi per strada".
I lettori attuali ovviamente restano sconvolti da tanta misoginia. Ma i rabbini del passato, per quanto ci possono sembrare sessisti, reagivano a qualcosa che era fuori del comune nel testo stesso. Infatti che una giovane donna celibe, che viveva fra degli stranieri, si allontanasse dall'accampamento del padre e cercasse la compagnia delle donne del posto era un atto audace e coraggioso: Dina stava sfidando le norme severe strette che governavano la vita delle mogli e delle figlie dei patriarchi. Dina ha intrapreso un'azione pericolosa e temeraria, che necessitava di forza di carattere e determinazione. Dina è una donna che rigetta le costrizioni della moralità tradizionale e che afferma propria identità autentica.
L'avventura di Dina è così temeraria e rischiosa agli occhi dell'autore biblico che la fa quasi scomparire dalla propria storia. Tuttavia possiamo ancora percepire gli echi della voce di Dina nel testo del capitolo 34 della Genesi.
- Alcuni lettori sostengono che si tratta di una storia d'amore a lungo censurata piuttosto che una leggenda sanguinaria di stupro e vendetta.
- Altri affermano che i veri eroi della storia sono i fratelli armati di spada che macellano un intero popolo in nome di Dio.
A lungo trascurato e a volte perfino soppresso dai predicatori e dagli insegnanti di catechismo, Genesi 34 acquisisce nuovi significati attualissimi nel nostro mondo perturbato, dove i lontani discendenti di Giacobbe e gli equivalenti moderni di Camor ancora si scontrano in Palestina.
Lo stupro
(Un grido a distanza sveglio Giacobbe nella calura del tardo pomeriggio. L'uomo si trascinò fino alla porta per vedere cosa causava quel trambusto. Sentì grida acute di donne, e vide un gruppetto di ragazze dirette verso di lui, seguite da alcuni braccianti e, in fondo al corteo, da una o due donne più anziane, che arrancavano faticosamente dietro di loro.
"Che succede?", chiese stancamente Giacobbe dalla soglia di casa alle ragazze che si avvicinavano. Le donne mormoravano gemevano, alcune piangevano ma nessuna parlava.
"Allora?", insisté Giacobbe.
Finalmente una delle giovani, una ragazza snella dagli occhi neri che Giacobbe riconobbe vagamente come una delle serve di sua figlia, fece un passo avanti e parlò senza paura.
"Tua figlia è stata disonorata", annunciò. Poi tacque, e le grida acute delle donne raggiunse un nuovo crescendo.
"Disonorata?", chiese Giacobbe. "Cosa intendi?"
"Disonorata", ripeterà ragazza, "da uno del popolo di Camor".
"Dov'è Dina adesso". Chiese Giacobbe. "Dimmi esattamente cos'è successo".
"Siamo andate al pozzo dentro le mura della città", iniziò la ragazza. "Volevamo vedere le donne del paese che vengono riempire le giare d'acqua").
Genesi 34, 2
Ma la vide Sichem, figlio di Camor l'Eveo, principe di quel paese, e la rapì e si unì a lei e "invah" la umiliò.
Stupro o seduzione?
Nessuna delle parole ed espressioni ebraiche usate dall'autore biblico per descrivere ciò che Sichem fece a Dina viene tradotta direttamente con "stupro". La versione tradizionale della Bibbia ci dice che "la vide... la rapì, si unì a lei". Poi probabilmente con un aggiunta tardiva, viene scritta un espressione sconcertante "la umiliò". Potremmo chiederci se Sichem ha realmente stuprato Dina, o se fra il giovane principe innamorato e l'audace figlia di Giacobbe è avvenuto qualcosa di più sottile.
La parola ebraica "invah", tradotta con "umiliata", in alcune bibbie con "abusata", "deturpata", "stuprata" o "disonorata", per indicare un'esperienza "degradante e avvilente" attraverso la quale "una ragazza perde la speranza di un matrimonio completamente valido", soprattutto perché non è più vergine.
Eppure, la frase successiva afferma che Sichem è innamorato?
Genesi 34, 3
Egli rimase legato a Dina, figlia di Giacobbe; amò la fanciulla e le rivolse parole di conforto.
Genesi 34, 4
Poi disse a Camor suo padre: "Prendimi in moglie questa ragazza".
Il corteggiamento
Dopo aver riferito in una sola frase il rapporto sessuale, il narratore si concentra sulla parte fondamentale della storia: l'Ardente corteggiamento da parte di Sichem e il complesso negoziato del contratto matrimoniale. Così la Bibbia stessa lascia aperta la possibilità che quel che è successo non sia un semplice stupro.
Genesi 34, 5
Intanto Giacobbe aveva saputo che quegli aveva disonorato Dina, sua figlia, ma i suoi figli erano in campagna con il suo bestiame. Giacobbe tacque fino al loro arrivo.
La donna disonorata
La Bibbia usa qui la parola "disonorare" per descrivere ciò che Sichem fece a Dina. Il termine "disonorare" viene usato altrove nella Bibbia per descrivere relazioni sessuali proibite piuttosto che forzate, come l'adulterio di una moglie fedifraga:
Numeri 5, 12
...Se una donna si sarà disonorata commettendo un'infedeltà verso il marito.
O l'accoppiamento tra un sacerdote e una prostituta, o una donna ripudiata dal marito o una ragazza non più vergine:
Levitico 21, 7
(...I sacerdoti) non prenderanno in moglie una prostituta o una donna già disonorata; né una donna ripudiata dal marito, perché sono santi per il loro Dio.
Un riferimento al "disonore inflitto" alla figlia di Giacobbe da parte del giovane principe innamorato, potrebbe significare soltanto che i due non erano sposati quando fecero l'amore.
Certi specialisti hanno reperito nel testo biblico tracce di stupro e insieme di seduzione: la contraddizione può essere spiegata dal fatto che il filone della storia è opera di due o più autori.
Genesi 34, 6
Venne dunque Camor, padre di Sichem, da Giacobbe per parlare con lui.
Due storie
Dunque la storia biblica di Dina e Sichem, conserverebbe (almeno) due narrazioni o tradizioni separate e nettamente diverse circa la storia antica degli israeliti. La prima tradizione tramanda una storia d'amore pura e genuina: il corteggiamento di Sichem e Dina, i negoziati di matrimonio che seguirono fra i padri e le famiglie e che forse si concludevano con un'unione riuscita e un finale felice. L'altra è invece una storia guerriera: il conflitto armato fra la tribù di Giacobbe e i cananei aborigeni che cercavano di cacciarli. Secondo alcuni studiosi, un autore biblico avrebbe avrebbe unito le due storie e trasformato l'incontro fra Dina e Sichem, un legame romantico, in uno stupro violento per giustificare il massacro degli sichemiti.
Genesi 34, 7
Quando i figli di Giacobbe tornarono dalla campagna, sentito l'accaduto, ne furono addolorati e s'indignarono molto, perché quello aveva commesso un'infamia in Israele, unendosi alla figlia di Giacobbe: così non si doveva fare!
Genesi 34, 8
Camor disse loro: "Sichem, mio figlio, è innamorato della vostra figlia; dategliela in moglie!
Genesi 34, 9
Anzi, alleatevi con noi: voi darete a noi le vostre figlie e vi prenderete per voi le nostre figlie.
Genesi 34, 10
Abiterete con noi e il paese sarà a vostra disposizione; risiedetevi, percorretelo in lungo e in largo e acquistate proprietà in esso".
Camor il padre di Sichem
Il padre di Sichem, Camor, è descritto come un "ivita" nel testo massoretico della Bibbia e come un "orita" nella Settanta, l'antica traduzione greca della Bibbia. Certi studiosi suggeriscono che Camor e il suo clan erano in realtà "urriani", un popolo del Medio Oriente antico la cui terra d'origine era a nord e a ovest di Canaan.
Genesi 34, 11
Poi Sichem disse al padre e ai fratelli di lei: "Possa io trovare grazia agli occhi vostri; vi darò quel che mi direte.
Genesi 34, 12
Alzate pure molto a mio carico il (mohar) prezzo nuziale e il valore del (umattan) dono; vi darò quanto mi chiederete, ma datemi la giovane in moglie!".
Il prezzo
Sichem implora Giacobbe e i fratelli carnali di Dina, di usar con il suo peccato, gentilezza e di dargli la fanciulla in moglie, è pronto a risarcire il danno causato dalla seduzione, operata nei riguardi della fanciulla, pagando anche il necessario, anche se lo esigeranno altissimo. Mohar Umattan, alla lettera "dote e dono", con il significato di "pagamento di tributo", o del necessario dovuto alla famiglia per il rilascio della fidanzata.
Anche se Sichem è davvero uno stupratore, la sua proposta di matrimonio è meno peregrina di quanto possa sembrare se consideriamo lo strano castigo del delitto di stupro previsto nella legge biblica. Secondo il Deuteronomio, ogni uomo che incontra una vergine non fidanzata:
Deuteronomio 22, 28
Se un uomo trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, l'afferra e pecca con lei e sono colti in flagrante,
Deuteronomio 22, 29
l'uomo che ha peccato con lei darà al padre della fanciulla cinquanta sicli d'argento; essa sarà sua moglie, per il fatto che egli l'ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita.
Per evitare di aggravare l'offesa, naturalmente, lo stupratore è costretto a sposare la vittima. La Bibbia decreta che, a differenza del marito in un matrimonio normale, lo stupratore non potrà mai divorziare dalla sua vittima diventata moglie.
Inoltre la legge che costringeva uno stupratore a sposare la sua vittima può essere considerata una misura assolutamente positiva e addirittura progressista, perlomeno nel contesto sociale del mondo in cui viveva Dina. Ai tempi biblici una donna doveva rimanere sempre sotto l'autorità di un maschio: come bambina e giovane vergine viveva a casa del padre fino al matrimonio; una volta sposata, viveva con il marito e gli partoriva dei figli e li educava; se rimaneva vedova, dipendeva dai propri figli maschi, che ereditavano i beni del padre?' Nessun altro ruolo le era concesso. A una donna come Dina, non ancora sposata ma non più vergine, non era concesso sposarsi, partorire o allevare figli, guadagnarsi da vivere o avere una vita sessuale.
Così l'idea del matrimonio come castigo per uno stupro può essere vista come una forma di riparazione. La vittima è ormai "merce avariata" agli occhi della sua comunità e inaccettabile come moglie e madre per qualsiasi uomo, tranne per il suo stupratore. Perciò lui, sposandola, deve riparare il danno che ha arrecato a lei e, in un certo senso, alla sua famiglia e alla tribù in generale. Naturalmente la Bibbia non suggerisce che qualcuno si sia preoccupato di chiedere a Dina se volesse davvero sposare Sichem, ma non le è stato nemmeno chiesto se lo voleva vedere morto. Inoltre, uccidendo Sichem, i vendicativi fratelli di Dina le negano persino la possibilità del matrimonio e la condannano a una vita di reclusione e di solitudine.
La scomparsa di Dina
Già ma dove è finita Dina? Dopo che l'incontro fra Sichem e Dina, viene riportato all'inizio del capitolo, non sappiamo più niente di lei, nemmeno dove si trova, fino alla fine del capitolo, quando scopriamo per la prima volta che Dina si era apparentemente trattenuta in casa di Sichem, dopo il primo incontro. È prigioniera e ostaggio di Sichem come vorrebbe farci credere il commento biblico tradizionale? Oppure, come certi studiosi hanno osato suggerire, è forse ospite consenziente di quel giovane tanto innamorato di lei?
Dina ospite o ostaggio?
Se ricordiamo le ardenti dichiarazioni d'amore di Sichem e il suo ardente desiderio di sposare Dina, viene la tentazione di immaginare che i due (giovani, celibi e, fatto cruciale appartenenti a tribù diverse), si siano innamorati così profondamente da osare un incontro sessuale vietato. Se dopo questo primo rapporto, Dina si trasferisce a casa di Sichem di propria volontà, anziché costretta, potremmo concludere che i due sono innamorati e non stupratore e vittima.
In effetti vari studiosi hanno sostenuto che lo stupro di Dina potrebbe essere stato inserito nel testo biblico da un sacerdote o da uno scriba con un secondo fine.
Forse il vero crimine di Sichem e Dina, è di essersi innamorati malgrado il fatto che lei era israelita e lui no.
Genesi 34, 13
Allora i (bene Ja'aqob) figli di Giacobbe risposero a Sichem e a suo padre Camor e parlarono con astuzia, perché quegli aveva disonorato la loro sorella Dina.
Genesi 34, 14
Dissero loro: "Non possiamo fare questo, dare cioè la nostra sorella ad un uomo non circonciso, perché ciò sarebbe un disonore per noi.
Genesi 34, 15
Solo a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta, se cioè voi diventerete come noi, circoncidendo ogni vostro maschio.
Genesi 34, 16
Allora noi vi daremo le nostre figlie e ci prenderemo le vostre, abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo.
Genesi 34, 17
Ma se voi non ci ascoltate a proposito della nostra circoncisione, allora prenderemo la nostra figlia e ce ne andremo".
Il tranello della circoncisione
I fratelli di Dina respingono le offerte di Sichem, perché maritare una loro sorella a un incirconciso sarebbe per loro un obbrobrio. Fingono di respingere le offerte di Camor e di Sichem con pretesti religiosi: non possono sposare degli incirconcisi; di fatto vogliono solo mettere i Sichemiti in condizioni precarie per la loro difesa.
Non vi è altra possibilità, vi è un'unica condizione per acconsentire alla loro richiesta: che diventino come loro, circoncidendo ogni maschio. Solo allora potranno diventare affini con essi e perciò avranno la possibilità di divenire un popolo solo, cioè consanguinei e potranno sposarsi reciprocamente, partecipare della stessa residenza.
Genesi 34, 18
Le loro parole piacquero a Camor e a Sichem, figlio di Camor.
Genesi 34, 19
Il giovane non indugiò ad eseguire la cosa, perché amava la figlia di Giacobbe; d'altra parte era il più onorato di tutto il casato di suo padre.
Genesi 34, 20
Vennero dunque Camor e il figlio Sichem alla porta della loro città e parlarono agli uomini della città:
Genesi 34, 21
"Questi uomini sono gente pacifica: abitino pure con noi nel paese e lo percorrano in lungo e in largo; esso è molto ampio per loro in ogni direzione. Noi potremo prendere per mogli le loro figlie e potremo dare a loro le nostre.
Genesi 34, 22
Ma solo ad una condizione questi uomini acconsentiranno ad abitare con noi, a diventare (le'am ehad) un sol popolo: se cioè noi circoncidiamo ogni nostro maschio come loro stessi sono circoncisi.
Genesi 34, 23
I loro armenti, la loro ricchezza e tutto il loro bestiame non saranno forse nostri? Accontentiamoli dunque e possano abitare con noi!".
Genesi 34, 24
Allora quanti avevano accesso alla porta della sua città ascoltarono Camor e il figlio Sichem: tutti i maschi, quanti avevano accesso alla porta della città, si fecero circoncidere.
Camor e Sichem accettano il rito della circoncisione
Camor accetta le condizioni poste dagli israeliti. Si presenta alla porta della città, cioè davanti agli anziani, unici responsabili degli atti pubblici e presenta le proposte israelitiche. Queste sono descritte con fine politico, Camor era un pacifista, non amava la guerra. L'autore biblico, a torto, mette in bocca a Camor, queste parole: "Questi uomini sono gente "pacifica": abitino pure con noi nel paese e lo percorrano in lungo e in largo; esso è molto ampio..." Che perciò potrà domiciliarsi nella regione, senza suscitare inconvenienti; inoltre potrà circolare a piacere, essendo la regione abbastanza ampia per tutti; sposandoli e facendosi sposare da loro, gli israeliti accetteranno di diventare loro (le'am ehad) consanguinei e di conseguenza il loro bestiame e le loro sostanze saranno dei sichemiti. Acconsentano dunque alla loro unica richiesta, cioè farsi circoncidere.
Convinti dagli argomenti di Camor, tutti quelli che uscivano dalla porta della città, cioè tutti quelli che erano validi per andare in guerra e tutti quelli che partecipavano al consiglio della città, si circoncisero.
Genesi 34, 25
Ma il terzo giorno, quand'essi erano sofferenti, i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi, i fratelli di Dina, presero ciascuno una spada, entrarono nella città con sicurezza e uccisero tutti i maschi.
Genesi 34, 26
Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono.
Genesi 34, 27
I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella.
Genesi 34, 28
Presero così i loro greggi e i loro armenti, i loro asini e quanto era nella città e nella campagna.
Genesi 34, 29
Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e le loro donne e saccheggiarono quanto era nelle case.
Lo strano castigo del reato di stupro
Il terzo giorno, approfittando del momento critico dell'operazione, i bene Ja'aqob "figli di Giacobbe" passano dalla promessa di amicizia alla strage: e assalirono la città che si riteneva sicura e uccisero tutti i maschi. Poi i bene Ja'aqob infierirono contro gli uccisi e saccheggiarono la città, presero le loro gregge, i loro armenti, i loro asini, quello che era in città e quello che era per i campi e portarono via come bottino di guerra tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e tutte le loro mogli.
Da questo racconto sarebbe quasi impossibile dedurre che la circoncisione -cioè l'ablazione chirurgica del prepuzio del pene- fosse il simbolo più importante dell'identità degli israeliti, e che lo è tuttora fra gli ebrei. La circoncisione è letteralmente il segno che sigilla la fatale alleanza fra Dio e Abramo: Dio appare ad Abramo, promette di fare di lui "il padre di una moltitudine di nazioni", e in cambio esige da lui un'unica promessa in nome della sua discendenza: Abramo e tutto il suo lignaggio si sottoporranno alla circoncisione.
"La mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne: il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza".
L'autore biblico che racconta la storia di Dina ha un altro scopo: usa la circoncisione per sottolineare la "diversità" di Sichem e del suo popolo. Questa tribù è così diversa dagli israeliti, sembra dire l'autore, che occorre una circoncisione di massa per purificarla prima che una singola figlia di Israele possa fidanzarsi con il suo principe. Persino così, l'idea di "sposarsi fuori" rimane tanto repellente per i fratelli che essi si sentono costretti a eseguire un massacro per impedire quell'unione proibita. Vi è una forte ironia nel fatto che Simeone e Levi non hanno remore a trasformare il sacro rito della circoncisione in una forma di tortura e d'inganno, per impedire che quel matrimonio si faccia.
Per il lettore contemporaneo (e per una parte considerevole degli esegeti biblici), usare un sacro rituale per mettere degli uomini fuori combattimento affinché possano essere macellati più facilmente non è soltanto un trucco capestro, ma un sacrilegio.
La Bibbia non dice che cosa sia successo a Dina dopo la notte del macello in casa di Sichem. Sappiamo soltanto che lei faceva ancora parte della famiglia di Giacobbe molti anni dopo, quando l'intero clan seguì il patriarca in Egitto, dove il suo figlio prediletto, Giuseppe, regnava allora come cancelliere.
Genesi 46, 15
Questi sono i figli che Lia partorì a Giacobbe in Paddan-Aram insieme con la figlia Dina; tutti i suoi figli e le sue figlie erano trentatré persone.
L'ipotesi più verosimile è che Dina sia stata rinchiusa in casa di suo padre o di uno dei suoi fratelli, zia nubile con un passato oscuro e senza futuro, e che abbia finito i suoi giorni nella disperazione.
Genesi 34, 30
Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: "Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese, ai Cananei e ai Perizziti, mentre io ho pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa".
Genesi 34, 31
Risposero: "Si tratta forse la nostra sorella come una prostituta?".
Il tribunale biblico della coscienza
"Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese", Giacobbe dichiara di preferire la diplomazia alla guerra, il compromesso allo scontro, la coabitazione e l'accordo alla ribellione contro le autorità.
"Io ho pochi uomini", si lamenta Giacobbe, maestro nell'arte della realpolitik, e spiega chiaramente che le sue preoccupazioni rispetto ai cananei sono pragmatiche e non morali: "(Se) essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa".
Per il patriarca Giacobbe, il fidanzamento di Dina con l'uomo che l'ha "disonorata" è un compromesso onorevole che sarà fonte di pace e prosperità benedette. Per i suoi figli, si tratta di una pace senza onore, di una transazione vergognosa. L'accusa che lanciano sembra applicarsi più a Giacobbe che non a Sichem o a Camor: "Nostra sorella (va dunque trattata) come una prostituta?".
Il "tribunale della coscienza" della Bibbia, secondo la formulazione di uno studioso, ha pesato le azioni di Simeone e Levi e si è pronunciato a loro sfavore. Giacobbe stesso emette la sentenza sul letto di morte, rifiutando la sua benedizione a Simeone e a Levi, dichiarandoli figli e successori indegni perché avevano agito in modo così avventato ed esagerato, e rifiuta loro qualsiasi porzione della Terra Promessa.
Conclusione
Benché Genesi 34 finga di riportare avvenimenti di un passato molto remoto -ben prima che gli israeliti venissero ridotti in schiavitù dal faraone, ben prima che lasciassero l'Egitto sotto la guida di Mosè e si stabilissero in terra di Canaan- la storia di Dina e Sichem potrebbe essere entrata nelle sacre Scritture nella sua forma attuale soltanto intorno al 400 a.C., quando i filoni più antichi delle leggende, tradizioni e leggi d'Israele furono raccolti e intrecciati nell'opera che conosciamo oggi come i Cinque Libri di Mosè.
Bibliografia essenziale: la Bibbia di Gerusalemme, Biblia Hebraica Stuttgartensia, la Sacra Bibbia (edizioni Marietti), I Racconti proibiti della Bibbia di Jonathan Kirsch.
http://xoomer.alice.it/sc/ci/scienzeantiche/directory/ebraismo/dina.htm
Un commento Ebraico su Genesi 34
Vayishlach: lo stupro di Dinah
Dal sito: Sguardo a Sion
Il brano di questa settimana, con la vicenda di Dinah e dei suoi fratelli, porta tra le pagine della Genesi una drammatica esplosione di sangue e violenza.
Dinah, la giovane figlia del patriarca Yaakov, si allontana da casa per andare a incontrare le ragazze cananee, ma viene rapita e violentata da Shekhem, il principe dell’antica città omonima. Dopo lo stupro, Shekhem si mostra sinceramente innamorato di Dinah, e dichiara di volerla prendere in moglie. Chamor, re della città e padre di Shekhem, si reca da Yaakov e dalla sua famiglia con una proposta: “Mio figlio è innamorato della vostra figlia; dategliela in moglie! Anzi, alleatevi con noi: voi darete a noi le vostre figlie e vi prenderete per voi le nostre figlie, abiterete con noi e il paese sarà a vostra disposizione” (Genesi 34, 8-10). Yaakov tace, ma i suoi figli intervengono con astuzia: “Solo a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta, se cioè voi diventerete come noi, circoncidendo ogni vostro maschio” (34, 15). Chamor e Shekhem, spinti dall'interesse economico che sarebbe derivato dall'alleanza con la ricca famiglia di Yaakov, accettano l’accordo e fanno circoncidere ogni maschio del loro popolo. Dopo tre giorni, mentre gli abitanti di Shekhem sono indeboliti a causa della dolorosa operazione, viene attuato il terribile piano: “I due figli di Yaakov, Shimon e Levì, fratelli di Dinah, presero ciascuno una spada, entrarono nella città con sicurezza e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Chamor e suo figlio Shekhem, portarono via Dinah dalla casa di Shekhem e si allontanarono. I figli di Yaakov si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella” (34, 25-27).
Di fronte a questo racconto, ciascun lettore sarà portato a formulare dei giudizi morali a seconda dei propri valori e del proprio ambiente culturale. Ma i giudizi personali, spesso facili ed immediati, dovrebbero rimanere al di fuori dello studio della Torah. Dobbiamo dunque tenere da parte le nostre valutazioni e chiederci semplicemente quale sia il punto di vista del testo biblico sulla vicenda. La Torah giustifica le azioni di Shimon e Levì, oppure le condanna?
Il testo ci narra che Yaakov, dopo la strage compiuta dai suoi figli, rimprovera duramente Shimon e Levì. Eppure, la sua critica non deriva da motivazioni morali, ma da una preoccupazione di tipo pragmatico: “Allora Yaakov disse a Shimon e Levì: «Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese, ai Cananei e ai Perizziti, mentre io ho pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa» (Genesi 34, 30). Yaakov teme quindi la possibile reazione militare delle popolazioni vicine, ma Shimon e Levì rispondono al suo rimprovero: “Dovevamo forse lasciare che nostra sorella fosse trattata come una prostituta?” (34, 31).
Fino a questo punto non sembra essere emerso alcun giudizio morale contro l’inganno e il massacro compiuti da Shimon e Levì. Eppure, subito dopo questa drammatica vicenda, Yaakov riceve un comando da parte di Dio ed esorta tutta la sua famiglia con queste parole: “Rimuovete gli dèi stranieri che avete con voi, purificatevi e cambiate gli abiti. Poi alziamoci e andiamo a Betel, dove io costruirò un altare al Dio che mi ha esaudito al tempo della mia angoscia e che è stato con me nel cammino che ho percorso” (Genesi 35, 3). Non è un caso che questo bisogno di purificazione segua immediatamente la narrazione della strage. Gli idoli pagani a cui si fa riferimento, così come i gioielli citati al verso successivo, dovevano essere stati raccolti dai figli di Yaakov durante il saccheggio. La famiglia del patriarca è chiamata ora a privarsi di questi beni, che vengono non a caso seppelliti proprio nella città di Shekhem (35, 4). Che tale purificazione sia legata alla vicenda della strage è confermato da ciò che il testo racconta subito dopo: “Poi levarono l’accampamento e un terrore molto forte assalì i popoli che stavano attorno a loro, così che non inseguirono i figli di Yaakov” (35, 5). Soltanto ora che le spoglie conquistate durante l’assalto sono state abbandonate, la protezione divina può preservare la famiglia dagli attacchi dei popoli vicini.
Una condanna esplicita sarà poi pronunciata da Yaakov stesso, sul letto di morte, nella forma di una maledizione: “Shimon e Levì sono fratelli, le loro spade sono strumenti di violenza. Non entri l’anima mia nel loro consiglio, non si unisca la mia gloria alla loro adunanza. Poiché nella loro ira hanno ucciso degli uomini, e nella loro caparbietà hanno storpiato un toro. Maledetta la loro ira, perché è violenta, e il loro furore perché è crudele! Io li dividerò in Yaakov e li disperderò in Israele” (Genesi 49, 5-7).
Perché queste parole tanto severe giungono così in ritardo? È probabile che l’intento della Torah, nel racconto dello stupro di Dinah, sia quello di porre enfasi sulle responsabilità di Yaakov, più che sulla ferocia di Shimon e Levì. Il brano narra infatti che, pur essendo venuto a conoscenza dello stupro della figlia, il patriarca non reagì (vedi Genesi 34, 5). Quando Chamor e Shekhem si presentarono per proporre le loro trattative di matrimonio, Yaakov non disse nulla, ma lasciò che i propri figli gestissero la faccenda. Sembra perciò che questa passività del capofamiglia, su cui la Torah insiste, sia stata la causa degli orrori che seguirono. Tuttavia, come abbiamo visto, la Bibbia non tralascia di condannare anche le responsabilità individuali di Shimon e Levì.
Abbiamo fino ad ora analizzato il testo biblico senza confrontarci con la tradizione esegetica ebraica. Vediamo quindi di scoprire quali osservazioni siano state proposte dai vari autori rabbinici. Molti commentatori tendono a ridimensionare il peccato di Shimon e Levì, affermando ad esempio, come fa l'Or HaChayim, che gli abitanti di Shekhem parteciparono attivamente al rapimento di Dina, o che ostacolarono con le loro forze militari l’operazione di salvataggio dei due fratelli.
Nella sua codificazione dei sette precetti noachidi, Maimonide (Rabbi Moshe ben Maimon) espone un punto di vista altamente problematico sulla vicenda di Shekhem:
“Alle nazioni del mondo è comandato di istituire tribunali in ogni città per giudicare secondo i precetti, e di ammonire il popolo. Un noachide che ha violato uno dei sette precetti deve essere messo a morte tramite la spada. Per questa ragione tutti i signori di Shekhem meritavano la morte, perché Shekhem aveva rapito [Dinah] ed essi avevano visto e ne erano a conoscenza, ma non lo giudicarono” (Hilkhot Melakhim 9, 14).
Secondo Maimonide, gli abitanti della città si dimostrarono di fatto complici del crimine del loro principe, poiché non chiamarono Shekhem in giudizio, violando così il precetto universale che obbliga tutte le nazioni a perseguire la giustizia nella società, e rendendosi quindi meritevoli di morte. Tale affermazione è già di per sé molto controversa, in quanto riflette in modo discutibile solo una (la più severa) delle tre opinioni raccolte nel Talmud. Inoltre, c’è da chiarire che la pena di morte non è uno strumento di vendetta di cui chiunque può servirsi per compiere giustizia con le proprie mani. Dunque, anche se l’interpretazione di Maimonide fosse corretta, Shimon e Levì non avrebbero avuto alcun diritto di farsi giudici ed esecutori della pena.
Più coerente con il testo biblico sembra essere Nachmanide (Rabbi Moshe ben Nachman), che critica aspramente il comportamento di Shimon e Levì e prende le distanze dalle affermazioni di Maimonide:
“Poiché gli uomini di Shekhem erano malvagi, i figli di Yaakov consideravano il loro sangue come acqua [cioè pensavano che fosse permesso versare il loro sangue], e vollero quindi ottenere vendetta con le loro spade spietate. Così essi uccisero il re e tutti gli uomini della città in quanto erano suoi servi e ai suoi comandi. […] Essi agirono in modo crudele contro la gente della città promettendo: ‘Abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo’, e la gente del villaggio accettò, ma [Shimon e Levì] non mantennero la parola. Forse essi [gli abitanti della città] si sarebbero ravveduti tornando a Dio, ma [Shimon e Levì] li uccisero senza motivo, poiché quelli non avevano fatto loro alcun male. E ciò è quanto Yaakov intendeva dire con le parole: ‘Le loro spade sono strumenti di violenza’”.
Sulla stessa linea si pone il commento di Radak:
“Le loro spade sono strumenti di violenza – le loro spade furono strumenti di violenza, poiché essi uccisero tutti gli uomini di Shekhem senza una giustificazione; anche se Shekhem aveva commesso un crimine, qual era la colpa di tutti gli altri?“
Rav Tamir Granot, presentando un’interpretazione alternativa delle parole di Maimonide, propone in un suo articolo una brillante riflessione:
“In riferimento alle Leggi noachidi, Maimonide scrive: «Per questa ragione tutti i signori di Shekhem (ba’alei Shekhem) meritavano la morte». Ciò non dovrebbe essere inteso – al contrario di come molti ritengono – come un motivo per uccidere tutti i maschi della città, bensì come il motivo per mettere a morte la leadership della città, perché i capi non avevano fatto nulla per prevenire o per fermare l’abominio. Il termine ba’alei è impegato qui, come nel Libro dei Giudici, nella storia di Gedone, in riferimento ai capi che avrebbero potuto provvedere alla liberazione della vittima, ma non lo fecero e si resero perciò colpevoli. Le masse popolari non possono essere ritenute colpevoli di tutto ciò che avviene intorno a loro […]. Quando Abramo intervenne a favore di Sodoma, Dio gli rispose forse che tutti gli abitanti della città meritavano la morte perché non si erano opposti al male? Anche quando esiste una responsabilità indiretta, il principio di proporzionalità della pena rispetto al crimine deve essere mantenuto, e le nostre pretese devono essere ragionevoli. Una persona che pretende che ogni Arabo che abita nello stesso edificio di un terrorista dovrebbe essere considerato alla stregua del terrorista stesso – e trattato come tale – sta giustificando l’uccisione di persone innocenti”.
Vayishlach: lo stupro di Dinah
Dal sito: Sguardo a Sion
Il brano di questa settimana, con la vicenda di Dinah e dei suoi fratelli, porta tra le pagine della Genesi una drammatica esplosione di sangue e violenza.
Dinah, la giovane figlia del patriarca Yaakov, si allontana da casa per andare a incontrare le ragazze cananee, ma viene rapita e violentata da Shekhem, il principe dell’antica città omonima. Dopo lo stupro, Shekhem si mostra sinceramente innamorato di Dinah, e dichiara di volerla prendere in moglie. Chamor, re della città e padre di Shekhem, si reca da Yaakov e dalla sua famiglia con una proposta: “Mio figlio è innamorato della vostra figlia; dategliela in moglie! Anzi, alleatevi con noi: voi darete a noi le vostre figlie e vi prenderete per voi le nostre figlie, abiterete con noi e il paese sarà a vostra disposizione” (Genesi 34, 8-10). Yaakov tace, ma i suoi figli intervengono con astuzia: “Solo a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta, se cioè voi diventerete come noi, circoncidendo ogni vostro maschio” (34, 15). Chamor e Shekhem, spinti dall'interesse economico che sarebbe derivato dall'alleanza con la ricca famiglia di Yaakov, accettano l’accordo e fanno circoncidere ogni maschio del loro popolo. Dopo tre giorni, mentre gli abitanti di Shekhem sono indeboliti a causa della dolorosa operazione, viene attuato il terribile piano: “I due figli di Yaakov, Shimon e Levì, fratelli di Dinah, presero ciascuno una spada, entrarono nella città con sicurezza e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Chamor e suo figlio Shekhem, portarono via Dinah dalla casa di Shekhem e si allontanarono. I figli di Yaakov si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella” (34, 25-27).
Di fronte a questo racconto, ciascun lettore sarà portato a formulare dei giudizi morali a seconda dei propri valori e del proprio ambiente culturale. Ma i giudizi personali, spesso facili ed immediati, dovrebbero rimanere al di fuori dello studio della Torah. Dobbiamo dunque tenere da parte le nostre valutazioni e chiederci semplicemente quale sia il punto di vista del testo biblico sulla vicenda. La Torah giustifica le azioni di Shimon e Levì, oppure le condanna?
Il testo ci narra che Yaakov, dopo la strage compiuta dai suoi figli, rimprovera duramente Shimon e Levì. Eppure, la sua critica non deriva da motivazioni morali, ma da una preoccupazione di tipo pragmatico: “Allora Yaakov disse a Shimon e Levì: «Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese, ai Cananei e ai Perizziti, mentre io ho pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa» (Genesi 34, 30). Yaakov teme quindi la possibile reazione militare delle popolazioni vicine, ma Shimon e Levì rispondono al suo rimprovero: “Dovevamo forse lasciare che nostra sorella fosse trattata come una prostituta?” (34, 31).
Fino a questo punto non sembra essere emerso alcun giudizio morale contro l’inganno e il massacro compiuti da Shimon e Levì. Eppure, subito dopo questa drammatica vicenda, Yaakov riceve un comando da parte di Dio ed esorta tutta la sua famiglia con queste parole: “Rimuovete gli dèi stranieri che avete con voi, purificatevi e cambiate gli abiti. Poi alziamoci e andiamo a Betel, dove io costruirò un altare al Dio che mi ha esaudito al tempo della mia angoscia e che è stato con me nel cammino che ho percorso” (Genesi 35, 3). Non è un caso che questo bisogno di purificazione segua immediatamente la narrazione della strage. Gli idoli pagani a cui si fa riferimento, così come i gioielli citati al verso successivo, dovevano essere stati raccolti dai figli di Yaakov durante il saccheggio. La famiglia del patriarca è chiamata ora a privarsi di questi beni, che vengono non a caso seppelliti proprio nella città di Shekhem (35, 4). Che tale purificazione sia legata alla vicenda della strage è confermato da ciò che il testo racconta subito dopo: “Poi levarono l’accampamento e un terrore molto forte assalì i popoli che stavano attorno a loro, così che non inseguirono i figli di Yaakov” (35, 5). Soltanto ora che le spoglie conquistate durante l’assalto sono state abbandonate, la protezione divina può preservare la famiglia dagli attacchi dei popoli vicini.
Una condanna esplicita sarà poi pronunciata da Yaakov stesso, sul letto di morte, nella forma di una maledizione: “Shimon e Levì sono fratelli, le loro spade sono strumenti di violenza. Non entri l’anima mia nel loro consiglio, non si unisca la mia gloria alla loro adunanza. Poiché nella loro ira hanno ucciso degli uomini, e nella loro caparbietà hanno storpiato un toro. Maledetta la loro ira, perché è violenta, e il loro furore perché è crudele! Io li dividerò in Yaakov e li disperderò in Israele” (Genesi 49, 5-7).
Perché queste parole tanto severe giungono così in ritardo? È probabile che l’intento della Torah, nel racconto dello stupro di Dinah, sia quello di porre enfasi sulle responsabilità di Yaakov, più che sulla ferocia di Shimon e Levì. Il brano narra infatti che, pur essendo venuto a conoscenza dello stupro della figlia, il patriarca non reagì (vedi Genesi 34, 5). Quando Chamor e Shekhem si presentarono per proporre le loro trattative di matrimonio, Yaakov non disse nulla, ma lasciò che i propri figli gestissero la faccenda. Sembra perciò che questa passività del capofamiglia, su cui la Torah insiste, sia stata la causa degli orrori che seguirono. Tuttavia, come abbiamo visto, la Bibbia non tralascia di condannare anche le responsabilità individuali di Shimon e Levì.
Abbiamo fino ad ora analizzato il testo biblico senza confrontarci con la tradizione esegetica ebraica. Vediamo quindi di scoprire quali osservazioni siano state proposte dai vari autori rabbinici. Molti commentatori tendono a ridimensionare il peccato di Shimon e Levì, affermando ad esempio, come fa l'Or HaChayim, che gli abitanti di Shekhem parteciparono attivamente al rapimento di Dina, o che ostacolarono con le loro forze militari l’operazione di salvataggio dei due fratelli.
Nella sua codificazione dei sette precetti noachidi, Maimonide (Rabbi Moshe ben Maimon) espone un punto di vista altamente problematico sulla vicenda di Shekhem:
“Alle nazioni del mondo è comandato di istituire tribunali in ogni città per giudicare secondo i precetti, e di ammonire il popolo. Un noachide che ha violato uno dei sette precetti deve essere messo a morte tramite la spada. Per questa ragione tutti i signori di Shekhem meritavano la morte, perché Shekhem aveva rapito [Dinah] ed essi avevano visto e ne erano a conoscenza, ma non lo giudicarono” (Hilkhot Melakhim 9, 14).
Secondo Maimonide, gli abitanti della città si dimostrarono di fatto complici del crimine del loro principe, poiché non chiamarono Shekhem in giudizio, violando così il precetto universale che obbliga tutte le nazioni a perseguire la giustizia nella società, e rendendosi quindi meritevoli di morte. Tale affermazione è già di per sé molto controversa, in quanto riflette in modo discutibile solo una (la più severa) delle tre opinioni raccolte nel Talmud. Inoltre, c’è da chiarire che la pena di morte non è uno strumento di vendetta di cui chiunque può servirsi per compiere giustizia con le proprie mani. Dunque, anche se l’interpretazione di Maimonide fosse corretta, Shimon e Levì non avrebbero avuto alcun diritto di farsi giudici ed esecutori della pena.
Più coerente con il testo biblico sembra essere Nachmanide (Rabbi Moshe ben Nachman), che critica aspramente il comportamento di Shimon e Levì e prende le distanze dalle affermazioni di Maimonide:
“Poiché gli uomini di Shekhem erano malvagi, i figli di Yaakov consideravano il loro sangue come acqua [cioè pensavano che fosse permesso versare il loro sangue], e vollero quindi ottenere vendetta con le loro spade spietate. Così essi uccisero il re e tutti gli uomini della città in quanto erano suoi servi e ai suoi comandi. […] Essi agirono in modo crudele contro la gente della città promettendo: ‘Abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo’, e la gente del villaggio accettò, ma [Shimon e Levì] non mantennero la parola. Forse essi [gli abitanti della città] si sarebbero ravveduti tornando a Dio, ma [Shimon e Levì] li uccisero senza motivo, poiché quelli non avevano fatto loro alcun male. E ciò è quanto Yaakov intendeva dire con le parole: ‘Le loro spade sono strumenti di violenza’”.
Sulla stessa linea si pone il commento di Radak:
“Le loro spade sono strumenti di violenza – le loro spade furono strumenti di violenza, poiché essi uccisero tutti gli uomini di Shekhem senza una giustificazione; anche se Shekhem aveva commesso un crimine, qual era la colpa di tutti gli altri?“
Rav Tamir Granot, presentando un’interpretazione alternativa delle parole di Maimonide, propone in un suo articolo una brillante riflessione:
“In riferimento alle Leggi noachidi, Maimonide scrive: «Per questa ragione tutti i signori di Shekhem (ba’alei Shekhem) meritavano la morte». Ciò non dovrebbe essere inteso – al contrario di come molti ritengono – come un motivo per uccidere tutti i maschi della città, bensì come il motivo per mettere a morte la leadership della città, perché i capi non avevano fatto nulla per prevenire o per fermare l’abominio. Il termine ba’alei è impegato qui, come nel Libro dei Giudici, nella storia di Gedone, in riferimento ai capi che avrebbero potuto provvedere alla liberazione della vittima, ma non lo fecero e si resero perciò colpevoli. Le masse popolari non possono essere ritenute colpevoli di tutto ciò che avviene intorno a loro […]. Quando Abramo intervenne a favore di Sodoma, Dio gli rispose forse che tutti gli abitanti della città meritavano la morte perché non si erano opposti al male? Anche quando esiste una responsabilità indiretta, il principio di proporzionalità della pena rispetto al crimine deve essere mantenuto, e le nostre pretese devono essere ragionevoli. Una persona che pretende che ogni Arabo che abita nello stesso edificio di un terrorista dovrebbe essere considerato alla stregua del terrorista stesso – e trattato come tale – sta giustificando l’uccisione di persone innocenti”.