Contenuti della Sacra Bibbia
La Bibbia è l’insieme dei libri ebraici e cristiani che riconoscono la parola di Dio e le sue azioni per la salvezza. I vari contenuti, la durata e il modo della sua fissazione scritta, la pluralità delle lingue, culture e letterature danno al libro sacro dei cristiani una struttura complessa; e al tempo stesso la Bibbia è una testimonianza vivente e la guida della coscienza religiosa ebraico-cristiana. E’ opera di molte persone che hanno scritto sotto ispirazione divina, ma il vero autore è Dio. Attraverso di lei si può osservare l’evoluzione della lingua ebraica, dagli antichissimi resti poetici inseriti nei libri storici alla prosa classica dei libri di Samuele alle forme assai più tarde dell’Ecclesiaste. LA STRUTTURA I libri che compongono la Bibbia sono 73 (il loro elenco si chiama “canone”) e sono raggruppati in Antico Testamento e Nuovo Testamento. L’Antico Testamento è costituito da 46 libri, rappresenta l’unico e principale monumento della letteratura ebraica ed è costituito dalla “Bibbia ebraica” (ovvero tutti i libri ebraici e aramaici che risalgono dal periodo del II millennio a.C. fino agli ultimi secoli a.C. e i Deuterocanonici, cioè libri scritti in greco inseriti solo più tardi nel canone ma non riconosciuti sacri da ebrei e protestanti). Il Nuovo Testamento è composto di 27 libri redatti prevalentemente in greco ed è stato scritto da testimoni oculari, ovvero da persone che hanno assistito con i propri occhi a ciò che hanno narrato. L’ANTICO TESTAMENTO L’Antico Testamento preannuncia la nascita di Gesù ed è suddiviso principalmente in due parti che, a loro volta, sono composte di altri libri: Il PENTATEUCO o la Legge, comprende:
I LIBRI STORICI o Profeti Anteriori sono composti di:
Esistono altre divisioni dell’Antico Testamento che sono i libri Profetici (i quattro maggiori profeti sono: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele) e i libri Sapienziali. IL NUOVO TESTAMENTO Il Nuovo Testamento tratta dell’infanzia di Gesù, di testimonianze sulla sua vita e delle prime comunità cristiane. I libri che lo compongono sono:
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Elenco preso da Wikipedia a cui si riferiscono i link Antico Testamento Ebraico, Cattolico, Ortodosso, Protestante Pentateuco: Profeti anteriori o Libri storici: Profeti posteriori - Profeti maggiori: Profeti posteriori - Profeti minori: Scritti: Meghillot:
Deuterocanonici (non canonici per/secondo gli ebrei, canonici per cattolici e ortodossi, apocrifi per protestanti)
Ortodosso
Copto Siriaco (Peshitta) |
Capitoli e versetti: chi ha diviso la Bibbia in questo modo?
IMMAGINATE di essere cristiani del I secolo. La vostra congregazione ha appena ricevuto una lettera dall’apostolo Paolo. Mentre viene letta, notate che ci sono molte citazioni dagli “scritti sacri”, cioè dalle Scritture Ebraiche (conosci le sacre Scritture fin dall'infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù. 2 Timoteo 3:15). Così forse pensate: “Voglio proprio andare a vedere il brano che sta citando”. Ma non è affatto semplice. Per quale motivo?
NÉ CAPITOLI NÉ VERSETTI
Consideriamo che aspetto avevano i manoscritti degli “scritti sacri” disponibili al tempo di Paolo. Nell’immagine presente in questo articolo si vede un frammento del libro di Isaia contenuto nei Rotoli del Mar Morto. Cosa si può notare? Dei blocchi di testo. Niente punteggiatura. E nessuna divisione in capitoli e versetti simile a quella utilizzata oggi.
Gli scrittori biblici non divisero il testo in capitoli e versetti. Misero semplicemente per iscritto tutto quello che Dio aveva trasmesso loro, affinché anche i lettori potessero ricevere l’intero messaggio, non solo piccole parti di esso. D’altro canto cosa vorreste fare se una persona a cui volete bene vi scrivesse una lettera importante? Vorreste leggerla per intero, non a stralci.
L’assenza di capitoli e versetti rappresentava però un problema. Paolo poteva solo fare riferimento alle citazioni con espressioni del tipo “come è scritto” oppure “come Isaia aveva detto” (Romani 3:10; 9:29). E, a meno che non si conoscessero bene “gli scritti sacri”, sarebbe stato difficile ritrovare quelle citazioni.
Per di più non si trattava di un solo messaggio da parte di Dio. Entro la fine del I secolo, “gli scritti sacri” costituivano una raccolta di ben 66 libri diversi! Ecco perché oggi quasi tutti i lettori della Bibbia sono felici di avere una suddivisione in capitoli e versetti che li aiuti a trovare informazioni specifiche, come le tante citazioni nelle lettere di Paolo.
Forse ora vi state chiedendo: “Allora chi ha diviso la Bibbia in capitoli e versetti?”
CHI HA INSERITO I CAPITOLI?
La divisione della Bibbia in capitoli è attribuita all’ecclesiastico inglese Stephen Langton, che in seguito divenne arcivescovo di Canterbury. La realizzò all’inizio del XIII secolo, quando era docente presso l’Università di Parigi.
Prima dei giorni di Langton, gli studiosi avevano già provato a dividere la Bibbia in sezioni più piccole o capitoli, a quanto pare principalmente per facilitarne la consultazione. Immaginate quanto sarebbe stato più semplice cercare un passaggio in un solo capitolo anziché in un intero libro, ad esempio in quello di Isaia, che è formato da 66 capitoli.
Questo, comunque, fece sorgere un problema. Gli studiosi crearono molti sistemi, diversi e incompatibili tra loro. Uno di questi divideva il Vangelo di Marco in quasi 50 capitoli, invece dei 16 a cui siamo abituati oggi. Nella Parigi dei giorni di Langton c’erano studenti provenienti da diversi paesi, ciascuno dei quali portava con sé la propria Bibbia. Docenti e studenti, però, non riuscivano facilmente a comunicare tra di loro e a individuare il punto del manoscritto a cui si riferivano; la divisione in capitoli nei loro manoscritti, infatti, non era la stessa.
Langton, dunque, sviluppò una nuova divisione in capitoli. Un libro sull’argomento afferma che il suo sistema “ottenne il plauso dei lettori e dei copisti. [...] L’idea si diffuse rapidamente in tutta l’Europa” (The Book. A History of the Bible). Il sistema di numerazione dei capitoli che elaborò è lo stesso che ritroviamo oggi nella maggioranza delle Bibbie.
CHI HA INSERITO I VERSETTI?
Circa 300 anni più tardi, a metà del XVI secolo, il famoso tipografo ed erudito Robert Estienne semplificò ulteriormente le cose. Il suo obiettivo era rendere più accessibile lo studio della Bibbia. Si rese conto di quanto sarebbe stato utile avere un sistema uniforme per la numerazione sia dei capitoli che dei versetti.
Estienne non fu il primo a pensare alla suddivisione del testo biblico in versetti. Ci avevano già pensato altri. Secoli prima, ad esempio, copisti ebrei avevano suddiviso le Scritture Ebraiche, la parte della Bibbia conosciuta anche come Antico Testamento, in versetti ma non in capitoli. Ancora una volta, però, come nel caso dei capitoli, non c’era uniformità nel sistema di suddivisione.
Estienne ideò una nuova serie di versetti numerati per le Scritture Greche Cristiane, chiamate anche Nuovo Testamento, e la armonizzò con quella già in uso nelle Scritture Ebraiche. Nel 1553 pubblicò la prima Bibbia completa (un’edizione in francese) contenente praticamente gli stessi capitoli e versetti della maggioranza delle Bibbie moderne. Alcuni mossero delle critiche e dissero che i versetti frammentavano il testo biblico, facendolo apparire come una serie di pensieri separati e scollegati tra loro. Nonostante ciò, il suo sistema fu presto adottato da altri tipografi.
UNA VERA MANNA PER GLI STUDIOSI DELLA BIBBIA
Dividere il testo in capitoli e versetti sembra un’idea banale. Eppure questa divisione rende univoca l’ubicazione di ciascun versetto della Bibbia, proprio come un codice postale identifica una località. È vero che la suddivisione in capitoli e versetti non è stata ispirata da Dio e a volte spezza la narrazione biblica in punti inaspettati; tuttavia rende più facile localizzare le citazioni, mettere in rilievo singoli versetti che forse hanno un valore speciale per noi, e parlarne con altri. Questo è proprio quello che facciamo quando evidenziamo in un documento o un libro espressioni o frasi che desideriamo ricordare.
A prescindere dalla praticità della suddivisione in capitoli e versetti, comunque, è sempre bene ricordare l’importanza di farsi un quadro completo del messaggio che Dio ha dato e comprenderlo nel suo insieme. Coltivate l’abitudine di leggere i versetti tenendo conto del contesto, invece di isolarli. Così facendo sarete aiutati a conoscere sempre meglio ‘gli scritti sacri, che possono rendere saggi per la salvezza’ (2 Timoteo 3:15).
I manoscritti di Qumran
Il ritrovamento dei manoscritti di Qumran, località sulle rive occidentali del Mar Morto, rappresenta senza dubbio una delle maggiori scoperte archeologiche del nostro secolo.
Nel 1947 Mohamad ed-Dhib, un beduino della tribù Ta’amireh, cercava una capra sperduta quando il tonfo di un sasso lanciato per spronare l’animale, lo avvertiva della presenza di una grotta. Tornato in seguito sul posto con il cugino, si calò nella grotta e trovò diverse giare, alcune delle quali sigillate. In una di queste c’erano tre rotoli manoscritti, che essi poi portarono ad un antiquario di Betlemme. Era soltanto l’inizio di una serie di eccezionali ritrovamenti.
Fino al 1956 (quando già erano apparse le prime pubblicazioni dei testi ritrovati a partire dal ’47), nel raggio di alcuni chilometri, si scoprirono un totale di 11 grotte, ognuna contenente manoscritti o reperti archeologici che testimoniavano l’esistenza in quella zona di una comunità di stampo giudaico che si considerava il solo erede delle promesse d’Israele.
Questi manoscritti si erano conservati, alcuni di questi pressoché intatti, per circa due millenni.
Le undici grotte di Qumran ci hanno fornito i resti di circa 800 frammenti manoscritti (poi catalogati con una cifra di cui il primo numero indica la grotta, es.: 4Q= quarta grotta), datati tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C., scritti o copiati a Qumran oppure portati sulle rive del Mar Morto da altri luoghi. Sono scritti generalmente in ebraico, ma anche in aramaico, raramente in greco, e, sebbene molti siano frammentari, comprendono brani di tutti i libri della Bibbia ebraica (“protocanonici”), tranne quello di Ester (anche se altri testi dimostrano che esso non era sconosciuto), altri testi apocrifi e scritti riguardanti la dottrina della setta di Qumran.
Tra questi ultimi la celebre “Regola della comunità” fondamentale per capire la natura del gruppo di Qumran.
La comunità di Qumran rappresenta secondo gli studiosi una variante del più ampio gruppo religioso degli Esseni, una delle principali sétte del giudaismo di epoca neotestamentaria insieme a Sadducei e Farisei.
Le controversie più aspre sorte in seguito al ritrovamento dei testi del Mar Morto, riguardano le loro relazioni con il Nuovo Testamento e il Cristianesimo delle origini.
Le ipotesi di coloro che hanno voluto trovare collegamenti diretti tra gli Esseni di Qumran e le prime comunità cristiane, appaiono oggi pressoché infondate, (il nome e la figura di Gesù, ad esempio, fondamentale nel Nuovo Testamento, non è mai presente nei manoscritti di Qumran).
La constatazione di differenze concrete, nonché considerazione generali di natura storico-religiosa impediscono di ammettere una derivazione diretta del Cristianesimo dalla comunità di Qumran o dalle altre sette ebraiche presenti in Palestina in epoca neotestamentaria.
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