EBREI MESSIANICI, COME AI TEMPI DEGLI APOSTOLI
Si tratta di una sparuta minoranza ma in rapida crescita in questi ultimi anni e non solo nel mondo, ma anche dentro gli stessi confini di Israele.
Sono ebrei in tutto e per tutto ma credono che Gesù sia il vero Messia atteso. Per circa 2000 anni la Chiesa Cristiana ha mancato di adempiere alla sua missione di divulgare la buona notizia della venuta del Messia tra la popolazione degli Ebrei nel mondo. Ma ora è tempo di mutare la rotta. È tempo di portare il messaggio di Cristo anche tra gli ebrei, con buona pace dei fratelli "maggiori"... Segno escatologico? Chissà...!
Chi sono gli Ebrei Messianici?
Fin dai tempi di Gesù gran parte del popolo ebraico non ha accettato il Nazareno come il Salvatore e il Messia atteso e profetizzato. Nei tempi passati un ebreo che credeva in Gesù doveva rinnegare la propria origine ebraica, allontanarsi dalla sua famiglia e cancellare il suo passato. Quindi nel mondo giudaico un ebreo che crede in Gesù non è più ebreo. Ma, come lo erano Gesù, i suoi discepoli e gli Apostoli, così ci sono sempre stati, attraverso quasi 2000 anni, degli Ebrei che hanno accettato Yeshua (Gesù) come il Santo e il Redentore atteso da Israele.
Dio che è pieno di compassione per il Suo popolo e fedele alle Sue irrevocabili promesse ha in questo tempo illuminato tantissimi Ebrei circa la messianicità di Gesù di Nazaret, pur rimanendo Ebrei osservanti. Essi conservano le tradizioni, i comandamenti e tutte le festività ebraiche che Dio stesso ha ordinato nella Torah al Suo popolo.
Quindi, rispettano la Legge, le preghiere nelle sinagoghe, la liturgia ebraica, la circoncisione, indossano il tallit, il kipah e i tefillim, rispettano il giorno di Sabath (sabato) come giorno di riposo comandato, osservano la Kasherut, la dieta prescritta nella Scrittura ed altre usanze. A queste osservanze si aggiunge la fede nelle Sacre Scritture del Nuovo Testamento e una fede personale in Gesù Cristo come Messia e Salvatore. Questi Ebrei si denominano "Ebrei Messianici" e s'identificano con diverse correnti del Movimento messianico.
David H. Stern, nel suo libro "Messianic Jewish Manifesto", definisce un ebreo messianico: "una persona nata ebrea o convertita al giudaismo, un genuino credente in Yeshua e che riconosce la sua ebraicità" (Ideologia, teologia e il programma per il Giudaismo Messianico, Jewish New Testament Publications, 1991, pag.20).
John Fieldsend parla anche di "un movimento dello Spirito Santo in mezzo al popolo ebraico, nato autonomamente, che riconosce Gesù come il Messia atteso, che riconosce se stesso come parte del Corpo del Messia, che è unito nella fede con i fratelli e le sorelle 'gentili' (non ebrei) che credono in Gesù, ma che conserva la sua autonomia e la sua indipendenza" (Messianic Jews, 1993 Monarch Publications, Prefazione).
Questo movimento dello Spirito si è sviluppato negli ultimi 50 anni in mezzo al popolo di Dio in quasi tutti i paesi del mondo. Attualmente solo in Israele si contano più di 100 comunità messianiche. A livello mondiale si è costituito un dialogo per la riconciliazione e la conoscenza tra i cristiani di varie chiese e tradizioni (credenti gentili) e il movimento messianico (credenti di origine ebraica) dal titolo provocatorio "Verso il Secondo Concilio di Gerusalemme". Il dialogo internazionale tra Cattolici ed Ebrei messianici ha avuto inizio in Italia nel 2003 ad opera della Comunità di Gesù di Bari.
Padre Raniero Cantalamessa sugli ebrei messianici (17 marzo 2017)
1. La fede di Nicea
Proseguiamo, in questa meditazione, la riflessione sul ruolo dello Spirito Santo nella conoscenza di Cristo. A questo proposito non si può tacere una riprova in atto oggi nel mondo. Esiste da tempo un movimento chiamato degli “Ebrei messianici”, cioè degli Ebrei-cristiani. (“Cristo” e “cristiano” non sono che la traduzione greca dell’ebraico Messia e messianico!). Una stima per difetto parla di 150 mila aderenti, distinti in gruppi e associazioni diverse tra loro, diffusi soprattutto negli stati Uniti, in Israele e in varie nazioni europee.
Sono ebrei che credono che Gesú, Yeshua, è il Messia promesso, il Salvatore e il Figlio di Dio, ma non vogliono assolutamente rinunciare alla loro identità e tradizione ebraica. Non aderiscono ufficialmente a nessuna delle Chiese cristiane tradizionali, perché intendono ricollegarsi e far rivivere la primitiva Chiesa dei giudeo-cristiani, la cui esperienza fu interrotta bruscamente da noti eventi traumatici.
La Chiesa cattolica e le altre Chiese si sono sempre astenute dal promuovere, e perfino nominare, questo movimento per ovvie ragioni di dialogo con l’ebraismo ufficiale. Io stesso non ne ho mai parlato. Ma ora si sta facendo strada la convinzione che non è giusto continuare a ignorarli o, peggio, ostracizzarli da una parte e dell’altra. È uscito da poco in Germania uno studio di diversi teologi sul fenomeno . Se ne parlo in questa sede è per un motivo preciso, attinente al tema di queste meditazioni. A una inchiesta sui fattori e le circostanze che sono state all’origine della loro fede in Gesú, più del 60% degli interessati ha risposto: “una trasformazione interiore ad opera dello Spirito Santo”; al secondo posto c’è la lettura della Bibbia e al terzo, contatti personali . È una conferma dalla vita che lo Spirito Santo è colui che da la vera, intima conoscenza di Cristo.
Riprendiamo dunque il filo delle nostre considerazioni storiche. Finché la fede cristiana rimase ristretta all’ambito biblico e giudaico, la proclamazione di Gesù come Signore (“Credo in un solo Signore Gesú Cristo”), soddisfaceva tutte le esigenze della fede cristiana e giustificava il culto di Gesù “come Dio”. Signore, Adonai, era infatti per Israele un titolo inequivocabile; esso appartiene esclusivamente a Dio. Chiamare Gesú Signore, equivale perciò a proclamarlo Dio. Abbiamo una prova inconfutabile del ruolo svolto dal titolo Kyrios all’inizio della Chiesa come espressione del culto divino attribuito a Cristo. Nella sua versione aramaica Maran-atha (Il Signore viene), o Marana-tha (Vieni, Signore!), esso appare già in san Paolo come formula liturgica (1 Cor 16, 22) ed è una delle poche parole conservate nella lingua della primitiva comunità .
Non appena però il cristianesimo si affacciò sul mondo greco romano circostante, il titolo di Signore, Kyrios, non bastava più. Il mondo pagano conosceva molti e diversi “signori”, primo fra tutti, appunto, l’imperatore romano. Occorreva trovare un altro modo per garantire la piena fede in Cristo e il suo culto divino. La crisi ariana ne offrì l’occasione.
Questo ci introduce alla seconda parte dell’articolo su Gesù, quella che fu aggiunta al simbolo di fede nel concilio di Nicea del 325:
“nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della stessa sostanza (homoousios) del Padre”.
Il vescovo di Alessandria, Atanasio, campione indiscusso della fede nicena, è ben convinto di non essere lui, né la Chiesa del suo tempo, a scoprire la divinità di Cristo. Tutta la sua opera consisterà, al contrario, nel mostrare che questa è stata sempre la fede della Chiesa; che nuova non è la verità, ma l’eresia contraria. La sua convinzione a questo riguardo trova una conferma storica indiscussa nella lettera che Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, scrisse all’imperatore Traiano intorno all’anno 111 d.C. L’unica notizia certa che egli dice di possedere nei confronti dei cristiani è che “sono soliti radunarsi prima dell’alba, in un giorno stabilito della settimana, e inneggiare a Cristo come a Dio” (“carmenque Christo quasi Deo dicere”)
La fede nella divinità di Cristo esisteva dunque già ed è solo ignorando completamente la storia che qualcuno ha potuto affermare che la divinità di Cristo è un dogma voluto e imposto dall’imperatore Costantino nel concilio di Nicea. L’apporto dei Padri di Nicea e in particolare di Atanasio, fu, più che altro, quello di rimuovere gli ostacoli che avevano impedito fino allora un riconoscimento pieno e senza reticenze della divinità di Cristo nelle discussioni teologiche.
Uno di tali ostacoli era l’abitudine greca di definire l’essenza divina con il termine agennetos, ingenerato. Come proclamare che il Verbo è vero Dio, dal momento che esso è Figlio, cioè generato dal Padre? Era facile per Ario stabilire l’equivalenza: generato, uguale fatto, cioè passare gennetos a genetos, e concludere con la celebre frase che fece esplodere il caso: “Ci fu un tempo in cui non c’era!” (en ote ouk en). Questo equivaleva a fare di Cristo una creatura, anche se non “come le altre creature”. Atanasio risolve la controversia con una osservazione elementare: “Il termine agenetos fu inventato dai greci perché non conoscevano ancora il Figlio” e difese a spada tratta l’espressione “generato, ma non fatto”, genitus non factus, di Nicea,
Un altro ostacolo culturale al pieno riconoscimento della divinità di Cristo, sul quale Ario poteva appoggiare la sua tesi, era la dottrina di una divinità intermedia, il deuteros theos, preposto alla creazione del mondo. Da Platone in poi, essa era diventata un dato comune a molti sistemi religiosi e filosofici dell’antichità. La tentazione di assimilare il Figlio, “per mezzo del quale erano state create tutte le cose”, a questa entità intermedia era rimasta strisciante nella speculazione cristiana (Apologisti, Origene), anche se estranea alla vita interna della Chiesa. Ne risultava uno schema tripartito dell’essere: al vertice, il Padre ingenerato; dopo di lui, il Figlio (e più tardi anche lo Spirito Santo); al terzo posto, le creature.
La definizione del “genitus non factus” e dell’homoousios , rimuove questo ostacolo e opera la catarsi cristiana dell’universo metafisico dei greci. Con tale definizione, una sola linea di demarcazione è tracciata sulla verticale dell’essere. Esistono due soli modi di essere: quello del creatore e quello delle creature e il Figlio si colloca dalla parte del primo, non delle seconde.
Volendo racchiudere in una frase il significato perenne della definizione di Nicea, potremmo formularla così: in ogni epoca e cultura, Cristo deve essere proclamato “Dio”, non in una qualche accezione derivata o secondaria, ma nell’accezione più forte che la parola “Dio” ha in tale cultura.
È importante sapere cosa motiva Atanasio e gli altri teologi ortodossi nella battaglia, da dove, cioè, viene loro una certezza così assoluta. Non dalla speculazione, ma dalla vita; più precisamente, dalla riflessione sull’esperienza che la Chiesa, grazie all’azione dello Spirito Santo, fa della salvezza in Cristo Gesú.
L’argomento soteriologico non nasce con la controversia ariana; esso è presente in tutte le grandi controversie cristologiche antiche, da quella antignostica a quella antimonotelita. Nella sua formulazione classica esso suona così: “Ciò che non è assunto non è salvato” (“Quod non est assumptum non est sanatum”) . Nell’uso che ne fa Atanasio, esso può essere così inteso: “Ciò che non è assunto da Dio non è salvato”, dove la forza è tutta in quella breve aggiunta “da Dio”. La salvezza esige che l’uomo non sia assunto da un intermediario qualsiasi, ma da Dio stesso: “Se il Figlio è una creatura – scrive Atanasio – l’uomo rimarrebbe mortale, non essendo unito a Dio”, e ancora: “L’uomo non sarebbe divinizzato, se il Verbo che divenne carne non fosse della stessa natura del Padre” .
Occorre tuttavia fare una precisazione importante. La divinità di Cristo non è un “postulato” pratico, come è, per Kant, l’esistenza stessa di Dio . Non è un postulato, ma la spiegazione di un dato di fatto. Sarebbe un postulato – e dunque una deduzione teologica umana – se si partisse da una certa idea di salvezza e da essa si deducesse la divinità di Cristo come l’unica capace di operare tale salvezza; è invece la spiegazione di un dato se si parte, come fa Atanasio, da una esperienza di salvezza e si dimostra come essa non potrebbe esistere se Cristo non fosse Dio. In altre parole, non è sulla salvezza che si fonda la divinità di Cristo, ma è sulla divinità di Cristo che si fonda la salvezza.
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1. La fede di Nicea
Proseguiamo, in questa meditazione, la riflessione sul ruolo dello Spirito Santo nella conoscenza di Cristo. A questo proposito non si può tacere una riprova in atto oggi nel mondo. Esiste da tempo un movimento chiamato degli “Ebrei messianici”, cioè degli Ebrei-cristiani. (“Cristo” e “cristiano” non sono che la traduzione greca dell’ebraico Messia e messianico!). Una stima per difetto parla di 150 mila aderenti, distinti in gruppi e associazioni diverse tra loro, diffusi soprattutto negli stati Uniti, in Israele e in varie nazioni europee.
Sono ebrei che credono che Gesú, Yeshua, è il Messia promesso, il Salvatore e il Figlio di Dio, ma non vogliono assolutamente rinunciare alla loro identità e tradizione ebraica. Non aderiscono ufficialmente a nessuna delle Chiese cristiane tradizionali, perché intendono ricollegarsi e far rivivere la primitiva Chiesa dei giudeo-cristiani, la cui esperienza fu interrotta bruscamente da noti eventi traumatici.
La Chiesa cattolica e le altre Chiese si sono sempre astenute dal promuovere, e perfino nominare, questo movimento per ovvie ragioni di dialogo con l’ebraismo ufficiale. Io stesso non ne ho mai parlato. Ma ora si sta facendo strada la convinzione che non è giusto continuare a ignorarli o, peggio, ostracizzarli da una parte e dell’altra. È uscito da poco in Germania uno studio di diversi teologi sul fenomeno . Se ne parlo in questa sede è per un motivo preciso, attinente al tema di queste meditazioni. A una inchiesta sui fattori e le circostanze che sono state all’origine della loro fede in Gesú, più del 60% degli interessati ha risposto: “una trasformazione interiore ad opera dello Spirito Santo”; al secondo posto c’è la lettura della Bibbia e al terzo, contatti personali . È una conferma dalla vita che lo Spirito Santo è colui che da la vera, intima conoscenza di Cristo.
Riprendiamo dunque il filo delle nostre considerazioni storiche. Finché la fede cristiana rimase ristretta all’ambito biblico e giudaico, la proclamazione di Gesù come Signore (“Credo in un solo Signore Gesú Cristo”), soddisfaceva tutte le esigenze della fede cristiana e giustificava il culto di Gesù “come Dio”. Signore, Adonai, era infatti per Israele un titolo inequivocabile; esso appartiene esclusivamente a Dio. Chiamare Gesú Signore, equivale perciò a proclamarlo Dio. Abbiamo una prova inconfutabile del ruolo svolto dal titolo Kyrios all’inizio della Chiesa come espressione del culto divino attribuito a Cristo. Nella sua versione aramaica Maran-atha (Il Signore viene), o Marana-tha (Vieni, Signore!), esso appare già in san Paolo come formula liturgica (1 Cor 16, 22) ed è una delle poche parole conservate nella lingua della primitiva comunità .
Non appena però il cristianesimo si affacciò sul mondo greco romano circostante, il titolo di Signore, Kyrios, non bastava più. Il mondo pagano conosceva molti e diversi “signori”, primo fra tutti, appunto, l’imperatore romano. Occorreva trovare un altro modo per garantire la piena fede in Cristo e il suo culto divino. La crisi ariana ne offrì l’occasione.
Questo ci introduce alla seconda parte dell’articolo su Gesù, quella che fu aggiunta al simbolo di fede nel concilio di Nicea del 325:
“nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della stessa sostanza (homoousios) del Padre”.
Il vescovo di Alessandria, Atanasio, campione indiscusso della fede nicena, è ben convinto di non essere lui, né la Chiesa del suo tempo, a scoprire la divinità di Cristo. Tutta la sua opera consisterà, al contrario, nel mostrare che questa è stata sempre la fede della Chiesa; che nuova non è la verità, ma l’eresia contraria. La sua convinzione a questo riguardo trova una conferma storica indiscussa nella lettera che Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, scrisse all’imperatore Traiano intorno all’anno 111 d.C. L’unica notizia certa che egli dice di possedere nei confronti dei cristiani è che “sono soliti radunarsi prima dell’alba, in un giorno stabilito della settimana, e inneggiare a Cristo come a Dio” (“carmenque Christo quasi Deo dicere”)
La fede nella divinità di Cristo esisteva dunque già ed è solo ignorando completamente la storia che qualcuno ha potuto affermare che la divinità di Cristo è un dogma voluto e imposto dall’imperatore Costantino nel concilio di Nicea. L’apporto dei Padri di Nicea e in particolare di Atanasio, fu, più che altro, quello di rimuovere gli ostacoli che avevano impedito fino allora un riconoscimento pieno e senza reticenze della divinità di Cristo nelle discussioni teologiche.
Uno di tali ostacoli era l’abitudine greca di definire l’essenza divina con il termine agennetos, ingenerato. Come proclamare che il Verbo è vero Dio, dal momento che esso è Figlio, cioè generato dal Padre? Era facile per Ario stabilire l’equivalenza: generato, uguale fatto, cioè passare gennetos a genetos, e concludere con la celebre frase che fece esplodere il caso: “Ci fu un tempo in cui non c’era!” (en ote ouk en). Questo equivaleva a fare di Cristo una creatura, anche se non “come le altre creature”. Atanasio risolve la controversia con una osservazione elementare: “Il termine agenetos fu inventato dai greci perché non conoscevano ancora il Figlio” e difese a spada tratta l’espressione “generato, ma non fatto”, genitus non factus, di Nicea,
Un altro ostacolo culturale al pieno riconoscimento della divinità di Cristo, sul quale Ario poteva appoggiare la sua tesi, era la dottrina di una divinità intermedia, il deuteros theos, preposto alla creazione del mondo. Da Platone in poi, essa era diventata un dato comune a molti sistemi religiosi e filosofici dell’antichità. La tentazione di assimilare il Figlio, “per mezzo del quale erano state create tutte le cose”, a questa entità intermedia era rimasta strisciante nella speculazione cristiana (Apologisti, Origene), anche se estranea alla vita interna della Chiesa. Ne risultava uno schema tripartito dell’essere: al vertice, il Padre ingenerato; dopo di lui, il Figlio (e più tardi anche lo Spirito Santo); al terzo posto, le creature.
La definizione del “genitus non factus” e dell’homoousios , rimuove questo ostacolo e opera la catarsi cristiana dell’universo metafisico dei greci. Con tale definizione, una sola linea di demarcazione è tracciata sulla verticale dell’essere. Esistono due soli modi di essere: quello del creatore e quello delle creature e il Figlio si colloca dalla parte del primo, non delle seconde.
Volendo racchiudere in una frase il significato perenne della definizione di Nicea, potremmo formularla così: in ogni epoca e cultura, Cristo deve essere proclamato “Dio”, non in una qualche accezione derivata o secondaria, ma nell’accezione più forte che la parola “Dio” ha in tale cultura.
È importante sapere cosa motiva Atanasio e gli altri teologi ortodossi nella battaglia, da dove, cioè, viene loro una certezza così assoluta. Non dalla speculazione, ma dalla vita; più precisamente, dalla riflessione sull’esperienza che la Chiesa, grazie all’azione dello Spirito Santo, fa della salvezza in Cristo Gesú.
L’argomento soteriologico non nasce con la controversia ariana; esso è presente in tutte le grandi controversie cristologiche antiche, da quella antignostica a quella antimonotelita. Nella sua formulazione classica esso suona così: “Ciò che non è assunto non è salvato” (“Quod non est assumptum non est sanatum”) . Nell’uso che ne fa Atanasio, esso può essere così inteso: “Ciò che non è assunto da Dio non è salvato”, dove la forza è tutta in quella breve aggiunta “da Dio”. La salvezza esige che l’uomo non sia assunto da un intermediario qualsiasi, ma da Dio stesso: “Se il Figlio è una creatura – scrive Atanasio – l’uomo rimarrebbe mortale, non essendo unito a Dio”, e ancora: “L’uomo non sarebbe divinizzato, se il Verbo che divenne carne non fosse della stessa natura del Padre” .
Occorre tuttavia fare una precisazione importante. La divinità di Cristo non è un “postulato” pratico, come è, per Kant, l’esistenza stessa di Dio . Non è un postulato, ma la spiegazione di un dato di fatto. Sarebbe un postulato – e dunque una deduzione teologica umana – se si partisse da una certa idea di salvezza e da essa si deducesse la divinità di Cristo come l’unica capace di operare tale salvezza; è invece la spiegazione di un dato se si parte, come fa Atanasio, da una esperienza di salvezza e si dimostra come essa non potrebbe esistere se Cristo non fosse Dio. In altre parole, non è sulla salvezza che si fonda la divinità di Cristo, ma è sulla divinità di Cristo che si fonda la salvezza.
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EBREI MESSIANICI - SETTE VIDEO PER CAPIRE
I MESSIANICI - CHI SONO E COSA FANNO
L’identità dei messianici espressa, molto chiaramente, da uno dei più grossi gruppi messianici internazionali, la International Messianic Jewish Alliance
Ebraismo messianico è il termine usato per definire quella parte del popolo ebraico che crede in Gesù. L’ebreo messianico conserva lo stile di vita, gli usi, le tradizioni e il modo di adorare D-o propri del popolo ebraico e contemporaneamente crede che Yeshua (Gesù) di Nazareth sia il Messia promesso nelle Scritture. L’ebraismo messianico è parte del Corpo del Messia, ma reclama il diritto di esprimersi in modo coerente con l’eredità ebraica.
Gli ebrei messianici credono pur mantenendo l’espressione ebraica della loro fede, perciò, essi osservano tutte le feste bibliche (Passover, Succoth, Shavuot, etc.) che il popolo ebraico era chiamato ad osservare per tutte le generazioni.
Altra caratteristica di questo movimento è l’amore e il supporto dato alla nazione di Israele.
Gli ebrei messianici di solito fondano delle comunità per il loro culto, sebbene ci siano molti casi in cui gli ebrei che credono nel Messia, aderiscono allo stile di vita del messianismo e allo stesso tempo rimangono affiliati alle chiese evangeliche tradizionali.
Queste congregazioni Messianiche si ispirano alla chiesa primitiva del “Brit Hadashah” (Nuovo Testamento). Le congregazioni messianiche, che a volte sono chiamate Sinagoghe messianiche, hanno alcune peculiarità: Culto al sabato, musica di Davide, danza e molte altre tradizioni ebraiche coerenti con le tradizioni bibliche. In pieno accordo con gli insegnamenti dell’Antico Testamento, la porta è aperta a tutti Ebrei e Gentili.
Uno degli obiettivi dell’ebraismo messianico è di creare connessioni fra l’ebraismo e il cristianesimo. A causa della sua origine e composizione, l’ebraismo messianico cerca di aiutare la chiesa a riscoprire le sue radici ebraiche e allo stesso tempo aiuta l’ebraismo tradizionale ad avere una maggiore comprensione dell’eredità comune che esso ha con la fede cristiana.
Da quanto sopra le due domande più importanti che mi vengono in mente sono le seguenti:
Premesso che una massiccia e reale conversione di ebrei ha già cominciato il suo corso, e non siamo che agli inizi, in quale chiesa dovrebbero dirigersi gli ebrei messianici in Italia e come dovrebbero essere accolti? È lecito imporgli di trasformarsi a nostra immagine sfruttando la posizione di forza del loro numero troppo basso per avere una propria comunità?
I credenti fra i Gentili che pur rimanendo, legittimamente ancorati al proprio movimento evangelico, hanno sete di verità senza compromessi e ricercano le radici ebraiche della scrittura, allo scopo di imitare la chiesa che Gesù ha fondato e lasciato nel primo secolo, dovrebbero attenersi allo stile di vita dei messianici di cui prima abbiamo dato la definizione?
Delle risposte autorevoli ed universali potrebbe darle solo un Mandatario Divino ed in sua assenza, premettendo di avere ricercato da diverso tempo l’aiuto dello Spirito Divino, proverò a suggerire delle risposte, su cui invito tutti a riflettere. Andiamo perciò alla
Prima Domanda
Proviamo ad usare un po’ di logica e chiediamoci: se, prendendo come riferimento la chiesa del primo secolo, sono più coerenti i Messianici di cui alla definizione o noi nelle nostre comunità?
Incontestabilmente i vari movimenti cristiano evangelici hanno in genere dottrine così diverse, in molti aspetti fondamentali, che è impossibile abbiano tutti ragione contemporaneamente.
La chiesa dei primi secoli, dopo l’esilio degli Ebrei nel 70 D.C., rimase orfana della guida spirituale della chiesa di Gerusalemme la quale, vedi atti 15, aveva arbitrato inizialmente la via da seguire.
In termini storici, poco più tardi, sotto l’imperatore romano Costantino la chiesa cristiana divorzia definitivamente dall’ala ebraica . L’Imperatore romano, effettua infatti diversi radicali cambiamenti.
Nel 325 al concilio di Nicea separa la Pasqua ebraica dalla pasqua cristiana con un computo del tempo diverso.
Nel 331 cambia il nome del giorno festivo da “giorno del sole” a “giorno del Signore” ovvero domenica. Avallando di fatto l’operato del suo predecessore Aureliano che, per istituire il giorno del sole, aveva slittato nel 273 il giorno festivo al primo giorno della settimana, corrispondente alla nostra domenica e stabilito il 25 dicembre la festività annuale del sole invitto, che sotto Costantino diventerà il Natale di Gesù.
Per il resto, Costantino pur non avendo speciale interesse né per il cristianesimo né per l’ebraismo, vedendo gli accesi scontri fra le due fazioni e intuendo ciò come un fattore politico destabilizzante, fece di tutto per isolarle l’una dall’altra, il che è un fatto storico noto e affrontato anche da Eusebio di Cesarea nel suo scritto “ La vita di Costantino”.
Grande sconfitta fu la verità, sacrificata sull’altare Machiavellico della vittoria politica.
Dopo un balzo storico di notevoli dimensioni, saltando sino al periodo della riforma, notiamo che dopo un periodo di decadenza terribile del cristianesimo, che di Cristo conservava poco più che il nome, iniziò un periodo di risveglio per opera dello Spirito di Dio fino ai giorni nostri, ma senza l’avvento di profeti del calibro di Mosè, detentori di una indiscutibile autorità delegata, per indicare senza incertezze né contestazioni, la corretta dottrina su scala planetaria; né d’altra parte lo Spirito di Dio, lasciato da Gesù a guida della Chiesa, ha mai condotto questo ministero apparendo visibilmente o guidando direttamente i conduttori della chiesa su scala mondiale, allo scopo di evitare qualsiasi sviamento dalla verità.
Il risultato di ciò è l’esistenza di svariate chiese cristiane, tutte diverse fra di loro, e che ricordano solo in parte la loro matrice originale, e che, forse senza rendersene conto, sono comunque partite dal fondamento della chiesa cattolica del loro tempo senza alcun processo di azzeramento. È forse questa la volontà di Dio? C’è qualcuno che con autorità delegata può rispondere a questa domanda?
Passiamo ora ad esaminare se in qualche misura la Chiesa Messianica di cui abbiamo prima dato la definizione corrisponde alla matrice a cui appartenevano Paolo, Pietro, Giacomo e gli altri discepoli di Gesù.
La chiesa del primo secolo osservava tutte le festività bibliche e si riuniva di sabato, secondo il comandamento, perché come abbiamo detto prima questa variante fu definitivamente introdotta nella chiesa da Costantino, che l’aveva però ereditata dall’attività pagana del suo predecessore Aureliano.
La chiesa degli apostoli osservava la differenziazione dei cibi puri ed impuri( vedasi la visione di Pietro in atti 10:9-16 ) e teneva in alta considerazione le sole scritture allora esistenti: l’A.T. e i comandamenti.
Qual’era quindi la reale differenza, ai tempi di Gesù, fra il cristianesimo e l’ebraismo classico e quale l’errore degli ebrei cristiani detti “ giudaizzanti”?
Cominciamo dall’ultimo punto e consideriamo Atti 15: 1 e 15: 5
“Alcuni, discesi di Giudea, insegnavano i fratelli: se voi non siete circoncisi, secondo il rito di Mosè, voi non potete esser salvati”
“Ma, dicevano, alcuni della setta de’ Farisei, i quali hanno creduto, si son levati, dicendo che convien circoncidere i Gentili, e comandar loro d’osservar la legge di Mosè.”
Queste affermazioni dei Giudaizzanti pur traendo fondamento da motivazioni bibliche, sono in realtà parzialmente errate.
La salvezza, come è universalmente noto, viene donata per la grazia in Gesù il Cristo, a chi in Lui crede, come Signore e Redentore, e non dall’osservanza della legge. Sebbene quest’ultima conservi del tutto ogni validità, perciò l’espressione “ se non siete circoncisi non potete essere salvati” non può essere accettata.
Ma, i concetti contenuti nelle due affermazioni dei Giudaizzanti sono diversi, continuiamo quindi con ordine ad analizzare cosa si intende con la frase “comandar loro di osservare la legge di Mosè”.
Chi conosce l’ebraismo dal di dentro sa che essi intendevano una obbedienza a tutto l’ebraismo, cioè l’insieme della Torah scritta e della Torah orale. Se il valore della torah scritta,ovvero il pentateuco di Mosè, è confermato da Gesù, Paolo e Giacomo, solo per fare alcuni nomi, non così è per la torah orale. Cos’è la torah orale e quando si sviluppò?
I rabbini dicono che la Torah orale, meglio conosciuta come “la tradizione ebraica” venne data da Dio sul Sinai insieme alla Torah scritta.
Di fatto si sviluppò in un arco di diversi secoli a cominciare dal periodo dell’esilio babilonese ( 586 A.C.) sia in Babilonia che parallelamente in Israele, nella forma di insegnamenti ” Midrashim” e Misnaioth ( raccolte di insegnamenti monotematici).
Tutto questo materiale rimase in forma orale fin dopo la distruzione del Tempio ad opera dei Romani.
Ai tempi di Gesù e degli Apostoli essa era quindi quella tradizione che Gesù stesso avversò e combatté.
Marco7: 9 Disse loro ancora: Bene annullate voi il comandamento di Dio, per osservar la vostra tradizione. ; Marco 7: 13 annullando così la parola di Dio con la vostra tradizione, la quale voi avete ordinata. E fate assai cose simili.
A tale tradizione si riferiva anche Pietro in Atti 15: 10 “Ora dunque, perchè tentate Iddio, mettendo un giogo sopra il collo de’ discepoli, il qual nè i padri nostri, nè noi, non abbiam potuto portare?”
Tradizione che Paolo chiamò opere morte. Quindi poiché Gesù e gli Apostoli presero ben le distanze dalla Tradizione Ebraica, la richiesta dei Giudaizzanti non può essere accettata, ricordando però che qui la Torah scritta non c’entra nulla.
Riassumendo e concludendo la risposta alla prima domanda, la differenza fra la chiesa degli Apostoli e l’Ebraismo classico stava:
-nell’accettare Yeshua ( Gesù) come Messia e la salvezza per fede nel suo sangue, piuttosto che nell’adempimento dei precetti;
-nel battesimo dello Spirito di Dio sceso sui discepoli il giorno di Shavuoth ( pentecoste) Atti 2;
-nel cambio di sacerdozio, come spiegano Paolo nell’epistola agli Ebrei e Pietro nella sua prima epistola;
-nella comprensione della Torah alla luce dello spirito di Dio, così come Gesù stesso diede esempio nel sermone sul monte vedi Matteo 5, e per ultimo un misurato distacco ( non un totale rifiuto) dalla torah orale che per quanto espresso prima è di fatto una tradizione rabbinica.
Alla luce di tutto ciò si può trarre una prima conclusione, ovvero che i messianici di cui alla definizione, sono enormemente più vicini alla matrice della prima chiesa di quanto lo sia qualunque Chiesa Cristiana oggi, per cui credo che un ebreo che si converta a Gesù, in Italia, debba essere accolto fraternamente, ma non obbligato a snaturarsi e a prendere la nostra tradizione.
Seconda Domanda
Quale sistema più squisitamente ebraico che rispondere alla seconda domanda, ponendo altre domande? “ I gentili che si convertono hanno forse gli stessi obblighi degli ebrei? Non dice la prima conferenza di Gerusalemme qualcosa a proposito?”
Da quando gli angeli hanno sbarrato la strada verso l’albero della vita, nel giardino di Eden l’ingresso al cielo ed all’eternità è per chiamata.
Giov 6: 44 “Niuno può venire a me, se non che il Padre che mi ha mandato lo tragga; ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno.”
Abramo fu chiamato, e alla sua discendenza furono fatte diverse promesse.
Come dice Paolo anche i Gentili obbedienti alla voce di Dio sono stati profeticamente chiamati tra la sua progenie. Ma non tutti i figli di Abramo sono progenie d’Abramo e anche così cita Gesù: “ molti i chiamati ma pochi gli eletti” .
In parole povere, per entrare nel regno di Dio bisogna essere chiamati, ma questo non è garanzia di entrata. Aggiungiamo anche che Dio ordinò che per mangiare la Pasqua (figura della conversione) chiunque non appartenesse al popolo ebraico doveva essere circonciso, cioè divenire ebreo. Quando Gesù mandò in tutto il mondo ad annunciare la sua parola, comandò anche di battezzare i neofiti come condizione essenziale per la salvezza ( Marco 16:16 Chi avrà creduto, e sarà stato battezzato, sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato).
In termini ebraici il battesimo o mikvè ad un Gentile rappresenta il suo ingresso finale e definitivo nel popolo ebraico. La circoncisione ai maschi infatti viene eseguita prima di tale evento.
Gli ebrei cristiani giudaizzanti che abbiamo visto prima in Atti 15: 1, erravano nell’indicare ancora la salvezza per opere, ma la loro richiesta di circoncisione non era del tutto campata in aria, tanto è vero che quella richiesta non trovò una facile e scontata risposta e la bibbia racconta che ne nacque una gran discussione.
Tenendo a mente ciò che abbiamo detto prima riguardo alla Torah orale, ovvero la tradizione, proviamo a ricostruire quale fu la logica seguita dagli Apostoli nel dare la risposta e come deve essa intendersi.
Gli Apostoli temettero che se avessero acconsentito alla circoncisione dei Gentili, questi in un modo o nell’altro avrebbero dovuto fare i conti con la Tradizione ebraica e ne sarebbero rimasti scoraggiati e schiacciati, mentre chi era nato ebreo aveva l’esperienza sufficiente per tenere un giusto equilibrio, come avevano imparato i discepoli sotto la guida di Gesù ( es: lavarsi le mani prima di mangiare o svellere le spighe di sabato). Per cui nella decisione finale non fu richiesto ai gentili di circoncidersi (come concessione), e dalla Tradizione furono estrapolati quei quattro precetti che sono a tutti noti.
Nessuno però mise in discussione la torah scritta, perché il suo valore era talmente scontato che furono spese solo le seguenti parole. Atti 15: 21 “Poiché Mosè fin dalle antiche generazioni ha chi lo predica in ogni città, essendo letto nelle sinagoghe ogni sabato.”
Notate attentamente che nei quattro precetti richiesti nessun fondamentale comandamento fu citato ( perché la Torah scritta era fuori discussione) nemmeno i due grandi comandamenti riassuntivi che Gesù diede ad un attento scriba.
Marco 12: 28-33 “ Or uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto ch’egli avea loro ben risposto, si accostò e gli domandò: Qual è il comandamento primo fra tutti?
E Gesù rispose: Il primo è: Ascolta, Israele: Il Signore Iddio nostro è l’unico Signore: ama dunque il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua e con tutta la forza tua.
Il secondo è questo: Ama il tuo prossimo come te stesso. Non v’è alcun altro comandamento maggiore di questi.
E lo scriba gli disse: Maestro, ben hai detto secondo verità che v’è un Dio solo e che fuor di lui non ve n’è alcun altro; e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l’intelletto e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso, è assai più che tutti gli olocausti e i sacrifici.”
Credo sia pura follia affermare che Gesù abbia sostituito questi suoi insegnamenti, che non cancellano la Torah scritta, con quei quattro precetti, uno dei quali lo stesso apostolo Paolo contraddice ( mangiare delle cose sacrificate agl’idoli).
Conclusione
Nel corso dei secoli le Chiese Cristiane hanno intrapreso un corso ed acquisito tradizioni nuove e a loro peculiari. Chi ricerca la verità biblica e le radici storiche dell’Ebraismo fa bene, ma per non aumentare il disastro perpetrato dal Nemico delle anime nostre è meglio conservare l’unità delle chiese, e non aumentare la confusione già presente. Meglio quindi, se non si trova una comunità messianica, mettere in pratica la proprie scelte nel privato e continuare a dare il proprio apporto positivo alla comunità dei credenti. D’altra parte nessuno dei Ministri ecclesiastici
( Pastori) accusi chi fra i loro membri, voglia aderire allo stile di vita Messianico, la cui definizione abbiamo dato all’inizio, se non vuole operare contro la volontà di Dio. Amen
J.R.
Romani 10, 19-21; 11, 1-36
19E dico ancora: forse Israele non ha compreso? Per primo Mosè dice:
Io vi renderò gelosi di una nazione che nazione non è;
susciterò il vostro sdegno contro una nazione senza intelligenza.
20Isaia poi arriva fino a dire:
Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano,
mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me,
21mentre d'Israele dice:
Tutto il giorno ho steso le mani
verso un popolo disobbediente e ribelle!
1 Io domando dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch'io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. 2Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio.
Non sapete ciò che dice la Scrittura, nel passo in cui Elia ricorre a Dio contro Israele? 3Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi altari, sono rimasto solo e ora vogliono la mia vita. 4Che cosa gli risponde però la voce divina? Mi sono riservato settemila uomini, che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal. 5Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia. 6E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia.
7Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti. Gli altri invece sono stati resi ostinati, 8come sta scritto:
Dio ha dato loro uno spirito di torpore,
occhi per non vedere
e orecchi per non sentire,
fino al giorno d'oggi.
9E Davide dice:
Diventi la loro mensa un laccio, un tranello,
un inciampo e un giusto castigo!
10Siano accecati i loro occhi in modo che non vedano
e fa' loro curvare la schiena per sempre!
11Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti, per suscitare la loro gelosia. 12Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità!
13A voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, 14nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. 15Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?
16Se le primizie sono sante, lo sarà anche l'impasto; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. 17Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che sei un olivo selvatico, sei stato innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e della linfa dell'olivo, 18non vantarti contro i rami! Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te.
19Dirai certamente: i rami sono stati tagliati perché io vi fossi innestato! 20Bene; essi però sono stati tagliati per mancanza di fede, mentre tu rimani innestato grazie alla fede. Tu non insuperbirti, ma abbi timore! 21Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te!
22Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; verso di te invece la bontà di Dio, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai tagliato via. 23Anch'essi, se non persevereranno nell'incredulità, saranno innestati; Dio infatti ha il potere di innestarli di nuovo! 24Se tu infatti, dall'olivo selvatico, che eri secondo la tua natura, sei stato tagliato via e, contro natura, sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi, che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio olivo!
25Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l'ostinazione di una parte d'Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. 26Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto:
Da Sion uscirà il liberatore,
egli toglierà l'empietà da Giacobbe.
27Sarà questa la mia alleanza con loro
quando distruggerò i loro peccati.
28Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri, 29infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! 30Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, 31così anch'essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch'essi ottengano misericordia. 32Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!
33O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 34Infatti,
chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?
O chi mai è stato suo consigliere?
35O chi gli ha dato qualcosa per primo
tanto da riceverne il contraccambio?
36Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.
19E dico ancora: forse Israele non ha compreso? Per primo Mosè dice:
Io vi renderò gelosi di una nazione che nazione non è;
susciterò il vostro sdegno contro una nazione senza intelligenza.
20Isaia poi arriva fino a dire:
Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano,
mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me,
21mentre d'Israele dice:
Tutto il giorno ho steso le mani
verso un popolo disobbediente e ribelle!
1 Io domando dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch'io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. 2Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio.
Non sapete ciò che dice la Scrittura, nel passo in cui Elia ricorre a Dio contro Israele? 3Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi altari, sono rimasto solo e ora vogliono la mia vita. 4Che cosa gli risponde però la voce divina? Mi sono riservato settemila uomini, che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal. 5Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia. 6E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia.
7Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti. Gli altri invece sono stati resi ostinati, 8come sta scritto:
Dio ha dato loro uno spirito di torpore,
occhi per non vedere
e orecchi per non sentire,
fino al giorno d'oggi.
9E Davide dice:
Diventi la loro mensa un laccio, un tranello,
un inciampo e un giusto castigo!
10Siano accecati i loro occhi in modo che non vedano
e fa' loro curvare la schiena per sempre!
11Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti, per suscitare la loro gelosia. 12Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità!
13A voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, 14nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. 15Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?
16Se le primizie sono sante, lo sarà anche l'impasto; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. 17Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che sei un olivo selvatico, sei stato innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e della linfa dell'olivo, 18non vantarti contro i rami! Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te.
19Dirai certamente: i rami sono stati tagliati perché io vi fossi innestato! 20Bene; essi però sono stati tagliati per mancanza di fede, mentre tu rimani innestato grazie alla fede. Tu non insuperbirti, ma abbi timore! 21Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te!
22Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; verso di te invece la bontà di Dio, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai tagliato via. 23Anch'essi, se non persevereranno nell'incredulità, saranno innestati; Dio infatti ha il potere di innestarli di nuovo! 24Se tu infatti, dall'olivo selvatico, che eri secondo la tua natura, sei stato tagliato via e, contro natura, sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi, che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio olivo!
25Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l'ostinazione di una parte d'Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. 26Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto:
Da Sion uscirà il liberatore,
egli toglierà l'empietà da Giacobbe.
27Sarà questa la mia alleanza con loro
quando distruggerò i loro peccati.
28Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri, 29infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! 30Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, 31così anch'essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch'essi ottengano misericordia. 32Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!
33O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 34Infatti,
chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?
O chi mai è stato suo consigliere?
35O chi gli ha dato qualcosa per primo
tanto da riceverne il contraccambio?
36Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.
EBREI CREDENTI IN GESÙ: MOVIMENTI E TENDENZE DELL’EBRAISMO MESSIANICO ATTUALE di Luigi Nason
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