ABRAMO
Abramo (in ebraico: אַבְרָהָם, ’Aḇrāhām anche Avraham, tradizionalmente inteso come "Padre di molti"; in arabo: ابراهيم, Ibrāhīm; ... – ...) è un patriarca dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam. La sua storia è narrata nel Libro della Genesi ed è ripresa dal Corano. Secondo Genesi (17,5), il suo nome originale era אַבְרָם (’Aḇrām, Avram), poi cambiato da Dio in Abraham.
Non esistono testimonianze indipendenti da Genesi dell'esistenza di Abramo: non è quindi possibile attestare la sua storicità. La cronologia interna alla Bibbia colloca Abramo verso il 2000 a.C. La redazione del testo biblico che parla di lui pare essere opera di un redattore sacerdotale, ai tempi dell'esilio babilonese. Nonostante ciò, "non esiste nulla di specifico nelle storie della Genesi che possa essere collegato direttamente a storia conosciuta che riguardi Canaan e dintorni nella prima parte del secondo millennio p.e.v." Come in genere succede per i testi riguardanti i patriarchi, non si tratta di biografie, né di racconti storici nel senso comune del termine, ma di fissazione per iscritto di tradizioni orali, con ridondanze e contraddizioni.
Di conseguenza, "è ormai ampiamente riconosciuto che il cosiddetto «periodo patriarcale/ancestrale» è un costrutto letterario susseguente, e non un periodo della storia reale del mondo antico." Buona parte degli studiosi asserisce che il Pentateuco sia stato composto nel periodo persiano (circa 520–320 a.C.), quale risultato di tensioni tra possidenti terrieri ebrei che erano rimasti in Giuda durante la cattività babilonese e affermavano Abramo come loro "padre" tramite il quale facevano risalire il proprio diritto alla terra, e gli esuli "sacerdotali" reduci, che basavano la loro rivendicazione sulla preminenza di Mosè e la tradizione dell'Esodo.
Fonte Wikipedia
Non esistono testimonianze indipendenti da Genesi dell'esistenza di Abramo: non è quindi possibile attestare la sua storicità. La cronologia interna alla Bibbia colloca Abramo verso il 2000 a.C. La redazione del testo biblico che parla di lui pare essere opera di un redattore sacerdotale, ai tempi dell'esilio babilonese. Nonostante ciò, "non esiste nulla di specifico nelle storie della Genesi che possa essere collegato direttamente a storia conosciuta che riguardi Canaan e dintorni nella prima parte del secondo millennio p.e.v." Come in genere succede per i testi riguardanti i patriarchi, non si tratta di biografie, né di racconti storici nel senso comune del termine, ma di fissazione per iscritto di tradizioni orali, con ridondanze e contraddizioni.
Di conseguenza, "è ormai ampiamente riconosciuto che il cosiddetto «periodo patriarcale/ancestrale» è un costrutto letterario susseguente, e non un periodo della storia reale del mondo antico." Buona parte degli studiosi asserisce che il Pentateuco sia stato composto nel periodo persiano (circa 520–320 a.C.), quale risultato di tensioni tra possidenti terrieri ebrei che erano rimasti in Giuda durante la cattività babilonese e affermavano Abramo come loro "padre" tramite il quale facevano risalire il proprio diritto alla terra, e gli esuli "sacerdotali" reduci, che basavano la loro rivendicazione sulla preminenza di Mosè e la tradizione dell'Esodo.
Fonte Wikipedia
Per poter comprendere il significato profondo della Bibbia, si deve leggerla nella sua totalità, dalla Genesi all’Apocalisse.
Possiamo dire che la Bibbia è la descrizione del progetto di Dio.
"Il patto abramitico, preludio al Nuovo Patto" by Yuri Leveratto
Il patto abramitico può essere considerato come il seme con il quale poi furono stabiliti altri patti con la nazione di Israele. Ed ha importanza anche per quanto riguarda la dottrina escatologica cristiana.
Da: Academia.edu
Possiamo dire che la Bibbia è la descrizione del progetto di Dio.
"Il patto abramitico, preludio al Nuovo Patto" by Yuri Leveratto
Il patto abramitico può essere considerato come il seme con il quale poi furono stabiliti altri patti con la nazione di Israele. Ed ha importanza anche per quanto riguarda la dottrina escatologica cristiana.
Da: Academia.edu
il_patto_abramitico_preludio_al_nuovo_patto.pdf | |
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GIUSEPPE VIGGIANI, Il sacrificio di Abramo come risposta all'agire di Dio alla luce di Gen 22, 1-19
Tratto da: https://academia.edu
Tratto da: https://academia.edu
il_sacrificio_di_abramo_come_risposta_al.pdf | |
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Abramo: padre nella fede, straniero immigrato e ospite generoso
Abramo rappresenta un punto di convergenza fra le fedi degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani. Hans Küng fa notare che di fronte ad Abramo è in gioco l’identità più propria e specifica di Ebraismo, Cristianesimo ed Islam. Il grande padre Abramo è un punto di riferimento comune. Basta pensare che, sebbene protagonista dell’Antico Testamento, è nominato 70 volte nel Nuovo e 25 nel Corano con una Sura, la XIVma, che porta il suo nome. La figura di Abramo, la sua scelta monoteista e l’alleanza che Dio stipula con lui, dà origine ad un evento e ad una tradizione che accomuna le nostre tre religioni e, in qualche modo, le distingue dalle grandi tradizioni asiatiche (le religioni del Sanatana Dharma, il buddismo, lo shintoismo, il confucianesimo), che invece possono essere comprese nel Patto Noachico, stretto da Dio con tutta l’umanità.
Abramo, nonostante il padre Tare fosse politeista, diventa monoteista e, contrariamente ad altri esempi di monoteismo di quel tempo, il suo Dio non è un Dio della natura (il sole per esempio): è un Dio etico e, soprattutto, giusto. Per questo, il monoteismo di Abramo è una novità assoluta, è un ‘monoteismo etico’. Come sarà stato possibile per questo figlio di Tare, proveniente dalla terra di Ur dove probabilmente l’espressione religiosa era quella politeista, arrivare ad una svolta così radicale e decisiva? Forse cone pensa Isidore Epstein. "... vi giunse per via di meditazione. […] La nobiltà del suo carattere, quale risulta dalla storia biblica, può averlo indotto ad attribuire alla Divinità da lui venerata proprio quelle qualità morali che si sforza di attuare nella sua stessa esistenza. E può darsi che, nell’insieme, la sua fede religiosa nascesse da una sorta di illuminazione intima, di esperienza mistica, di rivelazione. Sensibile al Divino, vide nella sua salvezza un evento provvidenziale e si andò sempre più convincendo di essere stato salvato perché destinato a fondare una nuova nazione che recasse al mondo la conoscenza di Dio, e con essa la benedizione che ne scaturisce per tutte le stirpi della terra".
E’, comunque, Dio che rivela a quest’uomo la sua missione e la ratifica con un patto che viene sigillato da un segno indelebile: la circoncisione. Da questa alleanza nasce un popolo nuovo, chiamato non a dominare il mondo, ma a servire i popoli. Per questo Abraham (con l’aggiunta di un h) è il ‘Padre di una moltitudine di nazioni’.
Nessuna figura è più citata di Abramo nel NT, anche se ad una semplice discendenza fisica, Paolo aggiungerà la necessità di una discendenza spirituale da Abramo, che lo rende padre di tutti i credenti, quelli circoncisi, ma anche quelli non circoncisi. Nel Corano Abramo ci viene descritto dalla Sura VI (la Sura delle Greggi) come colui che è capace di cogliere i segni dell’universo, riconoscendo nell’ordine e nell’armonia del creato la mano di Dio. In questo si nota, ci dice la tradizione musulmana, la capacità di Abramo di superare il rischio di attaccarsi all’armonia ordinata del creato, che può portare l’uomo a cedere alla tentazione di adorare qualche sua manifestazione, cadendo con questo nell’idolatria.
Ci sono alcuni aspetti della figura di Abramo che vengono colti dalle nostre tre tradizioni e che, in qualche modo, ci svelano la ricchezza di questo uomo.
Innanzi tutto, Abramo era uno straniero, un forestiero emigrato da Ur, una ricca città commerciale della Mesopotamia. Questa ha un grande significato: non era indigeno, ma un immigrato, un ‘forestiero di passaggio’ (Gen 23,4) e lo è fin dal primo momento che appare nella Bibbia: è un espatriato sia dalla sua terra che dalla sua cultura, quel politeismo tipico da cui veniva. Abramo riceve l’invito a partire verso una nuova terra di cui non conosce né la gente, né la lingua né, tantomeno, la cultura. Allora aveva settantacinque anni, un’età in cui non è facile espatriare oggi, immaginiamoci in quei tempi. Resta attendato nel Neghev fino a che deve muoversi verso l’Egitto a causa di una carestia: un secondo espatrio nel lungo viaggio lontano dalla sua terra, verso la nuova dimora indicata da Dio. Abramo, quindi, conosce bene l’esperienza del migrante. E la tenda è il suo simbolo. Una tenda, tuttavia, che resta sempre aperta dai quattro lati. "La tradizione racconta che giunto a Bersheva Abramo piantò un bosco ed una vigna al centro del quale mise la sua tenda che aveva quattro ingressi, ciascuno rivolto ai quattro punti cardinali. Ogni volta che giungeva un viandante il patriarca lo invitava a varcare l’ingresso e a ristorarsi. Poi lo introduceva alla conoscenza del Signore. […] La sua tenda era come la sua anima, aperta su quattro lati perché chiunque e in qualunque momento potesse entrarvi, senza sentirsi straniero o estraneo, e condividere il suo bene più prezioso: la conoscenza del Dio uno e unico.
Questa ospitalità, altra grande caratteristica di Abramo, era, tuttavia, generosa e concreta perché nelle sue tende c’erano anche le sagge matriarche Sarah e Agar, le madri dei figli di Abramo e della sua discendenza: la stirpe di Isacco e quella di Ismaele, degli ebrei e dei cristiani, dunque, e dei musulmani. Abramo è, dunque, inserito nella parentela semitica. Lui, Isacco, generato con Sarah, e Giacobbe sono considerati i progenitori di Israele. Con Agar generò Ismaele (Gen 16,15), il capostipite di 12 gruppi appartenenti alla fede ismailita e con Chetura divenne l’antenato di 16 gruppi proto arabi di nomadi (Gen 25,12-18).
Giulio Michelini - Istituto Teologico di Assisi
LA PATERNITÀ DI ABRAMO COME PRESUPPOSTO DEL DIALOGO TRA MONOTEISMI Intervento per la celebrazione dello "Spirito di Assisi" Sacro Convento - Assisi. 27 Ottobre 2014 (da: Academia.edu) |
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IPOTESI SU ABRAMO (supposizioni di Flavio Barbiero)
Fonte: http://zret.blogspot.it/2011/03/ipotesi-su-abramo-prima-parte.html
Abramo fu il primo dei patriarchi biblici e le vicende della sua vita sono narrate in Genesi dal cap. 11 al cap. 25. Secondo la Bibbia, Abramo, appartenente ad una tribù seminomade, era originario della Mesopotamia, provenendo dalla città di Ur. Sposata la sorellastra Sara, poiché non poté avere figli da lei, che tutti ritenevano sterile, scelse come suo erede il nipote Lot.
Radunati averi, bestiame e famiglia, Abramo, ormai attempato, emigrò verso ovest nella terra di Canaan. Quando ne ottenne stabile possesso, al fine di evitare spiacevoli contese, il patriarca decise di separare la sua gente da quella del nipote Lot, ma, dopo poco tempo, a causa di una prolungata carestia, fu costretto a spostarsi in territorio egizio.
Rientrato in Canaan, Abramo dovette affrontare il problema dinastico: in caso di sterilità della moglie legittima, la legge consentiva che il marito potesse concepire il suo erede con una delle schiave di lei. Il figlio poi, partorito sulle ginocchia della legittima moglie, avrebbe avuto lo status di figlio legittimo ed erede, nel caso non fossero nati altri rampolli. Abramo ebbe, così, da Agar, schiava di Sara, il primogenito Ismaele.
Negli anni successivi, tuttavia, si compì quella promessa divina che era segnata nel nome stesso del patriarca: "La mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram (uomo di nobile stirpe), ma Abraham (padre di una moltitudine di popoli), perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò." (Genesi 17, 4-5) Sara concepì, ormai in tarda età, un figlio, Isacco, destinato ad essere l'erede legittimo di Abramo. Per preservare l'autorità di suo figlio, Sara fece allontanare Agar ed il figlio Ismaele, che divenne il capostipite degli Ismaeliti, gli Arabi. Gli Arabi riconoscono in Abramo, come gli Ebrei, il loro antenato.
Il sacrificio dell'unico figlio Isacco, prova fondamentale per la fede del patriarca, fermato dall'intervento divino, diede origine alla pratica ebraica della circoncisione.
Bisogna rammentare che molti studiosi reputano Abramo sia una figura leggendaria. E’ indubbio che è arduo, se non quasi impossibile, ricostruire periodi storici tanto remoti e per di più inerenti ad un personaggio citato solo nella Bibbia. Nondimeno alcuni eruditi si ostinano a tentare di disseppellire dalle sabbie del tempo lacerti di antiche civiltà.
Così Flavio Barbiero, sulla base di una rilettura del testo biblico e di indizi archeologici ed etnologici, ravvisa in Abramo non un pastore semita, ma un principe di stirpe ariana. Ur dei Caldei non è nella Sumeria, ma coincide con Urartu, ad un dipresso l’attuale Curdistan, inoltre i Caldei sono, secondo Barbiero, da identificare con gli Hurriti, progenitori degli attuali Curdi. Nel XVII sec. a C. gli stati hurriti furono invasi da un popolo indoeuropeo che creò un impero noto come Mitanni.
Scrive lo studioso: “E’ in questa cornice che si inserisce la storia di Abramo. Le città in cui vissero lui ed i suoi parenti erano città del Mitanni. Gli Egizi chiamavano il Mitanni col nome di Naharin e Nahor è anche il nome del fratello maggiore e del nonno di Abramo… Un’antica tradizione vuole che Abramo fosse un pastore nomade, un semplice beduino senz’arte né parte, ma è un’immagine falsa che non trova alcun riscontro nella Bibbia dove tutte le indicazioni concorrono a confermare che si trattava di un personaggio di altissimo rango ed un valente guerriero. Quando lasciò Harran per la Palestina, aveva con sé centinaia di servi e soldati. Abimelek, principe di Gerar, lo trattava da pari a pari. Melchisedek, re di Salem gli portò pane e vino e lo benedisse, per aver sconfitto con i suoi uomini quattro re siriani che avevano devastato la Pentapoli, il nome della moglie-sorella, Sara significa “principessa”.
Barbiero, oltre a raccogliere vari indizi dal Genesi per avvalorare la sua ipotesi, trova riscontri in documenti esterni alla Bibbia da cui arguisce che l’aspetto fisico di Abramo, pur non ritratto nella Torah, sarebbe potuto essere quello di un indoeuropeo, sulla base della descrizione relativa al nipote Esaù, figlio di Isacco e Rebecca. Esaù era rosso tanto da meritarsi il soprannome di Edom, che significa appunto “rosso”. Tra i discendenti del patriarca questi caratteri somatici di tipo giapetico, riaffiorano con il re Saul, alto di statura e con il successore David, dai capelli fulvi.
Barbiero opina che un lignaggio ebraico sia di matrice indo-germanica: Abramo fu uno dei protagonisti di una diaspora ariana che diede origine pure agli Acheo-Dori. Si legge, infatti in 1 Mac. 12:23 quanto scrisse Areo, re di Sparta, al sommo sacerdote Ania: “Areo, re degli Spartani, ad Onia, sommo sacerdote, salute. Si è trovato in una scrittura, riguardante i Lacedemoni ed i Giudei, che essi sono fratelli e discendono dalla stirpe di Abramo.”
Secondo R. A. Boulay, Abramo fu, invece, oriundo di Ur in Mesopotamia, donde emigrò per recarsi nella località di Harran. L’autore, che considera, come Barbiero, Gen. 14 una fonte storicamente attendibile, afferma che il patriarca non fu un semplice nomade, ma un valoroso condottiero, sacerdote e generale del dio Adad, da identificare con YHWH. Abramo fu legato a Shumer, alla maniera del padre Terah che, come si evince dell’apocrifo intitolato Apocalisse di Abramo, fu un fabbricante di idoli, ossia, per Boulay radio ricetrasmittenti (?).
L’ipotesi di Boulay si situa agli antipodi geografici ed etnici rispetto alla ricostruzione operata da Barbiero: Ur si contrappone ad Urartu (tra Curdistan ed Armenia); Abramo è un sumero per il primo, un indoeuropeo per il ricercatore italiano, il cui merito principale, a mio avviso, consiste nell’aver additato la centralità culturale di una regione, l’Urartu, che non era distante da uno dei siti archeologici più significativi, tra quelli recentemente scoperti, Gobleki Tepe. Con Boulay, pur nella diversità delle congetture, lo studioso condivide la considerazione della Bibbia come fonte storica. Ben diverso è l’approccio di altri biblisti che vi scorgono valori emblematici ed adombramenti esoterici.
Negli ultimi anni, l'orientalista Mario Liverani ha proposto di vedere nel nome Abramo l'eponimo mitico di una tribù palestinese del XIII secolo a.C., quella dei Raham, di cui si è trovata menzione nella stele del faraone Seti I, cippo reperito a Bet-She'an e risalente all'incirca al 1289 a.C.. La tribù abitava probabilmente nella plaga vicina a Bet-She'an, in Galilea (la stele, infatti, racconta di lotte avvenute nella zona). Le tribù semitiche seminomadi e pastorali dell'epoca usavano anteporre al proprio nome il termine banū ("figli di"), per cui si suppone che i Raham chiamassero loro stessi Banu Raham. Inoltre, molti di loro interpretavano i legami di sangue fra i componenti della tribù come una discendenza da un unico progenitore eponimo, anziché come risultato di legami intra-tribali. Il nome di questo mitico antenato eponimo veniva costruito con il prefisso Abū ("padre") seguito dal nome della tribù; nel caso dei Raham, sarebbe stato Abu Raham, poi divenuto Ab-raham, Abramo.
A pur provvisoria conclusione di questo articolo – gli studi sono in itinere in questo campo più che in altri – si potrebbe vedere nel nome Abramo una radice tipicamente sumera da cui deriva, ad esempio, l’etnonimo Habiru, morfema che dovrebbe valere “incrocio”, “intersezione”, “oltrepassamento”.
Pare che la verità su Abramo sia ancora lungi dall’essere conosciuta, ammesso che sia così importante appurarla.
Fonti:
R. Boulay, Flying serpents and dragon, 1990
A. Mercatante, Dizionario dei miti e delle leggende, Roma, 2001, s.v. Abramo
Abramo fu il primo dei patriarchi biblici e le vicende della sua vita sono narrate in Genesi dal cap. 11 al cap. 25. Secondo la Bibbia, Abramo, appartenente ad una tribù seminomade, era originario della Mesopotamia, provenendo dalla città di Ur. Sposata la sorellastra Sara, poiché non poté avere figli da lei, che tutti ritenevano sterile, scelse come suo erede il nipote Lot.
Radunati averi, bestiame e famiglia, Abramo, ormai attempato, emigrò verso ovest nella terra di Canaan. Quando ne ottenne stabile possesso, al fine di evitare spiacevoli contese, il patriarca decise di separare la sua gente da quella del nipote Lot, ma, dopo poco tempo, a causa di una prolungata carestia, fu costretto a spostarsi in territorio egizio.
Rientrato in Canaan, Abramo dovette affrontare il problema dinastico: in caso di sterilità della moglie legittima, la legge consentiva che il marito potesse concepire il suo erede con una delle schiave di lei. Il figlio poi, partorito sulle ginocchia della legittima moglie, avrebbe avuto lo status di figlio legittimo ed erede, nel caso non fossero nati altri rampolli. Abramo ebbe, così, da Agar, schiava di Sara, il primogenito Ismaele.
Negli anni successivi, tuttavia, si compì quella promessa divina che era segnata nel nome stesso del patriarca: "La mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram (uomo di nobile stirpe), ma Abraham (padre di una moltitudine di popoli), perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò." (Genesi 17, 4-5) Sara concepì, ormai in tarda età, un figlio, Isacco, destinato ad essere l'erede legittimo di Abramo. Per preservare l'autorità di suo figlio, Sara fece allontanare Agar ed il figlio Ismaele, che divenne il capostipite degli Ismaeliti, gli Arabi. Gli Arabi riconoscono in Abramo, come gli Ebrei, il loro antenato.
Il sacrificio dell'unico figlio Isacco, prova fondamentale per la fede del patriarca, fermato dall'intervento divino, diede origine alla pratica ebraica della circoncisione.
Bisogna rammentare che molti studiosi reputano Abramo sia una figura leggendaria. E’ indubbio che è arduo, se non quasi impossibile, ricostruire periodi storici tanto remoti e per di più inerenti ad un personaggio citato solo nella Bibbia. Nondimeno alcuni eruditi si ostinano a tentare di disseppellire dalle sabbie del tempo lacerti di antiche civiltà.
Così Flavio Barbiero, sulla base di una rilettura del testo biblico e di indizi archeologici ed etnologici, ravvisa in Abramo non un pastore semita, ma un principe di stirpe ariana. Ur dei Caldei non è nella Sumeria, ma coincide con Urartu, ad un dipresso l’attuale Curdistan, inoltre i Caldei sono, secondo Barbiero, da identificare con gli Hurriti, progenitori degli attuali Curdi. Nel XVII sec. a C. gli stati hurriti furono invasi da un popolo indoeuropeo che creò un impero noto come Mitanni.
Scrive lo studioso: “E’ in questa cornice che si inserisce la storia di Abramo. Le città in cui vissero lui ed i suoi parenti erano città del Mitanni. Gli Egizi chiamavano il Mitanni col nome di Naharin e Nahor è anche il nome del fratello maggiore e del nonno di Abramo… Un’antica tradizione vuole che Abramo fosse un pastore nomade, un semplice beduino senz’arte né parte, ma è un’immagine falsa che non trova alcun riscontro nella Bibbia dove tutte le indicazioni concorrono a confermare che si trattava di un personaggio di altissimo rango ed un valente guerriero. Quando lasciò Harran per la Palestina, aveva con sé centinaia di servi e soldati. Abimelek, principe di Gerar, lo trattava da pari a pari. Melchisedek, re di Salem gli portò pane e vino e lo benedisse, per aver sconfitto con i suoi uomini quattro re siriani che avevano devastato la Pentapoli, il nome della moglie-sorella, Sara significa “principessa”.
Barbiero, oltre a raccogliere vari indizi dal Genesi per avvalorare la sua ipotesi, trova riscontri in documenti esterni alla Bibbia da cui arguisce che l’aspetto fisico di Abramo, pur non ritratto nella Torah, sarebbe potuto essere quello di un indoeuropeo, sulla base della descrizione relativa al nipote Esaù, figlio di Isacco e Rebecca. Esaù era rosso tanto da meritarsi il soprannome di Edom, che significa appunto “rosso”. Tra i discendenti del patriarca questi caratteri somatici di tipo giapetico, riaffiorano con il re Saul, alto di statura e con il successore David, dai capelli fulvi.
Barbiero opina che un lignaggio ebraico sia di matrice indo-germanica: Abramo fu uno dei protagonisti di una diaspora ariana che diede origine pure agli Acheo-Dori. Si legge, infatti in 1 Mac. 12:23 quanto scrisse Areo, re di Sparta, al sommo sacerdote Ania: “Areo, re degli Spartani, ad Onia, sommo sacerdote, salute. Si è trovato in una scrittura, riguardante i Lacedemoni ed i Giudei, che essi sono fratelli e discendono dalla stirpe di Abramo.”
Secondo R. A. Boulay, Abramo fu, invece, oriundo di Ur in Mesopotamia, donde emigrò per recarsi nella località di Harran. L’autore, che considera, come Barbiero, Gen. 14 una fonte storicamente attendibile, afferma che il patriarca non fu un semplice nomade, ma un valoroso condottiero, sacerdote e generale del dio Adad, da identificare con YHWH. Abramo fu legato a Shumer, alla maniera del padre Terah che, come si evince dell’apocrifo intitolato Apocalisse di Abramo, fu un fabbricante di idoli, ossia, per Boulay radio ricetrasmittenti (?).
L’ipotesi di Boulay si situa agli antipodi geografici ed etnici rispetto alla ricostruzione operata da Barbiero: Ur si contrappone ad Urartu (tra Curdistan ed Armenia); Abramo è un sumero per il primo, un indoeuropeo per il ricercatore italiano, il cui merito principale, a mio avviso, consiste nell’aver additato la centralità culturale di una regione, l’Urartu, che non era distante da uno dei siti archeologici più significativi, tra quelli recentemente scoperti, Gobleki Tepe. Con Boulay, pur nella diversità delle congetture, lo studioso condivide la considerazione della Bibbia come fonte storica. Ben diverso è l’approccio di altri biblisti che vi scorgono valori emblematici ed adombramenti esoterici.
Negli ultimi anni, l'orientalista Mario Liverani ha proposto di vedere nel nome Abramo l'eponimo mitico di una tribù palestinese del XIII secolo a.C., quella dei Raham, di cui si è trovata menzione nella stele del faraone Seti I, cippo reperito a Bet-She'an e risalente all'incirca al 1289 a.C.. La tribù abitava probabilmente nella plaga vicina a Bet-She'an, in Galilea (la stele, infatti, racconta di lotte avvenute nella zona). Le tribù semitiche seminomadi e pastorali dell'epoca usavano anteporre al proprio nome il termine banū ("figli di"), per cui si suppone che i Raham chiamassero loro stessi Banu Raham. Inoltre, molti di loro interpretavano i legami di sangue fra i componenti della tribù come una discendenza da un unico progenitore eponimo, anziché come risultato di legami intra-tribali. Il nome di questo mitico antenato eponimo veniva costruito con il prefisso Abū ("padre") seguito dal nome della tribù; nel caso dei Raham, sarebbe stato Abu Raham, poi divenuto Ab-raham, Abramo.
A pur provvisoria conclusione di questo articolo – gli studi sono in itinere in questo campo più che in altri – si potrebbe vedere nel nome Abramo una radice tipicamente sumera da cui deriva, ad esempio, l’etnonimo Habiru, morfema che dovrebbe valere “incrocio”, “intersezione”, “oltrepassamento”.
Pare che la verità su Abramo sia ancora lungi dall’essere conosciuta, ammesso che sia così importante appurarla.
Fonti:
R. Boulay, Flying serpents and dragon, 1990
A. Mercatante, Dizionario dei miti e delle leggende, Roma, 2001, s.v. Abramo
Nel blog si cita poi un interessante racconto cananeo che non sono riuscito a verificare se sia attendibile, il racconto è il seguente:
Come nel libro della Genesi, anche in un racconto cananeo sembra si possano trovare gli stessi avvenimenti di Abramo, si racconta che un certo Danel era giunto in età avanzata senza aver avuto un erede maschi; l'occasione per ottenere l'aiuto divino gli si presentò quando due dèi arrivarono alla sua dimora.
"Ed egli offrì agli dèi da bere e da mangiare".
Gli ospiti divini che si rilevarono essere EL "il dispensatore di guarigione", e Ba'al rimasero con con Danel un'intera settimana, durante la quale egli li assillò con le sue suppliche.
Alla fine Ba'al rivolse a EL la supplica di Danel, EL acconsentì, prese per mano il suo servo e gli concesse lo "Spirito" che ripristinò la virilità di Danel.
All'incredulo Danel, EL promise un figlio, sali sul letto gli disse, e bacia tua moglie, abbracciala, essa concepirà e, dopo la gravidanza, metterà al mondo un figlio maschio.
Il nome del figlio era "Aqhat", ma gli dei lo chiamarono con il nome di "Na'aman" (il piacevole) e le venne regalato un arco dai poteri magici.
Come nel libro della Genesi, anche in un racconto cananeo sembra si possano trovare gli stessi avvenimenti di Abramo, si racconta che un certo Danel era giunto in età avanzata senza aver avuto un erede maschi; l'occasione per ottenere l'aiuto divino gli si presentò quando due dèi arrivarono alla sua dimora.
"Ed egli offrì agli dèi da bere e da mangiare".
Gli ospiti divini che si rilevarono essere EL "il dispensatore di guarigione", e Ba'al rimasero con con Danel un'intera settimana, durante la quale egli li assillò con le sue suppliche.
Alla fine Ba'al rivolse a EL la supplica di Danel, EL acconsentì, prese per mano il suo servo e gli concesse lo "Spirito" che ripristinò la virilità di Danel.
All'incredulo Danel, EL promise un figlio, sali sul letto gli disse, e bacia tua moglie, abbracciala, essa concepirà e, dopo la gravidanza, metterà al mondo un figlio maschio.
Il nome del figlio era "Aqhat", ma gli dei lo chiamarono con il nome di "Na'aman" (il piacevole) e le venne regalato un arco dai poteri magici.
Pubblico qui di seguito una ricostruzione delle vicissitudini del possibile Abramo storico, ammesso che sia esistito veramente, (fatta sempre da Flavio barbiero) sono comunque convinto che in ogni caso qualche racconto che ha dato l'ispirazione al redattore di Genesi ci sia stato, come per altri racconti biblici. Non dobbiamo però dimenticare che la Bibbia non è un libro di storia ma di teologia, con cui l'uomo ebreo tenta di rispondere alle domande fondamentali sull'esistenza di Dio e sul perché del male. I racconti dei Patriarchi sono un modo con cui gli autori sacri manifestano la loro fede nell'opera di Dio nella propria storia, confessando la sovranità del Signore su quanto era avvenuto, avviene e avverrà.
Tutto ciò che segue è tratto dal sito:
http://www.altriocchi.com/h_ita/pi2/contenuto_storico/identita_abramo.html
Tutto ciò che segue è tratto dal sito:
http://www.altriocchi.com/h_ita/pi2/contenuto_storico/identita_abramo.html
IDENTITA' DI ABRAMO
Presupposto esplicito, vero e proprio postulato di tutte le ricostruzioni storiche ed esegetiche bibliche, è che Abramo fosse un pastore nomade, simile agli attuali beduini del deserto arabico e della penisola sinaitica: un miserabile girovago, possessore di qualche tenda fatta con pelli di capra, di un gregge di capre e di qualche asinello, costretto a vivere ai margini delle regioni coltivate, stentando l'esistenza sui magri pascoli lasciatigli liberi dalla benevolenza delle popolazioni stanziali, perennemente in balia delle avversità climatiche e della prepotenza di stanziali e di predoni.
L'idea di un Abramo beduino è ormai talmente radicata, che i più sono riluttanti a metterla in discussione anche di fronte alle argomentazioni più stringenti.
Ma se si vuole realmente capire chi fosse Abramo è opportuno iniziare proprio col sottoporre tale idea ad un esame critico approfondito, senza opinioni precostituite.
Abramo, si è detto, è nato circa duecentosessant'anni prima della morte di Ramsess II, e cioè a cavallo fra i regni di Tutmosis II e Tutmosis III. A quel tempo i beduini erano numerosi e vengono citati spesso nelle cronache egizie col nome di "sashu". Essi erano per definizione "gli uomini che vivono sulla sabbia", il che esclude automaticamente che avessero una qualche relazione con Abramo, Isacco e Giacobbe, i quali vissero sempre nella Palestina, in territori tutt'altro che desertici, abitando in città o nelle immediate vicinanze.
I sashu erano popolazioni marginali, profondamente disprezzate dagli Egizi e dalle popolazioni stanziali. Non risulta invece che Abramo fosse disprezzato da chicchessia. In ogni occasione, infatti, veniva fatto oggetto di grande rispetto e trattato con deferenza. Abimelech, signore di Gerar, lo trattava da pari a pari. Melchisedek, re di Salem, gli portò pane e vino e lo benedisse (Gen 14, 18); gli Amorrei Mamré, Escol ed Aner si posero ai suoi ordini nella caccia ai predoni siriani. Gli Ittiti di Ebron si rivolsero a lui con le parole: "tu sei un gran principe fra noi..." [1](Gen 23,6); e così via.
I beduini, per le caratteristiche dell'ambiente in cui vivono ed il tipo di vita che conducono, sono necessariamente poco praticanti dei bagni e dell'igiene personale. E' poco credibile che la moglie di un beduino fosse oggetto di tanta concupiscenza da parte di un principe come Abimelek, e ancora meno che egli abbia avuto tanti rimorsi da risarcire il marito con una cifra per quei tempi strepitosa; la donna di un semplice beduino all'epoca doveva valere meno di zero.
Un'altra considerazione significativa riguarda la consistenza delle tribù beduine: l'ambiente desertico impone dimensioni normalmente limitate. Abramo, invece, era capo di un vero e proprio popolo, forte di migliaia di persone. Quando inseguì i quattro re siriani che avevano saccheggiato Sodoma e rapito Lot, mise in campo trecentodiciotto uomini armati (Gen 14,14) coi quali si lanciò all'inseguimento dei predoni, spingendosi fin oltre Damasco. E' certo che quegli uomini non costituivano la totalità degli adulti alle dipendenze del patriarca; non è possibile, infatti, che egli abbia sguarnito le greggi al pascolo e gli accampamenti di ogni uomo in grado di difenderli, lasciandoli in balia di qualunque malintenzionato. Doveva possederne almeno altrettanti. La tribù di Abramo, quindi, contava all'epoca almeno seicento maschi adulti, il che significa che con donne, vecchi e bambini superava ampiamente le duemila unità. Per quei tempi un vero e proprio popolo, il cui capo aveva potenza e dignità paragonabili a quelle di un sovrano. Non è pensabile che egli fosse un semplice beduino.
Ma quel era allora la sua origine? Di chi era figlio? Indicazioni esplicite sulla condizione del padre non ce ne sono; ma il nome originale di Abramo significa "figlio di re" (in Gen 17, 5 viene poi cambiato con un nome simile che significa “grande padre”) e quello di sua moglie Sara "principessa". E gli Ittiti di Ebron, quando Abramo acquista la tomba di famiglia a MacPelà (Gen 23,6) si rivolgono a lui con l’appellativo di "gran principe". Ci sono circostanze ed episodi, inoltre, dai quali si può ricavare in modo inequivocabile il tipo di educazione che Abramo aveva ricevuto e le attività in cui era veramente versato ed esperto. In Genesi 26,16, ad esempio, Abimelek dice al patriarca: "Vattene da noi, perché sei troppo potente". Se si tiene conto che Abimelek era signore di una provincia importante come quella di Gerar e fornito quindi un proprio esercito, l'episodio dimostra che il nostro presunto pastore nomade possedeva forza ed esperienza tali da incutere rispetto anche ai personaggi più potenti dell'epoca.
Ciò è confermato dall'episodio in cui Abramo sconfisse quattro re siriani che si erano coalizzati e avevano devastato la valle del Giordano. Erano potenti al punto da sfidare con successo lo stesso impero egizio (non va dimenticato che siamo ai tempi della dinastia XVIII, al culmine della potenza dell'Egitto, che estendeva il suo dominio nella Palestina ed in Siria fino all'Eufrate), annientare gli eserciti coalizzati di città importanti come la Pentapoli e saccheggiare le città stesse. Ciononostante Abramo si lanciò all'inseguimento senza esitazione, a capo di un piccolo esercito costituito con uomini propri, e riuscì a sbaragliare con apparente facilità il forte esercito avversario.
Questo porta a concludere con buon fondamento che Abramo aveva avuto precedenti esperienze di guerra ed era esperto nell'arte militare. Se si considera inoltre che governava con mano capace un popolo numeroso e amministrava, a quanto pare con notevole successo, un patrimonio per quei tempi gigantesco, dobbiamo presupporre che egli possedesse capacità e conoscenze che non si improvvisano da un giorno all'altro, né possiamo immaginare si possano acquisire in seno ad una piccola comunità di beduini nomadi.
Tutte le indicazioni della Genesi, in conclusione, concorrono a far rifiutare decisamente l'idea che Abramo fosse un piccolo sashu, peregrinante in mezzo a tanti altri simili miserabili pastori del suo tempo. Se dobbiamo giudicare quale fosse la sua origine sulla base dei dati forniti da Genesi, e di quelli soltanto, l'unica risposta che scaturisca in maniera motivata e con serio fondamento è che dovesse essere figlio di un qualche principe urarteo e come tale fosse stato educato.
NOTE:
[1] La Volgata, e con essa la Bibbia di Gerusalemme, riporta: “Tu sei presso di noi un principe di Dio: seppellisci il tuo morto nelle più belle nostre sepolture ”. Il Martini chiosa: “Tu sei un uomo che Dio ha reso grande e potente e quindi non ti tratteremo come uno straniero, ma come un principe...”. Anche a posteriori appare una spiegazione alquanto stiracchiata; tanto più che il testo ebraico riporta semplicemente: “Tu sei un grande principe fra di noi...” e sembra evidente che si riferisca alla condizione "anagrafica" di Abramo, non alla sua statura morale.
L'idea di un Abramo beduino è ormai talmente radicata, che i più sono riluttanti a metterla in discussione anche di fronte alle argomentazioni più stringenti.
Ma se si vuole realmente capire chi fosse Abramo è opportuno iniziare proprio col sottoporre tale idea ad un esame critico approfondito, senza opinioni precostituite.
Abramo, si è detto, è nato circa duecentosessant'anni prima della morte di Ramsess II, e cioè a cavallo fra i regni di Tutmosis II e Tutmosis III. A quel tempo i beduini erano numerosi e vengono citati spesso nelle cronache egizie col nome di "sashu". Essi erano per definizione "gli uomini che vivono sulla sabbia", il che esclude automaticamente che avessero una qualche relazione con Abramo, Isacco e Giacobbe, i quali vissero sempre nella Palestina, in territori tutt'altro che desertici, abitando in città o nelle immediate vicinanze.
I sashu erano popolazioni marginali, profondamente disprezzate dagli Egizi e dalle popolazioni stanziali. Non risulta invece che Abramo fosse disprezzato da chicchessia. In ogni occasione, infatti, veniva fatto oggetto di grande rispetto e trattato con deferenza. Abimelech, signore di Gerar, lo trattava da pari a pari. Melchisedek, re di Salem, gli portò pane e vino e lo benedisse (Gen 14, 18); gli Amorrei Mamré, Escol ed Aner si posero ai suoi ordini nella caccia ai predoni siriani. Gli Ittiti di Ebron si rivolsero a lui con le parole: "tu sei un gran principe fra noi..." [1](Gen 23,6); e così via.
I beduini, per le caratteristiche dell'ambiente in cui vivono ed il tipo di vita che conducono, sono necessariamente poco praticanti dei bagni e dell'igiene personale. E' poco credibile che la moglie di un beduino fosse oggetto di tanta concupiscenza da parte di un principe come Abimelek, e ancora meno che egli abbia avuto tanti rimorsi da risarcire il marito con una cifra per quei tempi strepitosa; la donna di un semplice beduino all'epoca doveva valere meno di zero.
Un'altra considerazione significativa riguarda la consistenza delle tribù beduine: l'ambiente desertico impone dimensioni normalmente limitate. Abramo, invece, era capo di un vero e proprio popolo, forte di migliaia di persone. Quando inseguì i quattro re siriani che avevano saccheggiato Sodoma e rapito Lot, mise in campo trecentodiciotto uomini armati (Gen 14,14) coi quali si lanciò all'inseguimento dei predoni, spingendosi fin oltre Damasco. E' certo che quegli uomini non costituivano la totalità degli adulti alle dipendenze del patriarca; non è possibile, infatti, che egli abbia sguarnito le greggi al pascolo e gli accampamenti di ogni uomo in grado di difenderli, lasciandoli in balia di qualunque malintenzionato. Doveva possederne almeno altrettanti. La tribù di Abramo, quindi, contava all'epoca almeno seicento maschi adulti, il che significa che con donne, vecchi e bambini superava ampiamente le duemila unità. Per quei tempi un vero e proprio popolo, il cui capo aveva potenza e dignità paragonabili a quelle di un sovrano. Non è pensabile che egli fosse un semplice beduino.
Ma quel era allora la sua origine? Di chi era figlio? Indicazioni esplicite sulla condizione del padre non ce ne sono; ma il nome originale di Abramo significa "figlio di re" (in Gen 17, 5 viene poi cambiato con un nome simile che significa “grande padre”) e quello di sua moglie Sara "principessa". E gli Ittiti di Ebron, quando Abramo acquista la tomba di famiglia a MacPelà (Gen 23,6) si rivolgono a lui con l’appellativo di "gran principe". Ci sono circostanze ed episodi, inoltre, dai quali si può ricavare in modo inequivocabile il tipo di educazione che Abramo aveva ricevuto e le attività in cui era veramente versato ed esperto. In Genesi 26,16, ad esempio, Abimelek dice al patriarca: "Vattene da noi, perché sei troppo potente". Se si tiene conto che Abimelek era signore di una provincia importante come quella di Gerar e fornito quindi un proprio esercito, l'episodio dimostra che il nostro presunto pastore nomade possedeva forza ed esperienza tali da incutere rispetto anche ai personaggi più potenti dell'epoca.
Ciò è confermato dall'episodio in cui Abramo sconfisse quattro re siriani che si erano coalizzati e avevano devastato la valle del Giordano. Erano potenti al punto da sfidare con successo lo stesso impero egizio (non va dimenticato che siamo ai tempi della dinastia XVIII, al culmine della potenza dell'Egitto, che estendeva il suo dominio nella Palestina ed in Siria fino all'Eufrate), annientare gli eserciti coalizzati di città importanti come la Pentapoli e saccheggiare le città stesse. Ciononostante Abramo si lanciò all'inseguimento senza esitazione, a capo di un piccolo esercito costituito con uomini propri, e riuscì a sbaragliare con apparente facilità il forte esercito avversario.
Questo porta a concludere con buon fondamento che Abramo aveva avuto precedenti esperienze di guerra ed era esperto nell'arte militare. Se si considera inoltre che governava con mano capace un popolo numeroso e amministrava, a quanto pare con notevole successo, un patrimonio per quei tempi gigantesco, dobbiamo presupporre che egli possedesse capacità e conoscenze che non si improvvisano da un giorno all'altro, né possiamo immaginare si possano acquisire in seno ad una piccola comunità di beduini nomadi.
Tutte le indicazioni della Genesi, in conclusione, concorrono a far rifiutare decisamente l'idea che Abramo fosse un piccolo sashu, peregrinante in mezzo a tanti altri simili miserabili pastori del suo tempo. Se dobbiamo giudicare quale fosse la sua origine sulla base dei dati forniti da Genesi, e di quelli soltanto, l'unica risposta che scaturisca in maniera motivata e con serio fondamento è che dovesse essere figlio di un qualche principe urarteo e come tale fosse stato educato.
NOTE:
[1] La Volgata, e con essa la Bibbia di Gerusalemme, riporta: “Tu sei presso di noi un principe di Dio: seppellisci il tuo morto nelle più belle nostre sepolture ”. Il Martini chiosa: “Tu sei un uomo che Dio ha reso grande e potente e quindi non ti tratteremo come uno straniero, ma come un principe...”. Anche a posteriori appare una spiegazione alquanto stiracchiata; tanto più che il testo ebraico riporta semplicemente: “Tu sei un grande principe fra di noi...” e sembra evidente che si riferisca alla condizione "anagrafica" di Abramo, non alla sua statura morale.
LA GUERRA TRA SAUSHSHA-TAR E TUTMOSI III
Integrando le notizie fornite da Genesi con i dati storici, siamo in grado di ricostruire con una certa attendibilità le vicende di Abramo. Partendo dall'inizio: Abramo nacque in Ur dei Caldei, nell'Urartu meridionale, nella città di Nahor, situata probabilmente nei pressi dell'odierna Diyarbekir. Era figlio di Tare, storicamente noto col nome di Saushsha-Tar, il sovrano artefice della potenza e grandezza dell'impero di Mitanni.
Abramo aveva due fratelli, Nahor e Haran. In Genesi 11,27 il nome di Abramo viene messo prima di quello dei suoi fratelli, dal che si dovrebbe dedurre che era il primogenito. Varie considerazioni, invece, portano a concludere che egli doveva essere il terzo dei figli maschi di Tare e che il suo nome è stato messo in cima alla lista perché chi ha scritto, o trascritto, la Bibbia lo giudicava evidentemente il personaggio più importante dei tre. In nessun passo, tuttavia, viene esplicitamente dichiarato che fosse il primogenito, il che è già una mezza ammissione che non lo fosse.
Dalla stessa Genesi si deduce che il vero erede di Tare, e quindi il primogenito, doveva essere Nahor. Un primo indizio è costituito dal nome, coincidente con quello del nonno paterno (Gen. 11,24), che nelle famiglie nobili solitamente viene dato ai primogeniti. E inoltre si consideri che fu Nahor a ereditare l'omonima città natale. Quando infatti Tare "migrò" a Harran insieme ad Abramo e Lot, Nahor rimase sul posto ed è proprio qui, presso " la "casa di Nahor", che più tardi Abramo mandò il suo servo a cercare moglie per il figlio Isacco (Gen. 24,10). Nahor, quindi, era l'erede legittimo di Tare e pertanto suo primogenito. Egli dovrebbe identificarsi con il personaggio storico di Artatama, il re che succedette a Saushsha-Tar sul trono di Mitanni.
Che Abramo fosse figlio cadetto lo prova anche il fatto che se ne dovette andare dal paese natale in cerca di fortuna: destino questo riservato normalmente ai figli cadetti delle grandi famiglie. Considerazioni di carattere temporale, legate all'età di Lot e di sua sorella Milcà (Gen.11,29) inducono a ritenere che egli fosse più giovane anche del fratello Haran, morto prima della partenza di Tare per Harran. Quando Abramo partì per la Palestina, infatti, doveva avere, si è detto, circa trenta anni. Se Haran fosse stato più giovane di lui, dobbiamo ritenere che in quel momento suo figlio Lot non potesse avere più di otto o dieci anni al massimo. Sappiamo, però, che esattamente 24 anni dopo, a Sodoma, Lot era padre di due ragazze entrambi in età da marito (Gen.19,14); perciò al momento della partenza da Harran, Lot doveva avere un'età più vicina ai venti che ai dieci anni, il che rende poco verosimile che suo padre Haran fosse più giovane di Abramo.
Analoghe considerazioni si possono fare per l'altra figlia di Haran, Milcà, la quale sposò lo zio Nahor prima ancora che Tare e Abramo partissero per Harran. Poiché al momento del matrimonio Milcà doveva avere per lo meno dodici anni, se ne deduce che Abramo non poteva essere più vecchio di Haran.; quando infatti lasciò Nahor egli doveva avere non più di 25 anni.[1]
Rimangono ora da stabilire la data ed i motivi della partenza da Nahor. E' importante notare che sia Abramo che il nipote Lot vennero al seguito di Tare, alias Saushsha-Tar. Data e motivi, quindi, vanno ricercati nelle vicende storiche di questo personaggio. Vediamo intanto di fissare la data della venuta di Abramo in Palestina. Venne, si è detto, come ostaggio a garanzia di un trattato di pace stipulato fra Tutmosi III e Saushsha-Tar. Le cronache storiche egizie, pur ricche di particolari, non fanno alcun cenno diretto a trattati stipulati da Tutmosi III, forse perché secondo la mentalità del periodo ciò avrebbe potuto sminuire la gloria del sovrano-dio.
Le cronache dell'ottava campagna militare, nel trentatreesimo anno di regno, però, danno grande risalto al fatto che Tutmosi, dopo aver sconfitto Saushsha-Tar e devastato il paese di Naharin nel corso di una incursione oltre l'Eufrate, a conclusione della campagna avesse innalzato a Karkemish un altare con una stele, proprio di fronte a quella eretta a suo tempo dal nonno Tutmosi I [2]. Nelle cronache viene citato come un gesto d'imperio, con il quale egli fissò unilateralmente il confine fra i due regni, interpretazione condivisa dalla maggior nparte degli storici. A torto, però.
Sappiamo dalla stessa Bibbia che questo genere di monumenti veniva allora innalzato per suggellare un patto a due. In Genesi 31,43-53 viene descritto in dettaglio il patto di "non aggressione" stipulato fra il "mitanni" Labano (signore di Harran) ed il "palestinese" Giacobbe: "Concludiamo un patto insieme, tu e io. Vi sarà un testimone fra me e te". Allora Giacobbe prese una pietra e la drizzò per farne una stele. Poi disse ai suoi parenti: "raccogliete pietre". Essi raccolsero pietre e ne fecero un mucchio. E su di esso mangiarono. Labano chiamò quel mucchio Iegar-Saaduta. Giacobbe invece lo chiamò Gal-Ed (mucchio della testimonianza), perché Labano aveva detto: "Questo mucchio è oggi un testimone fra me e te". Lo chiamò anche Mizpà (vigilanza) perché Labano aveva detto: "Il Signore non perda di vista me e te quando saremo lontani l'uno dall'altro. Bada bene: se tu maltratti le mie figlie o ti prendi altre mogli, non un uomo, ma Dio stesso sarà testimone fra me e te." Inoltre Labano aveva detto a Giacobbe: "Ecco questo mucchio di pietre e questa stele che ho drizzato fra me e te: l'uno e l'altro saranno testimoni che né io passerò questo mucchio per andare a te, né tu lo passerai per venire da me, oltre questa stele, con intenzioni cattive. Il Dio di Abramo ed il Dio di Nahor siano garanti di questi diritti fra me e te."
Dobbiamo ritenere che il mucchio di sassi e la stele siano stati innalzati a Karkemish per suggellare un patto del tutto analogo fra Tutmosi III e Saushsha-Tar, con parole praticamente identiche a quelle pronunciate da Labano e Giacobbe. Sappiamo anche che questo genere di patti comportava da parte di uno dei contraenti la consegna di ostaggi a garanzia del rispetto del trattato. (Anche Labano considera le proprie figlie come "ostaggi" dati in pegno a Giacobbe: "Queste figlie e questi nipoti sono miei..." Gen. 31,43)
La stele, oltre che da confine, serviva anche da testimone che gli ostaggi sarebbero stati trattati bene. Gli ostaggi erano sempre stretti familiari di chi li cedeva, di norma suoi figli. Anche se le cronache storiche pervenuteci non lo riferiscono, dobbiamo quindi ritenere con alto grado di attendibilità che a Karkemish Saushsha-Tar, alias Tare, abbia consegnato al faraone uno o più figli propri come ostaggi: Abramo, Sara e Lot, per l'appunto. Ovviamente dietro ampie assicurazioni che sarebbero stati trattati come meritava il loro rango e forniti di ogni mezzo di sussistenza. Se ne deve concludere che Abramo sia venuto in Palestina proprio in quell'occasione, nel tretatreesimo anno di Tutmosi III.
Qualche anno prima Abramo aveva lasciato Nahor al seguito del padre tare. Che significa questa partenza? Analizziamo gli avvenimenti storici di quegli anni[3]. Alla morte della matrigna Hasepsowe, nel ventiduesimo anno dal suo teorico insediamento al trono, Tutmosi III si dedicò con travolgente energia a ristabilire l'autorità dell'impero in Palestina e nella Siria meridionale, che Hasepsowe aveva completamente trascurato. In sole tre campagne militari, effettuate dal ventitreesimo al venticinquesimo anno di regno, l'autorità dell'impero fu saldamente ristabilita in Palestina e nella Siria fino a Qadesh. L'obiettivo successivo di Tutmosi fu quello di riportare i confini dell'impero esattamente agli stessi limiti stabiliti dal nonno Tutmosi I. Poiché buona parte dei territori della Siria settentrionale erano caduti nel frattempo sotto il dominio di Mitanni, la politica di Tutmosi conduceva inevitabilmente alla guerra contro Saushsha-Tar.
Le intenzioni di Tutmosi III dovettero rivelarsi chiaramente nel corso della sua quarta campagna militare. Fu probabilmente una campagna poco fortunata per il faraone, perché le cronache omettono accuratamente di farne il resoconto, tanto che non si sa neppure con precisione in che anno avvenne. Fino ad allora l'impero di Mitanni era rimasto passivo, perché non interessato ad avvenimenti che si svolgevano al di fuori della sua sfera d'influenza; ma a partire da quel momento fu guerra dichiarata.
Fu lo stesso Tutmosi ad aprire le ostilità contro Naharin, nel corso della sua quinta campagna militare, nel ventinovesimo anno di regno. Era diretta contro il paese di Djahi, nell'entroterra libanese; ma da lì egli effettuò una puntata contro il principe di Tunip, vassallo di Saushsha-Tar, spingendosi 250 km più a nord di quanto avesse mai fatto in precedenza. Saushsha-Tar fu costretto al confronto armato con l'impero egizio. Possiamo, anzi dobbiamo presumere che abbia lasciato Nahor in quell'occasione, per stabilire il proprio quartier generale ad Harran, molto più vicino al teatro delle operazioni. Il motivo del trasferimento di Tare da Nahor ad Harran, quindi, sarebbe stato quello di organizzare e condurre la guerra contro l'Egitto. Guerra che durò cinque anni, dal ventinovesimo al trentatreesimo anno di regno di Tutmosi III, e terminò con la disfatta di Mitanni.
La campagna venne condotta personalmente da Saushsha-Tar, che avrebbe lasciato il figlio maggiore Artatama, alias Nahor, a reggere le sorti del paese mentre egli era occupato nelle operazioni belliche. Con sè avrebbe portato il figlio cadetto Abramo, giovane e valente guerriero di circa venticinque anni, ed il nipote Lot, che doveva essere anch'egli in età da combattere. La prima mossa di Saushsha-Tar, mirante a tagliare i rifornimenti all'avversario e rendere precaria la sua situazione logistica, fu quella di sobillare i principi siriani sconfitti a Megiddo nel corso della terza campagna, i quali formarono una nuova lega ribelle contro il faraone, capitanata come al solito dal principe di Qadesh.
Tutmosi III, però, era un avversario formidabile, dotato di un genio militare che lo pone fra i grandi della storia. In quattro campagne successive egli debellò il potente avversario e riportò i confini dell'impero egizio all’estensione raggiunta alcuni decenni prima con Tutmosi I. Egli dedicò le intere quinta e sesta campagna militare a domare la rivolta nella Siria meridionale, per assicurarsi il dominio delle retrovie. Scopo della settima campagna fu il consolidamento del dominio egizio su tutta la costa da Gaza ad Ugarit, organizzando una serie ininterrotta di porti sicuri, dislocati ad una giornata di navigazione l'uno dall'altro, mediante i quali poter far affluire via mare uomini e materiali sul teatro delle operazioni.
E finalmente, nel trentatreesimo anno, con l'ottava campagna, Tutmosi sferrò l'attacco decisivo contro Mitanni. Grazie all'organizzazione creata l'anno precedente, Tutmosi si venne a trovare con una situazione logistica addirittura migliore di quella dell'avversario. Egli stabilì il proprio quartier generale a Biblos, una piazzaforte nella Siria settentrionale che poteva rifornire senza problemi né limiti via mare, e vi costruì un'intera flottiglia di piccole imbarcazioni fluviali, che fece trasportare su carri fino all'Eufrate, al seguito del suo esercito.
Saushsha-Tar subì una prima sconfitta campale a Uan, presso Aleppo, cercò poi di contrastare il passo agli egizi a Karkemish, sull'Eufrate, ma fu battuto nuovamente. Riuscì tuttavia a salvare l'esercito dalla distruzione totale e a sottrarsi alla cattura, ritirandosi oltre l'Eufrate. Tutmosi lo inseguì, attraversando a sua volta il fiume con le imbarcazioni che si era portato al seguito, prevedendo che il nemico avrebbe certamente distrutto ogni mezzo che potesse favorire la traversata. Saushsha-Tar, reduce da due sconfitte campali, evidentemente conscio della superiorità militare del nemico, evitò un nuovo scontro diretto. Tra i due dovettero instaurarsi delle trattative, perché la campagna in Mesopotamia terminò con un accordo, siglato, come si è già detto, a Karkemish, con l’erezione di un altare e di una stele che ripristinavano i vecchi confini.
L'anno dopo Tutmosi fu impegnato a domare un'ennesima rivolta in Palestina, ma in quello successivo, il trentacinquesimo, tornò nel nord della Siria. Qui dovette affrontare una coalizione capeggiata dal solito principe di Tunip e la sbaragliò in una battaglia campale ad Arina, sempre nelle vicinanze di Aleppo. La maggior parte degli storici suggerisce che animatore della lega fosse lo stesso Saushsha-Tar e vedono questa campagna come un proseguimento della guerra contro di lui. Alcuni vedono la sua impronta addirittura nella diciassettesima campagna, nell'anno quarantaduesimo di Tutmosi, poiché nelle cronache viene citato Naharin fra i nemici da battere. Ma quasi certamente Mitanni non entrava affatto in queste guerre.
L'accordo siglato nel trentatreesimo anno stabiliva il confine egizio a Karkemish; di conseguenza i principi di Ugarit, Tunip, Aleppo ecc., che si trovavano a sud della città, in virtù dell'accordo dovevano tornare sotto l'influenza egizia. E' naturale che il passaggio non fosse accettato automaticamente da tutti i principi e che Tutmosi abbia incontrato forte resistenza, pur senza un intervento diretto di Mitanni. Se intervento ci fosse stato, Tutmosi avrebbe punito Saushsha-Tar, invadendone nuovamente il territorio e devastandolo; invece non attraversò mai più l'Eufrate. Il fatto che nella decima e nella diciassettesima campagna venga citato fra i nemici anche Naharin, non significa che si riferisca all'impero mitanni; probabilmente con questo termine Tutmosi indica principati ad occidente dell’Eufrate, che fino a poco tempo prima avevano fatto parte dell'impero mitanni. Infatti il nome Naharin compare sempre quando il faraone è impegnato in guerra contro Tunip; potrebbe quindi riferirsi a questo principato ed a quelli situati più nord.
Sta di fatto che dopo il trentatreesimo anno, Tutmosi non puntò mai più verso l'Eufrate e che da allora in poi ricevette regolarmente doni e tributi da popolazioni che facevano parte integrante dell'impero di Mitanni, come ad esempio gli Assiri. Ciò sta ad indicare che l'accordo siglato a Karkemish fu sempre rispettato e resse tanto a lungo che ben a ragione lo si può definire la chiave di volta dell'intera politica egiziana nel Medio oriente per più di un secolo.
[1] Vedi: "Cronologia di Abramo”.
[2] “Non sappiamo quanto il re spinse le sue truppe oltre il fiume all'inseguimento del nemico, ma sono documentate numerose razzie e un notevole bottino. Riportato l'esercito sulla riva occidentale dell'Eufrate, Tuthmosis III fece erigere una stele di frontiera accanto a quella che nello stesso luogo aveva lasciato il nonno Tuthmosis I, quasi a dimostrazione che non intendeva ampliare ulteriormente le sue conquiste e per sancire la sua volontà di porre sull'Eufrate il termine estremo del confine” (F. Cimmino, Hasepsowe e Tuthmosis III cit., p. 123). V. anche note 6 e 7 della Parte seconda.
[3] F. Cimmino, Ivi, capitoli 11 e 12; a. Gardiner, op. cit., c. 7; J.A. Wilson, Egitto, in “I Propilei” cit., vol. I, p. 483.
Abramo aveva due fratelli, Nahor e Haran. In Genesi 11,27 il nome di Abramo viene messo prima di quello dei suoi fratelli, dal che si dovrebbe dedurre che era il primogenito. Varie considerazioni, invece, portano a concludere che egli doveva essere il terzo dei figli maschi di Tare e che il suo nome è stato messo in cima alla lista perché chi ha scritto, o trascritto, la Bibbia lo giudicava evidentemente il personaggio più importante dei tre. In nessun passo, tuttavia, viene esplicitamente dichiarato che fosse il primogenito, il che è già una mezza ammissione che non lo fosse.
Dalla stessa Genesi si deduce che il vero erede di Tare, e quindi il primogenito, doveva essere Nahor. Un primo indizio è costituito dal nome, coincidente con quello del nonno paterno (Gen. 11,24), che nelle famiglie nobili solitamente viene dato ai primogeniti. E inoltre si consideri che fu Nahor a ereditare l'omonima città natale. Quando infatti Tare "migrò" a Harran insieme ad Abramo e Lot, Nahor rimase sul posto ed è proprio qui, presso " la "casa di Nahor", che più tardi Abramo mandò il suo servo a cercare moglie per il figlio Isacco (Gen. 24,10). Nahor, quindi, era l'erede legittimo di Tare e pertanto suo primogenito. Egli dovrebbe identificarsi con il personaggio storico di Artatama, il re che succedette a Saushsha-Tar sul trono di Mitanni.
Che Abramo fosse figlio cadetto lo prova anche il fatto che se ne dovette andare dal paese natale in cerca di fortuna: destino questo riservato normalmente ai figli cadetti delle grandi famiglie. Considerazioni di carattere temporale, legate all'età di Lot e di sua sorella Milcà (Gen.11,29) inducono a ritenere che egli fosse più giovane anche del fratello Haran, morto prima della partenza di Tare per Harran. Quando Abramo partì per la Palestina, infatti, doveva avere, si è detto, circa trenta anni. Se Haran fosse stato più giovane di lui, dobbiamo ritenere che in quel momento suo figlio Lot non potesse avere più di otto o dieci anni al massimo. Sappiamo, però, che esattamente 24 anni dopo, a Sodoma, Lot era padre di due ragazze entrambi in età da marito (Gen.19,14); perciò al momento della partenza da Harran, Lot doveva avere un'età più vicina ai venti che ai dieci anni, il che rende poco verosimile che suo padre Haran fosse più giovane di Abramo.
Analoghe considerazioni si possono fare per l'altra figlia di Haran, Milcà, la quale sposò lo zio Nahor prima ancora che Tare e Abramo partissero per Harran. Poiché al momento del matrimonio Milcà doveva avere per lo meno dodici anni, se ne deduce che Abramo non poteva essere più vecchio di Haran.; quando infatti lasciò Nahor egli doveva avere non più di 25 anni.[1]
Rimangono ora da stabilire la data ed i motivi della partenza da Nahor. E' importante notare che sia Abramo che il nipote Lot vennero al seguito di Tare, alias Saushsha-Tar. Data e motivi, quindi, vanno ricercati nelle vicende storiche di questo personaggio. Vediamo intanto di fissare la data della venuta di Abramo in Palestina. Venne, si è detto, come ostaggio a garanzia di un trattato di pace stipulato fra Tutmosi III e Saushsha-Tar. Le cronache storiche egizie, pur ricche di particolari, non fanno alcun cenno diretto a trattati stipulati da Tutmosi III, forse perché secondo la mentalità del periodo ciò avrebbe potuto sminuire la gloria del sovrano-dio.
Le cronache dell'ottava campagna militare, nel trentatreesimo anno di regno, però, danno grande risalto al fatto che Tutmosi, dopo aver sconfitto Saushsha-Tar e devastato il paese di Naharin nel corso di una incursione oltre l'Eufrate, a conclusione della campagna avesse innalzato a Karkemish un altare con una stele, proprio di fronte a quella eretta a suo tempo dal nonno Tutmosi I [2]. Nelle cronache viene citato come un gesto d'imperio, con il quale egli fissò unilateralmente il confine fra i due regni, interpretazione condivisa dalla maggior nparte degli storici. A torto, però.
Sappiamo dalla stessa Bibbia che questo genere di monumenti veniva allora innalzato per suggellare un patto a due. In Genesi 31,43-53 viene descritto in dettaglio il patto di "non aggressione" stipulato fra il "mitanni" Labano (signore di Harran) ed il "palestinese" Giacobbe: "Concludiamo un patto insieme, tu e io. Vi sarà un testimone fra me e te". Allora Giacobbe prese una pietra e la drizzò per farne una stele. Poi disse ai suoi parenti: "raccogliete pietre". Essi raccolsero pietre e ne fecero un mucchio. E su di esso mangiarono. Labano chiamò quel mucchio Iegar-Saaduta. Giacobbe invece lo chiamò Gal-Ed (mucchio della testimonianza), perché Labano aveva detto: "Questo mucchio è oggi un testimone fra me e te". Lo chiamò anche Mizpà (vigilanza) perché Labano aveva detto: "Il Signore non perda di vista me e te quando saremo lontani l'uno dall'altro. Bada bene: se tu maltratti le mie figlie o ti prendi altre mogli, non un uomo, ma Dio stesso sarà testimone fra me e te." Inoltre Labano aveva detto a Giacobbe: "Ecco questo mucchio di pietre e questa stele che ho drizzato fra me e te: l'uno e l'altro saranno testimoni che né io passerò questo mucchio per andare a te, né tu lo passerai per venire da me, oltre questa stele, con intenzioni cattive. Il Dio di Abramo ed il Dio di Nahor siano garanti di questi diritti fra me e te."
Dobbiamo ritenere che il mucchio di sassi e la stele siano stati innalzati a Karkemish per suggellare un patto del tutto analogo fra Tutmosi III e Saushsha-Tar, con parole praticamente identiche a quelle pronunciate da Labano e Giacobbe. Sappiamo anche che questo genere di patti comportava da parte di uno dei contraenti la consegna di ostaggi a garanzia del rispetto del trattato. (Anche Labano considera le proprie figlie come "ostaggi" dati in pegno a Giacobbe: "Queste figlie e questi nipoti sono miei..." Gen. 31,43)
La stele, oltre che da confine, serviva anche da testimone che gli ostaggi sarebbero stati trattati bene. Gli ostaggi erano sempre stretti familiari di chi li cedeva, di norma suoi figli. Anche se le cronache storiche pervenuteci non lo riferiscono, dobbiamo quindi ritenere con alto grado di attendibilità che a Karkemish Saushsha-Tar, alias Tare, abbia consegnato al faraone uno o più figli propri come ostaggi: Abramo, Sara e Lot, per l'appunto. Ovviamente dietro ampie assicurazioni che sarebbero stati trattati come meritava il loro rango e forniti di ogni mezzo di sussistenza. Se ne deve concludere che Abramo sia venuto in Palestina proprio in quell'occasione, nel tretatreesimo anno di Tutmosi III.
Qualche anno prima Abramo aveva lasciato Nahor al seguito del padre tare. Che significa questa partenza? Analizziamo gli avvenimenti storici di quegli anni[3]. Alla morte della matrigna Hasepsowe, nel ventiduesimo anno dal suo teorico insediamento al trono, Tutmosi III si dedicò con travolgente energia a ristabilire l'autorità dell'impero in Palestina e nella Siria meridionale, che Hasepsowe aveva completamente trascurato. In sole tre campagne militari, effettuate dal ventitreesimo al venticinquesimo anno di regno, l'autorità dell'impero fu saldamente ristabilita in Palestina e nella Siria fino a Qadesh. L'obiettivo successivo di Tutmosi fu quello di riportare i confini dell'impero esattamente agli stessi limiti stabiliti dal nonno Tutmosi I. Poiché buona parte dei territori della Siria settentrionale erano caduti nel frattempo sotto il dominio di Mitanni, la politica di Tutmosi conduceva inevitabilmente alla guerra contro Saushsha-Tar.
Le intenzioni di Tutmosi III dovettero rivelarsi chiaramente nel corso della sua quarta campagna militare. Fu probabilmente una campagna poco fortunata per il faraone, perché le cronache omettono accuratamente di farne il resoconto, tanto che non si sa neppure con precisione in che anno avvenne. Fino ad allora l'impero di Mitanni era rimasto passivo, perché non interessato ad avvenimenti che si svolgevano al di fuori della sua sfera d'influenza; ma a partire da quel momento fu guerra dichiarata.
Fu lo stesso Tutmosi ad aprire le ostilità contro Naharin, nel corso della sua quinta campagna militare, nel ventinovesimo anno di regno. Era diretta contro il paese di Djahi, nell'entroterra libanese; ma da lì egli effettuò una puntata contro il principe di Tunip, vassallo di Saushsha-Tar, spingendosi 250 km più a nord di quanto avesse mai fatto in precedenza. Saushsha-Tar fu costretto al confronto armato con l'impero egizio. Possiamo, anzi dobbiamo presumere che abbia lasciato Nahor in quell'occasione, per stabilire il proprio quartier generale ad Harran, molto più vicino al teatro delle operazioni. Il motivo del trasferimento di Tare da Nahor ad Harran, quindi, sarebbe stato quello di organizzare e condurre la guerra contro l'Egitto. Guerra che durò cinque anni, dal ventinovesimo al trentatreesimo anno di regno di Tutmosi III, e terminò con la disfatta di Mitanni.
La campagna venne condotta personalmente da Saushsha-Tar, che avrebbe lasciato il figlio maggiore Artatama, alias Nahor, a reggere le sorti del paese mentre egli era occupato nelle operazioni belliche. Con sè avrebbe portato il figlio cadetto Abramo, giovane e valente guerriero di circa venticinque anni, ed il nipote Lot, che doveva essere anch'egli in età da combattere. La prima mossa di Saushsha-Tar, mirante a tagliare i rifornimenti all'avversario e rendere precaria la sua situazione logistica, fu quella di sobillare i principi siriani sconfitti a Megiddo nel corso della terza campagna, i quali formarono una nuova lega ribelle contro il faraone, capitanata come al solito dal principe di Qadesh.
Tutmosi III, però, era un avversario formidabile, dotato di un genio militare che lo pone fra i grandi della storia. In quattro campagne successive egli debellò il potente avversario e riportò i confini dell'impero egizio all’estensione raggiunta alcuni decenni prima con Tutmosi I. Egli dedicò le intere quinta e sesta campagna militare a domare la rivolta nella Siria meridionale, per assicurarsi il dominio delle retrovie. Scopo della settima campagna fu il consolidamento del dominio egizio su tutta la costa da Gaza ad Ugarit, organizzando una serie ininterrotta di porti sicuri, dislocati ad una giornata di navigazione l'uno dall'altro, mediante i quali poter far affluire via mare uomini e materiali sul teatro delle operazioni.
E finalmente, nel trentatreesimo anno, con l'ottava campagna, Tutmosi sferrò l'attacco decisivo contro Mitanni. Grazie all'organizzazione creata l'anno precedente, Tutmosi si venne a trovare con una situazione logistica addirittura migliore di quella dell'avversario. Egli stabilì il proprio quartier generale a Biblos, una piazzaforte nella Siria settentrionale che poteva rifornire senza problemi né limiti via mare, e vi costruì un'intera flottiglia di piccole imbarcazioni fluviali, che fece trasportare su carri fino all'Eufrate, al seguito del suo esercito.
Saushsha-Tar subì una prima sconfitta campale a Uan, presso Aleppo, cercò poi di contrastare il passo agli egizi a Karkemish, sull'Eufrate, ma fu battuto nuovamente. Riuscì tuttavia a salvare l'esercito dalla distruzione totale e a sottrarsi alla cattura, ritirandosi oltre l'Eufrate. Tutmosi lo inseguì, attraversando a sua volta il fiume con le imbarcazioni che si era portato al seguito, prevedendo che il nemico avrebbe certamente distrutto ogni mezzo che potesse favorire la traversata. Saushsha-Tar, reduce da due sconfitte campali, evidentemente conscio della superiorità militare del nemico, evitò un nuovo scontro diretto. Tra i due dovettero instaurarsi delle trattative, perché la campagna in Mesopotamia terminò con un accordo, siglato, come si è già detto, a Karkemish, con l’erezione di un altare e di una stele che ripristinavano i vecchi confini.
L'anno dopo Tutmosi fu impegnato a domare un'ennesima rivolta in Palestina, ma in quello successivo, il trentacinquesimo, tornò nel nord della Siria. Qui dovette affrontare una coalizione capeggiata dal solito principe di Tunip e la sbaragliò in una battaglia campale ad Arina, sempre nelle vicinanze di Aleppo. La maggior parte degli storici suggerisce che animatore della lega fosse lo stesso Saushsha-Tar e vedono questa campagna come un proseguimento della guerra contro di lui. Alcuni vedono la sua impronta addirittura nella diciassettesima campagna, nell'anno quarantaduesimo di Tutmosi, poiché nelle cronache viene citato Naharin fra i nemici da battere. Ma quasi certamente Mitanni non entrava affatto in queste guerre.
L'accordo siglato nel trentatreesimo anno stabiliva il confine egizio a Karkemish; di conseguenza i principi di Ugarit, Tunip, Aleppo ecc., che si trovavano a sud della città, in virtù dell'accordo dovevano tornare sotto l'influenza egizia. E' naturale che il passaggio non fosse accettato automaticamente da tutti i principi e che Tutmosi abbia incontrato forte resistenza, pur senza un intervento diretto di Mitanni. Se intervento ci fosse stato, Tutmosi avrebbe punito Saushsha-Tar, invadendone nuovamente il territorio e devastandolo; invece non attraversò mai più l'Eufrate. Il fatto che nella decima e nella diciassettesima campagna venga citato fra i nemici anche Naharin, non significa che si riferisca all'impero mitanni; probabilmente con questo termine Tutmosi indica principati ad occidente dell’Eufrate, che fino a poco tempo prima avevano fatto parte dell'impero mitanni. Infatti il nome Naharin compare sempre quando il faraone è impegnato in guerra contro Tunip; potrebbe quindi riferirsi a questo principato ed a quelli situati più nord.
Sta di fatto che dopo il trentatreesimo anno, Tutmosi non puntò mai più verso l'Eufrate e che da allora in poi ricevette regolarmente doni e tributi da popolazioni che facevano parte integrante dell'impero di Mitanni, come ad esempio gli Assiri. Ciò sta ad indicare che l'accordo siglato a Karkemish fu sempre rispettato e resse tanto a lungo che ben a ragione lo si può definire la chiave di volta dell'intera politica egiziana nel Medio oriente per più di un secolo.
[1] Vedi: "Cronologia di Abramo”.
[2] “Non sappiamo quanto il re spinse le sue truppe oltre il fiume all'inseguimento del nemico, ma sono documentate numerose razzie e un notevole bottino. Riportato l'esercito sulla riva occidentale dell'Eufrate, Tuthmosis III fece erigere una stele di frontiera accanto a quella che nello stesso luogo aveva lasciato il nonno Tuthmosis I, quasi a dimostrazione che non intendeva ampliare ulteriormente le sue conquiste e per sancire la sua volontà di porre sull'Eufrate il termine estremo del confine” (F. Cimmino, Hasepsowe e Tuthmosis III cit., p. 123). V. anche note 6 e 7 della Parte seconda.
[3] F. Cimmino, Ivi, capitoli 11 e 12; a. Gardiner, op. cit., c. 7; J.A. Wilson, Egitto, in “I Propilei” cit., vol. I, p. 483.
Condiderazioni su quanto segue da ora in poi
Devo dire che a mio parere il riconoscere nel faraone Tutmosi III Jahweh, il Dio di Abramo, sembra proprio un forzatura fantasiosa, anche se anticamente i sovrani ereno considerati figli degli dei, mentre si può anche prendere in considerazione la parte che riguarda gli ostaggi dati in garanzia che era in uso nell'antichità. Che poi i faraoni abbiano creato dei vassalli o dei governatori è sicuramente accaduto, anzi è certo. Vero è che comunque senza fare ipotesi non si potrà mai fare un progresso nella ricerca storica e la Bibbia non è un libro di storia, ma usa racconti conosciuti modificandoli a fini teologici, vedi il racconto del diluvio ad esempio. Fosse poi anche vero che un fatto molto simile (di cui tra l'altro non esiste nessuna documentazione) possa essere avvenuto, il redattore biblico potrebbe averlo modificato con lo scopo di comporre un racconto con delle finalità teologiche. A questo proposito possiamo vedere il libro di Giobbe, quello di Giona e altri racconti della Bibbia.
ABRAMO IN PALESTINA (Canaan)
Abramo in Palestina diventa un feudatario del faraone
A Karkemish il faraone vittorioso dovette pretendere dallo sconfitto Saushsha-Tar garanzie concrete, quale la cessione di ostaggi. Era questo, infatti, il comportamento di Tutmosi III in tutti gli accordi coi vinti. Fu così che Abramo, nel trentatreesimo anno di regno di Tutmosi III, prese la via della Palestina.
"Abramo partì da Harran, secondo l'ordine di Elohim. Partirono con lui la moglie Sara ed il nipote Lot, figlio di suo fratello. Portarono tutti i beni che avevano acquistato e gli schiavi comperati ad Harran. Si diressero verso la terra di Canaan. Giunsero a Canaan e Abramo attraversò quella regione fino a Sichem, alla quercia di Moré. I Cananei erano allora gli abitanti di quella terra. Jahweh apparve ad Abramo e gli disse: "Questa è la terra che io darò a te e ai tuoi discendenti". E in quel luogo Abramo costruì un altare per Jahweh che gli era apparso. Poi si trasferì verso la montagna che si trova ad est di Betel. Piantò la sua tenda a mezza strada fra Betel a ovest e Ai a est. Costruì un altare e invocò il nome di Jahweh. Poi a tappe si diresse verso il Negev" (Gen. 12,6-9).
Che significa questi altari lungo la via che lo porta alla sua meta finale, il Negev? Esegeti moderni parlano di "santuari" fondati dal patriarca; ma la cosa ha poco senso durante un viaggio di trasferimento. E poi è chiaro che si tratta di semplici mucchi di sassi. Ricordando quanto si è detto poco fa, essi dovrebbero essere stati eretti per suggellare un patto e/o stabilire un confine. Il primo altare è quello di Sichem. Qui in effetti, Jahweh, e cioè il faraone, incontrò Abramo e stabilì un patto con lui, promettendogli un territorio in Palestina. E' quindi ovvio che a testimonianza del patto debba essere stato innalzato un mucchio di pietre, come sul Galaad e a Karkemish.
Come abbiamo visto parlando degli apiru, Abramo doveva godere di uno stato giuridico del tutto particolare. La sua presenza in suolo egizio costituiva la garanzia che suo padre Saushsha-Tar avrebbe rispettato gli accordi presi con l'Egitto. Perciò egli doveva essere soggetto ad una qualche forma di sorveglianza e avere delle limitazioni di movimento. D'altra parte, però, egli era pur sempre il figlio del più potente sovrano confinante con l'Egitto e il faraone, per evitare guai, doveva garantirgli la sicurezza personale, i mezzi di sussistenza ed il prestigio che competevano ad un personaggio del suo rango. Anzi a due personaggi, perché assieme ad Abramo venne anche il nipote Lot, primogenito di suo fratello Haran.
L'altare di Sichem, oltre che una testimonianza del patto, probabilmente costituiva il limite settentrionale del territorio in cui era consentito ad Abramo di muoversi; esattamente come per gli altari di Galaad e Karkemish, che costituivano dei limiti invalicabili. Sichem appare un limite piuttosto ragionevole: garantiva al principe mitanni un territorio abbastanza ampio per non sentirsi un recluso e per assicurargli un benessere economico adeguato al suo rango e nel contempo era sufficientemente lontano dal regno paterno per evitare tentativi di fuga.
Se il significato dell'altare di Sichem appare abbastanza chiaro, non altrettanto lo è quello dell'altare eretto poco dopo "tra Betel a ovest e Ai a est". Qui Abramo non incontra Jahweh; si limita ad invocarne il nome, il che è significativo. Colpisce anche la pignoleria con cui vengono indicati i punti cardinali, che non può essere casuale. L'altare, come tutti i precedenti, è evidentemente il testimone di un patto e stabilisce probabilmente un confine. Ma fra quali contraenti? Fra essi certamente non figura Jahweh, che viene invocato soltanto come testimone del patto.
Uno dei contraenti è senz'altro Abramo, che ha eretto l'altare. Per scoprire l'altro bisogna andare a Genesi 13, dove si dice che "Abramo lasciò l'Egitto e si avviò verso mezzogiorno, con sua moglie, tutti i suoi beni e Lot che lo accompagnava ... e proseguì il viaggio fino a Betel ... e là dove aveva costruito un altare ... Abramo disse a Lot: "Separiamoci: hai davanti a te tutta questa regione. Se tu andrai a sinistra io andrò a destra; se invece tu andrai a destra io andrò a sinistra". Allora Lot alzò gli occhi e osservò tutta la valle del Giordano, perché era tutta irrigata prima che Jahweh (Amenofi II) distruggesse Sodoma e Gomorra, come il giardino di Jahweh, il paese d'Egitto, fino a Sohar. E Lot scelse per sé la valle del Giordano. Così si divisero. Abramo abitò nella regione di Canaan, Lot invece nelle città della valle del Giordano e si stabilì a Sodoma".
Dal contesto in cui è riportato, sembrerebbe che questo episodio debba collocarsi temporalmente dopo che Abramo lasciò il territorio di Abimelek, nel Negev. Ma ad un esame più accurato appare evidente che accadde invece durante lo stesso viaggio di trasferimento dalla Mesopotamia, subito dopo l'incontro con Jahweh (Tutmosi III) a Sichem. Chi ha apportato ritocchi al testo originale per cambiarne la collocazione, infatti, è incorso in alcune "sviste" che tradiscono il suo intervento. Innanzitutto afferma che Abramo partì dall'Egitto, mentre abbiamo accertato che egli non arrivò mai fino a quel paese. Il fatto illuminante, però, è che il testo prosegue dicendo che da qui, cioè dall'Egitto, egli si diresse "verso sud", fino ad arrivare a Betel: evidentemente il paese di partenza era situato a nord di Betel e quindi non poteva essere l'Egitto, ma si deve invece identificare con il paese da cui Abramo era partito, e cioè la Mesopotamia.
Che la separazione fra i due sia avvenuta prima dell'arrivo di Abramo nel Negev, e quindi durante il viaggio di trasferimento iniziale, è provato anche dal fatto che Abramo, dopo aver lasciato Gerar, si stabilì direttamente a Ebron e non portò mai il suo bestiame al di fuori del territorio compreso fra questa città e Beer Sheba, a sud. Inoltre, in nessuno dei tre brani che narrano dei rapporti fra Abramo ed Abimelek viene fatto il minimo cenno a Lot, che pure avrebbe dovuto costituire una presenza piuttosto "ingombrante", difficile da passare inosservata. D'altra parte ciò rientra nella logica stessa dei motivi che costrinsero Abramo e Lot a recarsi in Palestina: Se Tutmosi pretese la consegna di ben due degli eredi legittimi di Saushsha-Tar, lo fece evidentemente per ottenere una duplice garanzia. Non aveva senso che i due insigni ostaggi rimanessero assieme e continuassero ad avere rapporti fra loro.
Dobbiamo quindi ritenere che siano stati separati da Tutmosi fin dall'inizio, che siano stati assegnati loro due territori ben distinti e inoltre che non fossero consentiti contatti fra loro. L'altare fra Betel e Ai costituiva probabilmente un confine fra il territorio consentito ad Abramo e quello consentito a Lot. Tutmosi, evidentemente, lasciò ai due parenti la scelta del territorio; per quel che lo riguardava era indifferente che vivessero in un posto piuttosto che in un altro. La prima scelta fu lasciata a Lot. Che questo fosse dovuto ad un impulso di generosità da parte di Abramo nei confronti del nipote appare non realistico; quasi certamente fu dovuto al fatto che Lot ne aveva pieno diritto. Ciò costituisce un'ulteriore conferma all'ipotesi avanzata dianzi, secondo cui Abramo era più giovane del fratello Haran: in quanto primogenito di quest'ultimo Lot aveva diritto di precedenza.
Abramo e il principe di Gerar, Abimelek
Lot scelse per sé la pingue valle del Giordano e si stabilì nella ricca città di Sodoma. Abramo, invece, prese la via del Negev e si stabilì presso il principe di Gerar, Abimelek, feudatario di Tutmosi III. Tutmosi, contrariamente a quanto faceva con gli ostaggi provenienti dalle regioni soggette all'impero, consentì ad Abramo di risiedere fuori dal territorio egizio vero e proprio. "Non scendere in Egitto. Rimani nel paese che io ti indicherò. Abita da straniero in questo paese; io sarò con te e ti benedirò." (Gen. 26,2). Fu così che Abramo si stabilì a Gerar, ospite del feudatario locale Abimelek, un principe cananeo che evidentemente era stato incaricato da Tutmosi di sorvegliarlo.
Le vicende di Abramo presso Abimelek possono essere ricostruite abbastanza in dettaglio, mettendo insieme le informazioni fornite dai tre brani che riferiscono questo episodio, ciascuno dei quali riporta particolari che completano il quadro. (Con la ovvia avvertenza di sostituire in Genesi 25,26 i nomi di Isacco e Rebecca con quelli Abramo e Sara e di eliminare quei piccoli ritocchi che nelle intenzioni di chi li ha apportati dovevano servire a rendere congruente l'ambientazione dell’episodio. In particolare lo scavo dei pozzi che, essendo esattamente gli stessi cui viene di cui viene riferito a Genesi 20,21(? il versetto non esiste, forse è Gen 21, 22), viene precisato essere stati chiusi nel frattempo). In un primo tempo Abramo dovette essere affidato alla custodia diretta di Abimelek, ed è quindi presumibile che si sia installato nella stessa Gerar, in prossimità del palazzo reale. Nonostante le assicurazioni di Tutmosi, Abramo non doveva fidarsi troppo della lealtà di Abimelek e lo ammette chiaramente in Genesi 20,11: "Mi sono detto: sicuramente in questo luogo non c'è alcun rispetto di Jahweh; perciò mi uccideranno pur di avere mia moglie".
Questo timore di Abramo di essere ucciso a causa della moglie è abbastanza inspiegabile, se non si tiene conto di quanto abbiamo circa l'aspetto fisico suo e dei suoi familiari. Sara era indubbiamente una bella donna, ma questo fatto non è sufficiente da solo a spiegare i timori del marito e la prontezza con cui, in effetti, Abimelek si è precipitato a metterle le mani addosso. Doveva essere un tipo assai diverso dalle bellezze locali. Se Abramo era alto di statura, di carnagione chiara e capelli rossi, la sorella Sara doveva avere l'aspetto di una valchiria: un genere di bellezza strepitoso e irresistibile in un'area abitata da donne di tipo mediterraneo. Sotto questa luce appaiono legittimi i timori di Abramo e giustificato il suo sotterfugio iniziale di nascondere la vera identità della moglie.
Quello che non è chiaro è se questo sotterfugio facesse parte di un piano preciso architettato da Abramo per trarre vantaggio dalla situazione che inevitabilmente, secondo le sue previsioni, si sarebbe creata. Da quanto ci è dato capire della sua personalità, quale traspare dalla Bibbia, Abramo era sufficientemente abile e spregiudicato da mettere in atto un piano del genere. Ma dal momento che un tale comportamento non incontrerebbe il favore della morale corrente, tanto vale ritenere con la Bibbia che quel sotterfugio fosse dettato esclusivamente dalla prudenza, che comunque appare essere una delle più grandi doti del patriarca.
In ogni caso Abramo seppe sfruttare abilmente la situazione e volgerla a suo vantaggio. Abimelek doveva avere avuto precise istruzioni da Tutmosi in merito ad Abramo, ma probabilmente non aveva ancora l'esatta sensazione di quanto il faraone tenesse all'ostaggio, che tutto sommato era pur sempre una specie di prigioniero da guardare a vista. In ogni caso Abimelek non riteneva di recare offesa all'illustre ospite, impalmandone la sorella; anzi è da ritenere che fosse convinto di fargli un onore e nel contempo di migliorare la propria posizione imparentandosi con una grande casata come quella di Abramo.
Come siano andate effettivamente le cose, e cioè se ci siano state preventive richieste di matrimonio e trattative, o se invece il principe cananeo abbia agito di propria iniziativa contro la volontà dei due fratelli, non è possibile saperlo. Sta di fatto che la bionda mitanni finì nell'harem di Abimelek, il quale non è credibile ne abbia rispettato la virtù, come invece si preoccupano di evidenziare le tradizioni ebraiche riferentesi a questo episodio. Si tratta comunque di un particolare insignificante; agli occhi del mondo l'onore della donna era comunque compromesso e il torto subito dal marito incommensurabile. Quanto a lungo sia durata questa situazione non è dato sapere; alla fine, però, Tutmosi ne venne a conoscenza e si può ben immaginare come abbia preso la cosa: tutta la sua politica nel settore orientale ruotava intorno a quell'ostaggio; non poteva certo subordinare la sicurezza dell'impero alle voglie di un pincipotto palestinese.
"Lo so bene che hai agito in buona fede", disse Tutmosi ad Abimelek. "Ma ora restituisci la donna a quell'uomo. E' sotto la mia protezione: egli pregherà per te e tu vivrai. Ma se non la restituisci sicuramente morrai, tu e tutti i tuoi." Abimelek si alzò di buon mattino, chiamò tutti i suoi consiglieri e raccontò loro l'intera vicenda. Tutti furono spaventati" (Gen.20,6-8). Abramo aveva le sorti di Abimelek in pugno e ne approfittò per ottenere due condizioni: ricchezza materiale e libertà di movimento. Fece le sue richieste: "Allora Abimelek restituì Sara ad Abramo e insieme gli regalò pecore e buoi, schiavi e schiave. E gli disse: "Guarda, questo è il mio territorio. Va a stabilirti dove preferisci". A Sara disse: "Ecco, io ho dato a tuo fratello mille pezzi d'argento. Questo dono sarà per te come un velo agli occhi dei tuoi accompagnatori e sarai riabilitata dinanzi a loro" ... Poi Abimelek diede quest'ordine a tutto il popolo: "Se qualcuno fa del male a quest'uomo o a sua moglie, sarà condannato a morte!." (Gen. 20,14-16 e 26,11)
Per ricostruire gli avvenimenti successivi è sufficiente riportare nel giusto ordine quanto riferito da Genesi 20 e 26. Quando era giunto a Gerar, Abramo non possedeva bestiame, o comunque non in quantità apprezzabile. Nel periodo in cui Sara rimase al palazzo di Abimelek, tuttavia, egli non rimase inattivo, ma si dedicò con i suoi servi all'agricoltura. In Genesi 26,12 si dice che "fece in quella terra una semina e quell'anno ebbe un raccolto molto abbondante". Gerar, infatti, era situata lungo la costa in un territorio particolarmente idoneo all'agricoltura.
In seguito al risarcimento pagato da Abimelek, Abramo divenne un ricco possidente di bestiame, ed è ovvio che la sua presenza non fosse ben vista in un territorio a vocazione agricola; tanto più che era uno straniero. Dopo un tempo presumibilmente breve, infatti, "Abimelek disse ad Abramo: 'Vattene via da noi, perché sei diventato troppo potente'. Abramo si allontanò da quel luogo; andò a vivere in tenda e si stabilì nella valle di Gerar. I suoi servi scavarono un pozzo nella valle e trovarono l'acqua. Ma i pastori di Gerar attaccarono briga e dicevano: 'Quest'acqua è nostra!' Allora Abramo chiamò quel pozzo Eseq (litigio), perché avevano litigato con lui. Poi scavarono un altro pozzo. Anche per quello scoppiò una lite. Perciò lo chiamò Sitna (contesa). Poi si allontanò di là e scavò un altro pozzo per il quale non vi fu alcuna contesa. Allora lo chiamò Rehobot (libertà), ‘Perché - disse - ora il Signore ci ha dato spazio per vivere e prosperare in questa terra'" (Gen. 26,16-22).
A Karkemish il faraone vittorioso dovette pretendere dallo sconfitto Saushsha-Tar garanzie concrete, quale la cessione di ostaggi. Era questo, infatti, il comportamento di Tutmosi III in tutti gli accordi coi vinti. Fu così che Abramo, nel trentatreesimo anno di regno di Tutmosi III, prese la via della Palestina.
"Abramo partì da Harran, secondo l'ordine di Elohim. Partirono con lui la moglie Sara ed il nipote Lot, figlio di suo fratello. Portarono tutti i beni che avevano acquistato e gli schiavi comperati ad Harran. Si diressero verso la terra di Canaan. Giunsero a Canaan e Abramo attraversò quella regione fino a Sichem, alla quercia di Moré. I Cananei erano allora gli abitanti di quella terra. Jahweh apparve ad Abramo e gli disse: "Questa è la terra che io darò a te e ai tuoi discendenti". E in quel luogo Abramo costruì un altare per Jahweh che gli era apparso. Poi si trasferì verso la montagna che si trova ad est di Betel. Piantò la sua tenda a mezza strada fra Betel a ovest e Ai a est. Costruì un altare e invocò il nome di Jahweh. Poi a tappe si diresse verso il Negev" (Gen. 12,6-9).
Che significa questi altari lungo la via che lo porta alla sua meta finale, il Negev? Esegeti moderni parlano di "santuari" fondati dal patriarca; ma la cosa ha poco senso durante un viaggio di trasferimento. E poi è chiaro che si tratta di semplici mucchi di sassi. Ricordando quanto si è detto poco fa, essi dovrebbero essere stati eretti per suggellare un patto e/o stabilire un confine. Il primo altare è quello di Sichem. Qui in effetti, Jahweh, e cioè il faraone, incontrò Abramo e stabilì un patto con lui, promettendogli un territorio in Palestina. E' quindi ovvio che a testimonianza del patto debba essere stato innalzato un mucchio di pietre, come sul Galaad e a Karkemish.
Come abbiamo visto parlando degli apiru, Abramo doveva godere di uno stato giuridico del tutto particolare. La sua presenza in suolo egizio costituiva la garanzia che suo padre Saushsha-Tar avrebbe rispettato gli accordi presi con l'Egitto. Perciò egli doveva essere soggetto ad una qualche forma di sorveglianza e avere delle limitazioni di movimento. D'altra parte, però, egli era pur sempre il figlio del più potente sovrano confinante con l'Egitto e il faraone, per evitare guai, doveva garantirgli la sicurezza personale, i mezzi di sussistenza ed il prestigio che competevano ad un personaggio del suo rango. Anzi a due personaggi, perché assieme ad Abramo venne anche il nipote Lot, primogenito di suo fratello Haran.
L'altare di Sichem, oltre che una testimonianza del patto, probabilmente costituiva il limite settentrionale del territorio in cui era consentito ad Abramo di muoversi; esattamente come per gli altari di Galaad e Karkemish, che costituivano dei limiti invalicabili. Sichem appare un limite piuttosto ragionevole: garantiva al principe mitanni un territorio abbastanza ampio per non sentirsi un recluso e per assicurargli un benessere economico adeguato al suo rango e nel contempo era sufficientemente lontano dal regno paterno per evitare tentativi di fuga.
Se il significato dell'altare di Sichem appare abbastanza chiaro, non altrettanto lo è quello dell'altare eretto poco dopo "tra Betel a ovest e Ai a est". Qui Abramo non incontra Jahweh; si limita ad invocarne il nome, il che è significativo. Colpisce anche la pignoleria con cui vengono indicati i punti cardinali, che non può essere casuale. L'altare, come tutti i precedenti, è evidentemente il testimone di un patto e stabilisce probabilmente un confine. Ma fra quali contraenti? Fra essi certamente non figura Jahweh, che viene invocato soltanto come testimone del patto.
Uno dei contraenti è senz'altro Abramo, che ha eretto l'altare. Per scoprire l'altro bisogna andare a Genesi 13, dove si dice che "Abramo lasciò l'Egitto e si avviò verso mezzogiorno, con sua moglie, tutti i suoi beni e Lot che lo accompagnava ... e proseguì il viaggio fino a Betel ... e là dove aveva costruito un altare ... Abramo disse a Lot: "Separiamoci: hai davanti a te tutta questa regione. Se tu andrai a sinistra io andrò a destra; se invece tu andrai a destra io andrò a sinistra". Allora Lot alzò gli occhi e osservò tutta la valle del Giordano, perché era tutta irrigata prima che Jahweh (Amenofi II) distruggesse Sodoma e Gomorra, come il giardino di Jahweh, il paese d'Egitto, fino a Sohar. E Lot scelse per sé la valle del Giordano. Così si divisero. Abramo abitò nella regione di Canaan, Lot invece nelle città della valle del Giordano e si stabilì a Sodoma".
Dal contesto in cui è riportato, sembrerebbe che questo episodio debba collocarsi temporalmente dopo che Abramo lasciò il territorio di Abimelek, nel Negev. Ma ad un esame più accurato appare evidente che accadde invece durante lo stesso viaggio di trasferimento dalla Mesopotamia, subito dopo l'incontro con Jahweh (Tutmosi III) a Sichem. Chi ha apportato ritocchi al testo originale per cambiarne la collocazione, infatti, è incorso in alcune "sviste" che tradiscono il suo intervento. Innanzitutto afferma che Abramo partì dall'Egitto, mentre abbiamo accertato che egli non arrivò mai fino a quel paese. Il fatto illuminante, però, è che il testo prosegue dicendo che da qui, cioè dall'Egitto, egli si diresse "verso sud", fino ad arrivare a Betel: evidentemente il paese di partenza era situato a nord di Betel e quindi non poteva essere l'Egitto, ma si deve invece identificare con il paese da cui Abramo era partito, e cioè la Mesopotamia.
Che la separazione fra i due sia avvenuta prima dell'arrivo di Abramo nel Negev, e quindi durante il viaggio di trasferimento iniziale, è provato anche dal fatto che Abramo, dopo aver lasciato Gerar, si stabilì direttamente a Ebron e non portò mai il suo bestiame al di fuori del territorio compreso fra questa città e Beer Sheba, a sud. Inoltre, in nessuno dei tre brani che narrano dei rapporti fra Abramo ed Abimelek viene fatto il minimo cenno a Lot, che pure avrebbe dovuto costituire una presenza piuttosto "ingombrante", difficile da passare inosservata. D'altra parte ciò rientra nella logica stessa dei motivi che costrinsero Abramo e Lot a recarsi in Palestina: Se Tutmosi pretese la consegna di ben due degli eredi legittimi di Saushsha-Tar, lo fece evidentemente per ottenere una duplice garanzia. Non aveva senso che i due insigni ostaggi rimanessero assieme e continuassero ad avere rapporti fra loro.
Dobbiamo quindi ritenere che siano stati separati da Tutmosi fin dall'inizio, che siano stati assegnati loro due territori ben distinti e inoltre che non fossero consentiti contatti fra loro. L'altare fra Betel e Ai costituiva probabilmente un confine fra il territorio consentito ad Abramo e quello consentito a Lot. Tutmosi, evidentemente, lasciò ai due parenti la scelta del territorio; per quel che lo riguardava era indifferente che vivessero in un posto piuttosto che in un altro. La prima scelta fu lasciata a Lot. Che questo fosse dovuto ad un impulso di generosità da parte di Abramo nei confronti del nipote appare non realistico; quasi certamente fu dovuto al fatto che Lot ne aveva pieno diritto. Ciò costituisce un'ulteriore conferma all'ipotesi avanzata dianzi, secondo cui Abramo era più giovane del fratello Haran: in quanto primogenito di quest'ultimo Lot aveva diritto di precedenza.
Abramo e il principe di Gerar, Abimelek
Lot scelse per sé la pingue valle del Giordano e si stabilì nella ricca città di Sodoma. Abramo, invece, prese la via del Negev e si stabilì presso il principe di Gerar, Abimelek, feudatario di Tutmosi III. Tutmosi, contrariamente a quanto faceva con gli ostaggi provenienti dalle regioni soggette all'impero, consentì ad Abramo di risiedere fuori dal territorio egizio vero e proprio. "Non scendere in Egitto. Rimani nel paese che io ti indicherò. Abita da straniero in questo paese; io sarò con te e ti benedirò." (Gen. 26,2). Fu così che Abramo si stabilì a Gerar, ospite del feudatario locale Abimelek, un principe cananeo che evidentemente era stato incaricato da Tutmosi di sorvegliarlo.
Le vicende di Abramo presso Abimelek possono essere ricostruite abbastanza in dettaglio, mettendo insieme le informazioni fornite dai tre brani che riferiscono questo episodio, ciascuno dei quali riporta particolari che completano il quadro. (Con la ovvia avvertenza di sostituire in Genesi 25,26 i nomi di Isacco e Rebecca con quelli Abramo e Sara e di eliminare quei piccoli ritocchi che nelle intenzioni di chi li ha apportati dovevano servire a rendere congruente l'ambientazione dell’episodio. In particolare lo scavo dei pozzi che, essendo esattamente gli stessi cui viene di cui viene riferito a Genesi 20,21(? il versetto non esiste, forse è Gen 21, 22), viene precisato essere stati chiusi nel frattempo). In un primo tempo Abramo dovette essere affidato alla custodia diretta di Abimelek, ed è quindi presumibile che si sia installato nella stessa Gerar, in prossimità del palazzo reale. Nonostante le assicurazioni di Tutmosi, Abramo non doveva fidarsi troppo della lealtà di Abimelek e lo ammette chiaramente in Genesi 20,11: "Mi sono detto: sicuramente in questo luogo non c'è alcun rispetto di Jahweh; perciò mi uccideranno pur di avere mia moglie".
Questo timore di Abramo di essere ucciso a causa della moglie è abbastanza inspiegabile, se non si tiene conto di quanto abbiamo circa l'aspetto fisico suo e dei suoi familiari. Sara era indubbiamente una bella donna, ma questo fatto non è sufficiente da solo a spiegare i timori del marito e la prontezza con cui, in effetti, Abimelek si è precipitato a metterle le mani addosso. Doveva essere un tipo assai diverso dalle bellezze locali. Se Abramo era alto di statura, di carnagione chiara e capelli rossi, la sorella Sara doveva avere l'aspetto di una valchiria: un genere di bellezza strepitoso e irresistibile in un'area abitata da donne di tipo mediterraneo. Sotto questa luce appaiono legittimi i timori di Abramo e giustificato il suo sotterfugio iniziale di nascondere la vera identità della moglie.
Quello che non è chiaro è se questo sotterfugio facesse parte di un piano preciso architettato da Abramo per trarre vantaggio dalla situazione che inevitabilmente, secondo le sue previsioni, si sarebbe creata. Da quanto ci è dato capire della sua personalità, quale traspare dalla Bibbia, Abramo era sufficientemente abile e spregiudicato da mettere in atto un piano del genere. Ma dal momento che un tale comportamento non incontrerebbe il favore della morale corrente, tanto vale ritenere con la Bibbia che quel sotterfugio fosse dettato esclusivamente dalla prudenza, che comunque appare essere una delle più grandi doti del patriarca.
In ogni caso Abramo seppe sfruttare abilmente la situazione e volgerla a suo vantaggio. Abimelek doveva avere avuto precise istruzioni da Tutmosi in merito ad Abramo, ma probabilmente non aveva ancora l'esatta sensazione di quanto il faraone tenesse all'ostaggio, che tutto sommato era pur sempre una specie di prigioniero da guardare a vista. In ogni caso Abimelek non riteneva di recare offesa all'illustre ospite, impalmandone la sorella; anzi è da ritenere che fosse convinto di fargli un onore e nel contempo di migliorare la propria posizione imparentandosi con una grande casata come quella di Abramo.
Come siano andate effettivamente le cose, e cioè se ci siano state preventive richieste di matrimonio e trattative, o se invece il principe cananeo abbia agito di propria iniziativa contro la volontà dei due fratelli, non è possibile saperlo. Sta di fatto che la bionda mitanni finì nell'harem di Abimelek, il quale non è credibile ne abbia rispettato la virtù, come invece si preoccupano di evidenziare le tradizioni ebraiche riferentesi a questo episodio. Si tratta comunque di un particolare insignificante; agli occhi del mondo l'onore della donna era comunque compromesso e il torto subito dal marito incommensurabile. Quanto a lungo sia durata questa situazione non è dato sapere; alla fine, però, Tutmosi ne venne a conoscenza e si può ben immaginare come abbia preso la cosa: tutta la sua politica nel settore orientale ruotava intorno a quell'ostaggio; non poteva certo subordinare la sicurezza dell'impero alle voglie di un pincipotto palestinese.
"Lo so bene che hai agito in buona fede", disse Tutmosi ad Abimelek. "Ma ora restituisci la donna a quell'uomo. E' sotto la mia protezione: egli pregherà per te e tu vivrai. Ma se non la restituisci sicuramente morrai, tu e tutti i tuoi." Abimelek si alzò di buon mattino, chiamò tutti i suoi consiglieri e raccontò loro l'intera vicenda. Tutti furono spaventati" (Gen.20,6-8). Abramo aveva le sorti di Abimelek in pugno e ne approfittò per ottenere due condizioni: ricchezza materiale e libertà di movimento. Fece le sue richieste: "Allora Abimelek restituì Sara ad Abramo e insieme gli regalò pecore e buoi, schiavi e schiave. E gli disse: "Guarda, questo è il mio territorio. Va a stabilirti dove preferisci". A Sara disse: "Ecco, io ho dato a tuo fratello mille pezzi d'argento. Questo dono sarà per te come un velo agli occhi dei tuoi accompagnatori e sarai riabilitata dinanzi a loro" ... Poi Abimelek diede quest'ordine a tutto il popolo: "Se qualcuno fa del male a quest'uomo o a sua moglie, sarà condannato a morte!." (Gen. 20,14-16 e 26,11)
Per ricostruire gli avvenimenti successivi è sufficiente riportare nel giusto ordine quanto riferito da Genesi 20 e 26. Quando era giunto a Gerar, Abramo non possedeva bestiame, o comunque non in quantità apprezzabile. Nel periodo in cui Sara rimase al palazzo di Abimelek, tuttavia, egli non rimase inattivo, ma si dedicò con i suoi servi all'agricoltura. In Genesi 26,12 si dice che "fece in quella terra una semina e quell'anno ebbe un raccolto molto abbondante". Gerar, infatti, era situata lungo la costa in un territorio particolarmente idoneo all'agricoltura.
In seguito al risarcimento pagato da Abimelek, Abramo divenne un ricco possidente di bestiame, ed è ovvio che la sua presenza non fosse ben vista in un territorio a vocazione agricola; tanto più che era uno straniero. Dopo un tempo presumibilmente breve, infatti, "Abimelek disse ad Abramo: 'Vattene via da noi, perché sei diventato troppo potente'. Abramo si allontanò da quel luogo; andò a vivere in tenda e si stabilì nella valle di Gerar. I suoi servi scavarono un pozzo nella valle e trovarono l'acqua. Ma i pastori di Gerar attaccarono briga e dicevano: 'Quest'acqua è nostra!' Allora Abramo chiamò quel pozzo Eseq (litigio), perché avevano litigato con lui. Poi scavarono un altro pozzo. Anche per quello scoppiò una lite. Perciò lo chiamò Sitna (contesa). Poi si allontanò di là e scavò un altro pozzo per il quale non vi fu alcuna contesa. Allora lo chiamò Rehobot (libertà), ‘Perché - disse - ora il Signore ci ha dato spazio per vivere e prosperare in questa terra'" (Gen. 26,16-22).
L'INVESTITURA DI ABRAMO
In quel periodo Tutmosi III, evidentemente di passaggio da o per una delle sue campagne militari in Asia, si fermò al campo di Abramo. "In quella stessa notte gli apparve Jahweh e gli disse: 'Io sono il tuo Dio. Non temere, perché io sono con te e ti benedirò.' ... In quel luogo Abramo costruì un altare e adorò Jahweh. Lì si accamparono ed i suoi servi scavarono un altro pozzo" (Gen. 26,23-25). Il luogo è Beer Sheba, nell’alta valle di Gerar, lungo la via che unisce la Palestina all'Egitto passando dall'interno. Qui Tutmosi incontrò Abramo e stabilì un patto con lui. Lo prova l'altare eretto sul posto, solito testimone di accordi. Il versetto di Genesi 26,23 si preoccupa di evidenziare che, per una qualche ragione, l'incontro avvenne di notte.
Cosa accadde quella notte? Quali furono i termini del patto? Troviamo la risposta a questi interrogativi in Genesi 15: "Jahweh disse ad Abramo:' Io sono Jahweh, io ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti questa terra'. 'Signore mio Jahweh, rispose Abramo,' come posso sapere che questa terra sarà mia?'. Jahweh gli rispose: 'Procurami una vitella, una capra, un montone, tutti di tre anni, una tortora ed un piccione giovane'. Abramo si procurò questi animali, li tagliò in due e mise ogni metà di fronte all'altra. Ma non divise gli uccelli ... Dopo il tramonto seguì una notte molto buia. ed ecco un braciere fumante e una torcia accesa passarono fra le metà degli animali uccisi. In quel giorno Elohim fece una promessa ad Abramo. Gli disse: 'Io prometto di dare va te e ai tuoi discendenti questa terra che si estende dal fiume dell'Egitto fino al gran fiume, l’Eufrate". (Gen. 15, 7-21)
E la descrizione fedele di un solenne giuramento imprecatorio in uso in Medio Oriente ai tempi di Abramo: Dio, invocato quale garante del rispetto del giuramento e simboleggiato da fuoco, sarebbe passato attraverso le carni dell'eventuale spergiuro, come passava tra le due metà degli animali uccisi. Il brano è riportato in Genesi 15, ma dal contesto non è possibile determinare l'epoca e tanto la località in cui l'episodio si è verificato. Poiché, però, con questo patto viene dato ad Abramo il possesso di un territorio, dobbiamo necessariamente situarlo a Beer Sheba, sull'altare ivi eretto in occasione del suo incontro con Jahweh.
Immediatamente dopo, infatti, Abimelech, che fino a quel momento aveva sottoposto il patriarca a vessazioni di vario genere, si precipita da lui, accompagnato da suo amico Acuzzat e dal capo del suo esercito, Picol, per stabilire un patto di non aggressione. "Ora abbiamo capito che veramente Jahweh è con te e abbiamo pensato: facciamo un giuramento solenne tra di noi. Concludiamo un patto con te. Tu non ci farai alcun male, come noi non ne abbiamo fatto a te. Anzi, noi ti abbiamo fatto solo del bene e ti abbiamo lasciato andare vi in pace". I due personaggi trattano ora da pari a pari, come due principi confinanti; anzi stabiliscono nella stessa Beer Sheva la linea di confine fra di loro, perché “ivi Abramo innalza una stele" (Gen.21,23 e 26,28-32).
Il brano di Genesi 15, 7-18 è evidentemente la descrizione della cerimonia mediante la quale Tutmosi investì Abramo del possesso di un territorio, innalzandolo allo stesso rango di Abimelek e cioè di principe dell'impero. Qual era l’estensione del territorio concesso in feudo ad Abramo? I confini citati in Gen.15,18 (in quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate) sono una evidente esagerazione, introdotta dal redattore, o da chi per lui, con qualche piccolo ritocco al testo originale. Nel versetto si parla di due "fiumi" che delimitano il territorio assegnato da Jahweh ad Abramo, ed è da ritenersi senz'altro verosimile; in un territorio privo di altri riferimenti, il letto dei torrenti costituisce il confine naturale più facilmente individuabile. Impossibile, invece, che i due fiumi si identifichino con il Nilo (o il wadi el-Arish) e l'Eufrate, come cerca di far credere il redattore. Si tratta di stabilire a quali fiumi realmente si riferisce il versetto. Abbiamo visto che il confine fra i possedimenti di Abramo e quelli di Abimelek era stato posto a Beer Sheba. Beer Sheba si trova appunto alla confluenza di due widian: uno, secondario, può essere identificato come il "fiume dell'Egitto" di cui parla Genesi 15,18, perché posto dal lato dell’Egitto. L'altro ha origine nelle immediate vicinanze di Ebron e sfocia nel Mediterraneo passando nelle vicinanze dell'antica Gerar, la città di Abimelek. E' il wadi principale della regione e possiamo quindi immaginare senza difficoltà come gli abitanti della zona lo indicassero con l'appellativo di "fiume grande", per distinguerlo dagli altri corsi d'acqua minori; il nome Eufrate sarebbe stato aggiunto in seguito.
Il feudo di Abramo, quindi, doveva essere quel triangolo di territorio delimitato dai torrenti che confluiscono nei pressi di Beer Sheba (vedi cartina). Una notevole conferma in questo senso è costituita dall'ultimo versetto di Genesi 13: "Allora Abramo spostò l'accampamento verso le querce di mamré che sono a Ebron e in quel luogo costruì un altare per il signore." Mamré era chiaramente il primitivo proprietario del terreno. Insieme ai suoi fratelli Escol e Aner viene definito "alleato" di Abramo e combatte ai suoi ordini contro i re siriani che avevano rapito Lot. E da ciò si deduce che i tre erano probabilmente vassalli del patriarca.
Quest'altare eretto subito dopo il patto di alleanza stipulato con Abimelek a Beer Sheba, è evidentemente il testimone di un patto analogo stipulato da Abramo con il suo confinante settentrionale e stabilisce il confine tra i due, posto proprio all'inizio del "fiume grande". Il nome del confinante settentrionale non viene citato, ma con tutta probabilità si tratta dei "figli di Het". Gli ittiti, infatti risultano essere proprietari dei territori posti di fronte al bosco di Mamré: è a loro che Abramo, per seppellire Sara, si rivolge per acquistare il terreno in cui si trova la tomba di Mac Pelà.
LA CAMPAGNA MILITARE DI ABRAMO CONTRO I QUATTRO RE SIRIANI
Ebron, situata fra i monti in una zona boscosa, fresca e ventilata, era probabilmente la residenza estiva di Abramo. Durante l'inverno egli tornava a Beer Sheba, nel deserto, dove il clima era più mite. Doveva essere quindi l'inizio della stagione calda quando Abramo venne raggiunto a Ebron dalla notizia che Sodoma era stata saccheggiata e Lot rapito. Tutto era cominciato con una incursione di
"Amrafael re di Sennaar, Arioch re di Ellasar, Chedorlaomer re di Elam e Tideal re di Goim. Questi re fecero guerra a Bera re di Sodoma, a Birsa re di Gomorra, a Sinab re di Adama, a Semeber re di Zeboim e a Zoar re di Bela ... i quali si schierarono a battaglia nella valle di Siddim. Erano cinque re contro quattro. La valle di Siddim era piena di pozzi di bitume. I re di Sodoma e Gomorra in fuga vi caddero dentro. Gli scampati, invece si rifugiarono verso il monte. I vincitori allora presero tutte le ricchezze e le vettovaglie di Sodoma e Gomorra e se ne andarono. Presero anche Lot, nipote di Abramo, figlio di suo fratello, che abitava a Sodoma, e se ne andarono. Uno degli scampati venne a riferire il fatto ad Abramo, l'ebreo che abitava vicino alle querce di Mamré, l'amorreo, fratello di Escol ed Aner, alleati di Abramo. Appena saputo che suo nipote era caduto prigioniero, Abramo organizzò i suoi uomini; con 318 servi nati nella sua casa inseguì quei re sino a Dan. Abramo divise i suoi uomini in gruppi e nella notte sconfisse i suoi nemici e li inseguì fino a Coba, a nord di Damasco. Ricuperò il bottino, liberò il nipote Lot con le sue ricchezze e tutta la popolazione, uomini e donne" (Gen.14,1-16).
Il racconto biblico narra l'episodio non in modo riduttivo, ma con una certa noncuranza, per cui la maggior parte degli esegeti lo considera di secondaria importanza, quasi alla stregua di un piccolo normale scontro fra beduini. Ma la sostanza del racconto è ben diversa e non c'è dubbio che si riferisce ad un episodio di grande rilievo. Si tratta infatti di una lega di principi molto potente e non di una semplice banda di predoni; lo dimostrano in maniera eclatante i danni che riuscirono a provocare: la devastazione dell'intera valle del Giordano e la caduta di città ben munite come Sodoma e Gomorra.
La Bibbia attribuisce il merito della sconfitta della lega interamente ad Abramo; ma la cosa non appare verosimile. Fra i principali doveri di ogni principe dell'impero egizio rientrava soprattutto quello di fornire uomini armati e viveri per le campagne militari del faraone. Benché fra i prigionieri vi fosse anche il nipote Lot non è concepibile che Abramo abbia assunto autonomamente l'iniziativa di condurre una campagna militare lontano dai territori soggetti alla sua giurisdizione, addirittura oltre Damasco. Né è verosimile che con soli 318 uomini abbia potuto battere un nemico talmente forte da sfidare l'impero egizio.
La reazione al saccheggio della Pentapoli era stata organizzata molto probabilmente da un tal "Melchisedek, ministro di El Elyon" a Salem: evidentemente il luogotenente di Tutmosi III in Palestina. Abramo, semplicemente, si limitò a fornire un contingente di uomini armati, com'era nei suoi doveri di feudatario. A quanto pare le truppe imperiali furono divise in gruppi (Gen. 14,15), che attaccarono separatamente, e Abramo, visto il suo passato di guerriero, fu posto a capo di uno di questi. I nemici furono sconfitti e dispersi ed il bottino recuperato. Le truppe vittoriose vennero radunate "nella valle di Save, detta anche la valle del re. In quell'occasione il re di Salem, Melchisedek, ministro di El Elyon, portò pane e vino e benedisse Abramo con queste parole: 'Sia benedetto Abramo da El Elyon, signore del cielo e della terra! E sia benedetto El Elyon perché ti ha reso vittorioso dei tuoi nemici'. E Abramo diede a Melchisedek la decima parte di ogni cosa" (Gen. 14, 17-20).
Una campagna di queste proporzioni non poteva essere ignorata dagli Annali di Tutmosi III, per cui dovremmo trovare dei riferimenti espliciti ad essa, anche se dobbiamo aspettarci che non vengano citate le sconfitte iniziali (come del resto in nessun'altra delle campagne di Tutmosi) e le vittorie riportate senza l'intervento diretto del faraone. L'episodio è accaduto dopo l’investitura di Abramo, perché in caso contrario egli non avrebbe potuto fornire uomini armati e tanto meno comandare reparti dell'esercito (e non avrebbe avuto la sua dimora ad Ebron). Quindi successivamente al quarantunesimo anno di Tutmosi. Non rimane che una possibilità: nel quarantaduesimo anno del suo regno Tutmosi condusse la sua ultima campagna militare.
Gli Annali di Karnak riferiscono che "sua maestà era sulla strada della costa per distruggere le città di Erkatu e le città di --- Kana ---; queste città furono distrutte insieme ai loro distretti. Poi sua maestà arrivò a Tunip, distrusse la città e devastò il raccolto ... Infine arrivò al distretto di "Qadesh e catturò le città del distretto.". Gli annali non dicono il perché di queste distruzioni, né riferiscono di battaglie campali; ma è ovvio che le città dovevano essersi ribellate, formando una lega, e dovevano aver svolto azioni militari contro territori dell'impero.
Singolare coincidenza, si tratta proprio di una lega di quattro grandi principi a nord di Damasco, il cui esercito all'arrivo di Tutmosi non esisteva più, segno che era stato disperso in precedenza. La campagna citata da Genesi si deve riferire a questa guerra e integra in maniera coerente gli annali di Karnak, che per ragioni di prestigio ignorano (come sempre) i guasti prodotti inizialmente dai quattro principi della lega ed il fatto che le loro forze erano state disperse da un contingente di truppe palestinesi. Essi mettono in risalto soltanto l'operato di Tutmosi, che era poi sopraggiunto via mare con l'esercito egizio e aveva raso al suolo le città per rappresaglia.
E' significativo il particolare, riportato dal racconto biblico, che i quattro principi siriani rapirono Lot e lo portarono con loro. Questo ci fornisce un valido elemento per capire i reali motivi della rivolta dei principi e del perché si siano spinti così lontano dai loro territori per saccheggiare proprio la città di Sodoma. I principi in questione erano originariamente sotto il dominio dell’impero di Mitanni e passarono all'Egitto in virtù del trattato stipulato a Karkemish fra Tutmosi III e Saushsha-Tar, che essi evidentemente contestarono. In un primo momento dovettero rivolgersi a Saushsha-Tar per indurlo a rompere il trattato, ma di fronte ad un suo rifiuto pensarono probabilmente di rendersi indipendenti, creando un forte regno nella Siria settentrionale.
Per ragioni di opportunità politica essi dovettero progettare di mettere a capo della lega un sovrano appartenente ad una grande dinastia dell'epoca, possibilmente qualcuno che vantasse titoli legittimi sulla Siria settentrionale. Lot era il personaggio che assommava tali caratteristiche, per cui possiamo ragionevolmente presumere che i principi ribelli abbiano effettuato l'incursione contro Sodoma proprio con l'obiettivo di impadronirsi di lui per metterlo a capo della lega. Lo confermerebbe anche il fatto che essi, dopo aver saccheggiato Sodoma e catturato Lot, diressero immediatamente a Nord verso i loro territori.
Abramo venne a trovarsi in una situazione evidentemente assai critica, per cui, per evitare sospetti di collusione con il nemico, dovette svolgere un ruolo molto attivo ed importante nel far fallire questo progetto. Dobbiamo quindi presumere (come del resto si preoccupa di evidenziare la stessa Genesi) che egli si sia comportato con grande valore ed abbia osato il tutto per tutto pur di riprendere il nipote. Si sarebbe quindi distinto in maniera particolare nella sconfitta della lega ribelle, guadagnandosi la riconoscenza del faraone.
La Bibbia non offre elementi per stabilire se Lot era consenziente o meno al progetto dei quattro principi ribelli. Da un punto di vista probabilistico dobbiamo presumere che abbia avuto dei contatti preliminari con essi e fosse d'accordo. Se non subì la vendetta del faraone, lo dovette probabilmente ai meriti acquisiti da Abramo e al fatto che Saushsha-Tar non intervenne a sostegno della lega.
AGAR, LA MOGLIE EGIZIANA DI ABRAMO
"Dopo questi fatti Jahweh parlò in sogno ad Abramo: 'Non temere' gli disse, 'io ti proteggo come uno scudo. La tua ricompensa sarà grandissima'. Ma Abramo rispose: 'Mio Signore Jahweh, cosa mai potrai darmi, dal momento che non ho figli? Ormai sto per andarmene ed un servo della mia famiglia sarà mio erede!" (Gen. 15,1-4). Ovvia preoccupazione del neoeletto principe era quella di procurarsi un erede legittimo; ma nonostante tutti i prevedibili sforzi "Sara, moglie di Abramo, non aveva potuto dargli dei figli. Aveva però una schiava egiziana, di nome Agar. Perciò Sara disse ad Abramo: 'Vedi bene che il signore mi ha resa sterile. Va dunque dalla mia schiava. Forse lei potrà darti un figlio al mio posto'. Abramo accettò il suggerimento di Sara. Quando Sara, moglie di Abramo, diede al marito la propria schiava, Agar l'egiziana, erano già dieci anni che essi abitavano nella terra di Canaan." Si era appena conclusa, come abbiamo visto, la campagna contro i quattro principio Siriani. Semplice coincidenza?
Vediamo intanto chi era questa Agar. Il termine "schiava", riportato nella maggior parte delle traduzioni, è certamente non corretto. I costumi matrimoniali e le questioni di diritto ereditario nell'impero egizio all'epoca della XVIII dinastia sono ben noti[1]. Il faraone aveva decine di mogli, che normalmente, ma non sempre, erano donne di elevata condizione sociale. Il rango dei figli che egli aveva da loro dipendeva essenzialmente dal rango della madre: il figlio di una serva rimaneva servo egli pure[2]. L'erede legittimo era il figlio primogenito della moglie di rango più elevato, di norma una sorella o addirittura una figlia stessa del faraone. Se quest'ultima non aveva figli maschi il problema era grosso, perché si doveva stabilire in modo non equivoco quale delle mogli secondarie fosse di rango più elevato. In tal caso, come successe appunto per l'elezione di Tutmosi III e del suo nipote Tutmosi IV, la scelta veniva fatta da un oracolo[3].
Per quanto ci è dato vedere dalla Genesi, gli usi matrimoniali ed ereditari dei patriarchi erano perfettamente analoghi: Abramo aveva varie mogli e figli, ma aspettava l'erede legittimo dalla sorella Sara; Lot ebbe gli eredi legittimi da un incesto con le sue due figlie; Isacco sposò la seconda cugina Rebecca; Giacobbe due sue prime cugine e così via. Abramo non aveva avuto figli da Sara e quindi la sua eredità sarebbe andata ad uno dei figli avuti da una moglie secondaria: un "servo", come egli lo definisce, perché figlio evidentemente di una moglie non di stirpe regale. Il fatto che Agar sia stata data ad Abramo per averne l'erede legittimo, presuppone che essa fosse non una comune schiava, ma una donna di alto lignaggio.
Tutto l'insieme del racconto successivo porta alla medesima conclusione. Il comportamento di Agar che guarda dall'alto in basso la "principessa" Sara non è concepibile in una comune serva. Né è concepibile che Sara dovesse chiedere l'autorizzazione di Abramo per battere una propria schiava. E quando Agar fuggì risentita per i maltrattamenti di Sara fu un "angelo di Jahweh", cioè un personaggio molto elevato nella gerarchia egizia (un messaggero del faraone), che la invitò a tornare dalla sua padrona. E prima di "scacciarla" definitivamente insieme al figlio Ismaele, Abramo chiese l'autorizzazione ad un personaggio di rango molto più elevato del suo, cui egli si rivolse con l'appellativo di "Elohim" (Gen. 21,12), che abbiamo visto competere solo al faraone.
Questo personaggio concesse di buon grado l'autorizzazione, assicurando che avrebbe provveduto personalmente all'avvenire del ragazzo; e infatti fu lui che "salvò" Agar nel deserto e fece di Ismaele un principe, assegnandogli un territorio nel deserto di Paran (Gen. 21,21). E' da notare che una prerogativa del genere competeva allora soltanto al faraone.
La conclusione inevitabile è che Agar l'egiziana fosse una "protetta" di Tutmosi III. Che fosse addirittura sua figlia lo si deduce dal versetto 15,6 di Genesi, in cui Jahweh, e cioè il faraone, risponde alla lamentela di Abramo con le parole: "Non costui (il servo) sarà tuo erede, ma uno uscito da tuo seme". Questo versetto quasi certamente ha subito una piccolissima modifica, che però ne ha stravolto il significato; in origine, infatti esso doveva suonare: "Non costui sarà tuo erede, ma uno uscito dal mio seme". (L'erede legittimo di Abramo, Isacco, doveva nascere soltanto 14 anni dopo, per cui la "profezia" di Jahweh sarebbe quanto meno prematura, se riferita a lui; sarebbe invece grossolanamente errata se riferita ad Ismaele).
Tutmosi, autore di queste parole, non era onnipotente e certamente non era in grado di garantire ad Abramo che avrebbe potuto curare con successo la sterilità di Sara, unica donna da cui poteva nascere il legittimo erede, secondo i costumi dinastici dell'epoca. Ma poteva dare ad Abramo una moglie di rango talmente elevato da assicurargli una figliolanza sulla cui nobiltà nessuno poteva nutrire dubbi, perché uscita dal "seme" stesso del faraone: una sua figliola, appunto.
La cosa è ben lungi dall'apparire inverosimile. Tutmosi aveva decine di concubine e nella sua vita è presumibile abbia avuto un numero di figli e figlie spropositato. E' ovvio che doveva dare a tutti una sistemazione decorosa. I vari templi sparsi per l'Egitto dovevano costituire una risorsa pressoché inesauribile a questo scopo; ma non si può escludere che un certo numero dei suoi figli secondari abbiano avuto una diversa sistemazione, fra l'altro politicamente assai più vantaggiosa per il sovrano. Era infatti un costume ben radicato quello di legare regnanti alleati a e soggetti mediante matrimoni.
Abramo era figlio del più grande imperatore dell'epoca, dopo lo stesso faraone; era un principe dell'impero egizio: non era un partito sconveniente neppure per una figlia di Tutmosi III. Fra l'altro in tal modo il faraone poteva ottenere un duplice obiettivo, oltre a sistemare una figlia in modo acconcio: garantirsi la fedeltà del neofeudatario, legandolo a sé con vincoli di parentela, e sdebitarsi nei confronti di Abramo per il valore dimostrato nella campagna militare appena conclusa.
La promessa di Jahweh, infatti, è dalla stessa Genesi messa in stretta relazione con la conclusione vittoriosa della campagna contro i principi siriani ribelli. "La tua ricompensa sarà grandissima", assicura ad Abramo; promessa che si realizza con la nascita di Ismaele, un erede nato dal seme dello stesso Jahweh. Tutmosi si sdebitò dando ad Abramo in moglie una sua propria figlia, Agar, che fa la sua comparsa proprio all'indomani della conclusione della campagna militare. Non è una coincidenza fortuita che la Genesi si preoccupi di sottolineare la data. In Genesi Agar viene definita "serva di Sara", ma in realtà doveva essere una vera e propria moglie di Abramo; il termine "serva" sta ad indicare soltanto che era una moglie secondaria, quindi subordinata alla moglie principale, che rimaneva comunque Sara.
Ovviamente il fatto che Agar fosse "figlia di Jahweh" doveva apparire assurdo al redattore, che identificava Jahweh con Dio, e che provvide quindi a "correggere" opportunamente il testo.
Quando Agar rimase incinta e "cominciò a guardare con disprezzo la padrona, Sara disse ad Abramo: 'Sei tu il responsabile di questo disprezzo. Io stessa ti ho messo fra le braccia la mia serva. Ma da quando sa di essere incinta mi considera inferiore a Lei. Decida Jahweh chi ha ragione fra noi due.'" Ovviamente Sara non si azzardò a maltrattare la ragazza, come avrebbe fatto con qualunque normale serva, ma sollecitò il giudizio del padre di lei ed il permesso esplicito di Abramo, il quale "le rispose: 'La schiava è tua. Pensaci tu, trattala come meglio ti pare!". E Sara maltrattò Agar, che fuggì lontano da lei. L'angelo di Jahweh la vide nel deserto, vicino ad una sorgente, quella che si trova sulla via di Sur, e le disse: 'Agar, schiava di Sara, da dove vieni e dove vai?' 'Fuggo da Sara, la mia padrona', rispose Agar. 'Torna invece da lei, ordinò l'angelo di Jahweh, 'e a lei obbedisci' ... poi Agar partorì un figlio ad Abramo e questi lo chiamò Ismaele. Abramo aveva 86 anni quando nacque Ismaele" (Gen. 16,7-16)
NOTE:
[1] “Al faraone non si applicavano i tabù che operavano nel caso dei suoi sudditi. Egli possedeva numerosi e grandi harem alla maniera dei potentati orientali; ma si pretendeva anche che egli contraesse un matrimonio incestuoso con le sorelle, secondo una caratteristica comune a tutte le idee sulla natura divina della regalità. Il primo figlio che il faraone aveva dalla regina principale diventava il suo erede e la prima figlia avuta dalla medesima regina era anch'essa erede reale, la cui dote comprendeva evidentemente anche il trono [...] spesso non si poteva combinare il matrimonio tra fratelli e sorelle diretti, per cui era il figlio di una moglie secondaria, o concubina, che sposava l'ereditiera del trono. In tali casi, tuttavia, la designazione del legittimo erede generalmente veniva confermata dall'oracolo di un Dio, come avvenne nel caso di Tutmosi III, di Tutmosi IV e di Haremab” (C. Aldred, op. cit., p. 40). Cfr. anche (F. Cimmino, Hasepsowe e Tuthmosis III, cit., capitoli 1 e 2).
[2] “Nella corte egizia la figura della regina poteva assumere due ruoli ben distinti: quello di “Sposa Reale", dato che il sovrano poteva avere più mogli, e quella di "Grande Sposa Reale". Soltanto i figli nati dalla Grande Sposa Reale avevano diritto al trono, perché solo lei era considerata la genitrice dinastica [...] progenie divina in grado di trasmettere il sangue reale” (F. Cimmino, Hasepsowe e Tuthmosis III, cit., pp. 14 ss.). Un esempio da manuale che fra i popoli del Medio Oriente, e in particolare fra gli Ebrei, il rango dei figli era determinato da quello della madre, lo troviamo nella Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio che, da 1,22,1 in poi, narra i guai familiari di Erode il Grande. Essi derivarono principalmente dal fatto che “prima aveva preso in moglie una giudea di condizione non ignobile, Doris, da cui aveva avuto il figlio Antipatro; poi si fidanzò con Mariamme, figlia di Alessandro, figlio di Aristobulo, nipote di Ircano (...) e fu a causa di costei che ben presto la discordia entrò nella sua casa”. Da Mariamme, nipote di re, Erode ebbe due figli, Alessandro e Aristobulo, che si ritenevano superiori ad Antipatro e quindi unici legittimi eredi, perché figli di madre nobile. Il concetto era talmente esasperato, che Io stesso Erode scherniva il figlio> dicendo: “Il solo nobile è Alessandro, che disprezza anche suo padre perché non è nobile” (I,26,2).
[3] “..,dal re (Tuthmosi II) e da una sposa secondaria, Ese, era nato un maschio, il giovane principe che alla morte del padre sarebbe salito al trono con il nome di Tuthmosis III [...] Per legittimare i diritti al trono del principe sarebbe stato sufficiente dargli in sposa la principessa Nefrure, ma nessun documento ci autorizza a pensare che ciò sia avvenuto all'epoca della morte di Tuthmosis II (...) Duthmose (Tuthmosi III) aveva veramente diritto al trono perché, oltre a suo padre, lo aveva designato a regnare Amun, il dio dinastico di Tebe” (F. Cimmino, Hasepsowe e Tuthmosis III, cit, p. 15).