Il Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento è la raccolta dei ventisette scritti, tutti in lingua greca, che compongono la seconda parte della Bibbia cristiana. Si tratta di ventuno lettere, quattro vangeli, un libro di narrazione storiografica con evidente intento teologico (gli Atti degli Apostoli) e un testo apocalittico che si presenta come grandiosa visione profetica (l’Apocalisse). Questi scritti, diversi per genere letterario ed estensione, testimoniano la fede in Gesù di Nazaret, messia e Figlio di Dio, inviato escatologico di Dio per la salvezza dell’umanità, Parola definitiva di Dio all’uomo.
La composizione del Nuovo Testamento e la formazione del canone
L’espressione “Nuovo Testamento”, dal latino Novum Testamentum (in greco kainè diathèke), è stata utilizzata per designare la raccolta degli scritti neotestamentari solo a partire dalla fine del II sec. Questo appellativo comportò che venisse chiamato “Antico Testamento” l’insieme delle Scritture d’Israele. Ma prima di indicare un corpus scritturistico, la parola “testamento”, o meglio “alleanza”, designava la relazione speciale con cui Dio si era legato al suo popolo.
I libri della nuova alleanza sono dunque la testimonianza della disposizione divina, del disegno salvifico divino manifestato in Cristo. E sono anche la testimonianza delle esigenze che questa alleanza comporta per il credente. L’arco cronologico che ha visto nascere gli scritti neotestamentari, è relativamente ristretto. Essi sono sorti nella seconda metà del I sec., con la possibilità di spingersi fino ai primissimi decenni del II sec. (120 circa) per 2 Pietro, normalmente ritenuto l’ultimo scritto del NT. Se si tiene conto anche del periodo di trasmissione orale e delle tradizioni (orali e scritte) formatesi nel periodo postpasquale e poi confluite negli scritti neotestamentari (a partire dunque dall’anno 30), l’intero arco cronologico di formazione dei ventisette libri del NT è inferiore a un secolo.
L’ordine in cui i vari libri sono generalmente disposti non è cronologico. I più antichi scritti cristiani sono infatti, con tutta probabilità, alcune lettere di Paolo; in particolare, si può pensare a 1Tessalonicesi come al più antico testo neotestamentario: probabilmente risale al 49-50. I libri neotestamentari si presentano invece, comunemente, nella seguente disposizione: Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Atti, Romani, 1-2 Corinzi, Gàlati, Efesini, Filippesi, Colossesi, 1-2 Tessalonicesi, 1-2 Timoteo, Tito, Filèmone, Ebrei, Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda, Apocalisse.
Al primo posto vengono dunque i vangeli, che presentano vita, passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, cioè l’evento fondante della fede cristiana. Seguono gli Atti, anch’essi di carattere storiografico, che narrano la nascita, la crescita e la diffusione della Chiesa. Le lettere ci riportano al cuore della vita delle comunità cristiane e dei rapporti tra gli evangelizzatori (Paolo in particolare) e le comunità stesse. In molti manoscritti greci del NT le lettere dette “cattoliche” (Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda) precedono quelle paoline (le prime tredici più Ebrei), probabilmente perché attribuite agli apostoli che erano stati insieme con Gesù ed erano ritenuti «le colonne» (Giacomo, Pietro e Giovanni: vedi Gal 2,9). In Occidente diverse testimonianze esprimono la forte coscienza del primato di Pietro ponendo le sue lettere al primo posto tra le cattoliche. Viene infine l’Apocalisse che, trattando delle “cose ultime”, chiude naturalmente l’intero NT. Da Matteo all’Apocalisse si disegna così un’unità ideale teologicamente rilevante: dalla nascita nella carne dell’Emmanuele, il Dio con noi (Mt 1,23), all’attesa orante della venuta gloriosa del Signore: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). L’orizzonte del NT si estende, dunque, dalla genealogia matteana che inserisce Gesù nella discendenza di Davide e di Abramo, cioè nella storia d’Israele (Mt 1,1-17), alla liturgia della Chiesa cristiana che, nel suo cammino, invoca la venuta del Signore nella gloria, a compimento della storia (Ap 21-22).
Il corpus paolino e i quattro vangeli
Le lettere paoline e i quattro vangeli furono le prime due raccolte di scritti del NT, originariamente indipendenti, che costituirono poi le parti essenziali del canone cristiano. La comune provenienza dalla testimonianza apostolica favorì certamente l’accostamento tra i due gruppi, e così la memoria delle parole e delle azioni di Gesù e la parola apostolica rivolta alle comunità, che confessavano lo stesso Gesù quale Signore vivente, si trovarono riunificate a testimoniare la continuità storica della relazione di Dio, in Cristo, con gli uomini.
Il gruppo di scritti che fu raccolto per primo è quello delle lettere paoline. È possibile che la formazione di un corpus paolino sia iniziata mentre Paolo era ancora vivente. A volte lo stesso autore chiede che la comunità destinataria di una lettera la faccia conoscere ad altre Chiese (Col 4,16); altre volte le lettere hanno uno spettro di destinatari più ampio di una sola comunità (vedi ad esempio 2Cor 1,1; Gal 1,2). La lettura ad alta voce nelle assemblee liturgiche della comunità destinataria, la destinazione ampia, non ristretta a una sola comunità locale, la venerazione per la figura dell’apostolo, che a volte è anche il fondatore della comunità a cui scrive, sono elementi che hanno favorito il processo di raccolta e di conservazione delle lettere paoline. In ogni caso, il fatto che alcune lettere di Paolo siano andate perdute, può significare che questo lavoro di raccolta e di conservazione non sia avvenuto in maniera rigorosamente sistematica. Il passo di 2Pt 3,15-16 attesta l’esistenza di un corpus di lettere paoline (di cui però non conosciamo l’estensione) la cui autorità è accostata a quella delle «altre Scritture», e cioè i libri dell’AT.
Verso la metà del II sec. l’esistenza di una raccolta cospicua di lettere paoline è testimoniata con sicurezza da Policarpo di Smirne (che ne conosce otto) e Marcione (che ne conosce dieci). Alla fine del II sec. la più antica lista di libri del NT, il Canone di Muratori, che con tutta probabilità riflette la situazione nella Chiesa di Roma verso il 200 (sebbene oggi questa datazione “tradizionale” sia messa in discussione), presenta una collezione di 13 lettere paoline: manca Ebrei, la cui canonicità faticò a imporsi in Occidente, mentre in Oriente sia Clemente di Alessandria che Origene conoscono un corpus di 14 lettere di Paolo, compresa dunque Ebrei.
La seconda raccolta di scritti, che divenne poi fondamentale nel canone, fu quella dei quattro vangeli. Essi sono stati composti nella seconda metà del I sec., ma non siamo in grado di precisare dove e quando essi furono riuniti insieme. Con tutta probabilità ogni singolo vangelo (Matteo, Marco, Luca, Giovanni) doveva essere in origine il vangelo, l’unico vangelo, per una comunità cristiana di una determinata località geografica. Papia di Gerapoli, intorno al 125, mostra di conoscere almeno i vangeli di Matteo, Marco e Giovanni, ma attesta anche la persistenza della tradizione orale e afferma la sua predilezione per essa rispetto alla forma scritta: «Se mai venisse qualcuno che sia stato seguace dei presbiteri, lo interrogherei sulle parole dei presbiteri, su che cosa Andrea o Pietro o Filippo o Tommaso o Giacomo o Giovanni o Matteo o qualsiasi altro dei discepoli del Signore abbiano detto… Perché io non credo che le informazioni ricavate dai libri possano aiutarmi quanto le espressioni di una voce vivente e sopravvivente» (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica III, 39, 4).
Poco alla volta, nel corso di quello stesso II sec., nelle comunità cristiane si venne imponendo il valore delle testimonianze evangeliche scritte, a preferenza della tradizione orale. Giustino (metà del II sec.) conosce e cita i quattro vangeli, che chiama «memorie degli apostoli», e attesta l’usanza della loro lettura nel culto e nella liturgia, accanto a testi dell’AT: «Nel giorno chiamato del sole [cioè la domenica] ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente» (I Apologia 67, 3). Il Canone di Muratori, all’inizio della sua elencazione dei libri neotestamentari, presenta per primi i quattro vangeli, che alla fine del II sec. erano ormai ritenuti autorevoli in modo concorde dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente.
Gli Atti degli Apostoli, le altre lettere e l’Apocalisse
Il riconoscimento della canonicità degli Atti degli Apostoli poté fondarsi sul fatto che essi costituivano la seconda parte del racconto di Luca (At 1,1-2). Ireneo di Lione cita estesamente gli Atti (Contro le eresie III, 12-15) e li definisce «Scrittura» (III, 12, 5). Qualche antica testimonianza manoscritta accosta gli Atti ai vangeli e mostra così che vi è una continuità tra la missione della Chiesa e quella di Cristo. Tra la fine del II e gli inizi del III sec. l’autorità degli Atti è ben affermata sia in Oriente che in Occidente. Il Canone di Muratori inserisce gli Atti tra i vangeli e le lettere paoline, Origene li accoglie e così Eusebio di Cesarea.
La lettera agli Ebrei, probabilmente composta a Roma (e ben conosciuta da Clemente di Roma), ebbe un percorso di riconoscimento canonico diverso in Occidente e in Oriente. In Oriente essa fu sempre, e in modo sostanzialmente uniforme, ritenuta paolina e canonica; non così in Occidente, dove Ebrei si venne imponendo solo nella seconda metà del IV sec., soprattutto grazie alla personalità di Ilario di Poitiers, Girolamo e Agostino, certamente per influenza della tradizione diffusa in Oriente.
Le lettere cattoliche (Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda) furono, a parte 1 Pietro e 1 Giovanni, la sezione più instabile del canone neotestamentario.
Per l’Apocalisse vale, in certo senso, un discorso opposto a quello relativo alla lettera agli Ebrei. Accolta in Occidente, essa incontrò numerose difficoltà in Oriente. Citata nel Canone di Muratori, fu in generale ritenuta canonica in Occidente e suscitò un intenso lavoro di commento. In Oriente invece, la posizione di Dionigi di Alessandria (seconda metà del III sec.), che negava la paternità giovannea dell’Apocalisse, e soprattutto la reazione al diffondersi del montanismo (un movimento ereticale che indulgeva a forme estatiche e si presentava come “nuova profezia”), suscitarono sospetti e diffidenze verso questo scritto fin verso il 500.
Da questa situazione si può dedurre che già nel II sec. era universalmente riconosciuto un “nucleo canonico” di una ventina di libri: i quattro vangeli, tredici lettere di Paolo, Atti, 1 Pietro, 1 Giovanni. La cosa è particolarmente notevole, in quanto questa unanimità si era instaurata tra comunità cristiane anche geograficamente molto distanti tra loro. Inoltre, nel IV sec. i ventisette libri che costituiscono il canone neotestamentario, giunsero ad un riconoscimento pressoché universale. Vi fu certamente ancora qualche incertezza anche nei secoli successivi, sia in Oriente che in Occidente, ma di scarso rilievo. La più antica testimonianza che ritiene canonici i ventisette libri del NT è rappresentata dalla trentanovesima lettera festale di Atanasio (dell’anno 367). Sono questi i libri che formano il canone sancito dal Concilio di Firenze (1442) e definito dal Concilio di Trento (1546).
Fonte: Introduzione Bibbiaedu
La composizione del Nuovo Testamento e la formazione del canone
L’espressione “Nuovo Testamento”, dal latino Novum Testamentum (in greco kainè diathèke), è stata utilizzata per designare la raccolta degli scritti neotestamentari solo a partire dalla fine del II sec. Questo appellativo comportò che venisse chiamato “Antico Testamento” l’insieme delle Scritture d’Israele. Ma prima di indicare un corpus scritturistico, la parola “testamento”, o meglio “alleanza”, designava la relazione speciale con cui Dio si era legato al suo popolo.
I libri della nuova alleanza sono dunque la testimonianza della disposizione divina, del disegno salvifico divino manifestato in Cristo. E sono anche la testimonianza delle esigenze che questa alleanza comporta per il credente. L’arco cronologico che ha visto nascere gli scritti neotestamentari, è relativamente ristretto. Essi sono sorti nella seconda metà del I sec., con la possibilità di spingersi fino ai primissimi decenni del II sec. (120 circa) per 2 Pietro, normalmente ritenuto l’ultimo scritto del NT. Se si tiene conto anche del periodo di trasmissione orale e delle tradizioni (orali e scritte) formatesi nel periodo postpasquale e poi confluite negli scritti neotestamentari (a partire dunque dall’anno 30), l’intero arco cronologico di formazione dei ventisette libri del NT è inferiore a un secolo.
L’ordine in cui i vari libri sono generalmente disposti non è cronologico. I più antichi scritti cristiani sono infatti, con tutta probabilità, alcune lettere di Paolo; in particolare, si può pensare a 1Tessalonicesi come al più antico testo neotestamentario: probabilmente risale al 49-50. I libri neotestamentari si presentano invece, comunemente, nella seguente disposizione: Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Atti, Romani, 1-2 Corinzi, Gàlati, Efesini, Filippesi, Colossesi, 1-2 Tessalonicesi, 1-2 Timoteo, Tito, Filèmone, Ebrei, Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda, Apocalisse.
Al primo posto vengono dunque i vangeli, che presentano vita, passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, cioè l’evento fondante della fede cristiana. Seguono gli Atti, anch’essi di carattere storiografico, che narrano la nascita, la crescita e la diffusione della Chiesa. Le lettere ci riportano al cuore della vita delle comunità cristiane e dei rapporti tra gli evangelizzatori (Paolo in particolare) e le comunità stesse. In molti manoscritti greci del NT le lettere dette “cattoliche” (Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda) precedono quelle paoline (le prime tredici più Ebrei), probabilmente perché attribuite agli apostoli che erano stati insieme con Gesù ed erano ritenuti «le colonne» (Giacomo, Pietro e Giovanni: vedi Gal 2,9). In Occidente diverse testimonianze esprimono la forte coscienza del primato di Pietro ponendo le sue lettere al primo posto tra le cattoliche. Viene infine l’Apocalisse che, trattando delle “cose ultime”, chiude naturalmente l’intero NT. Da Matteo all’Apocalisse si disegna così un’unità ideale teologicamente rilevante: dalla nascita nella carne dell’Emmanuele, il Dio con noi (Mt 1,23), all’attesa orante della venuta gloriosa del Signore: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). L’orizzonte del NT si estende, dunque, dalla genealogia matteana che inserisce Gesù nella discendenza di Davide e di Abramo, cioè nella storia d’Israele (Mt 1,1-17), alla liturgia della Chiesa cristiana che, nel suo cammino, invoca la venuta del Signore nella gloria, a compimento della storia (Ap 21-22).
Il corpus paolino e i quattro vangeli
Le lettere paoline e i quattro vangeli furono le prime due raccolte di scritti del NT, originariamente indipendenti, che costituirono poi le parti essenziali del canone cristiano. La comune provenienza dalla testimonianza apostolica favorì certamente l’accostamento tra i due gruppi, e così la memoria delle parole e delle azioni di Gesù e la parola apostolica rivolta alle comunità, che confessavano lo stesso Gesù quale Signore vivente, si trovarono riunificate a testimoniare la continuità storica della relazione di Dio, in Cristo, con gli uomini.
Il gruppo di scritti che fu raccolto per primo è quello delle lettere paoline. È possibile che la formazione di un corpus paolino sia iniziata mentre Paolo era ancora vivente. A volte lo stesso autore chiede che la comunità destinataria di una lettera la faccia conoscere ad altre Chiese (Col 4,16); altre volte le lettere hanno uno spettro di destinatari più ampio di una sola comunità (vedi ad esempio 2Cor 1,1; Gal 1,2). La lettura ad alta voce nelle assemblee liturgiche della comunità destinataria, la destinazione ampia, non ristretta a una sola comunità locale, la venerazione per la figura dell’apostolo, che a volte è anche il fondatore della comunità a cui scrive, sono elementi che hanno favorito il processo di raccolta e di conservazione delle lettere paoline. In ogni caso, il fatto che alcune lettere di Paolo siano andate perdute, può significare che questo lavoro di raccolta e di conservazione non sia avvenuto in maniera rigorosamente sistematica. Il passo di 2Pt 3,15-16 attesta l’esistenza di un corpus di lettere paoline (di cui però non conosciamo l’estensione) la cui autorità è accostata a quella delle «altre Scritture», e cioè i libri dell’AT.
Verso la metà del II sec. l’esistenza di una raccolta cospicua di lettere paoline è testimoniata con sicurezza da Policarpo di Smirne (che ne conosce otto) e Marcione (che ne conosce dieci). Alla fine del II sec. la più antica lista di libri del NT, il Canone di Muratori, che con tutta probabilità riflette la situazione nella Chiesa di Roma verso il 200 (sebbene oggi questa datazione “tradizionale” sia messa in discussione), presenta una collezione di 13 lettere paoline: manca Ebrei, la cui canonicità faticò a imporsi in Occidente, mentre in Oriente sia Clemente di Alessandria che Origene conoscono un corpus di 14 lettere di Paolo, compresa dunque Ebrei.
La seconda raccolta di scritti, che divenne poi fondamentale nel canone, fu quella dei quattro vangeli. Essi sono stati composti nella seconda metà del I sec., ma non siamo in grado di precisare dove e quando essi furono riuniti insieme. Con tutta probabilità ogni singolo vangelo (Matteo, Marco, Luca, Giovanni) doveva essere in origine il vangelo, l’unico vangelo, per una comunità cristiana di una determinata località geografica. Papia di Gerapoli, intorno al 125, mostra di conoscere almeno i vangeli di Matteo, Marco e Giovanni, ma attesta anche la persistenza della tradizione orale e afferma la sua predilezione per essa rispetto alla forma scritta: «Se mai venisse qualcuno che sia stato seguace dei presbiteri, lo interrogherei sulle parole dei presbiteri, su che cosa Andrea o Pietro o Filippo o Tommaso o Giacomo o Giovanni o Matteo o qualsiasi altro dei discepoli del Signore abbiano detto… Perché io non credo che le informazioni ricavate dai libri possano aiutarmi quanto le espressioni di una voce vivente e sopravvivente» (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica III, 39, 4).
Poco alla volta, nel corso di quello stesso II sec., nelle comunità cristiane si venne imponendo il valore delle testimonianze evangeliche scritte, a preferenza della tradizione orale. Giustino (metà del II sec.) conosce e cita i quattro vangeli, che chiama «memorie degli apostoli», e attesta l’usanza della loro lettura nel culto e nella liturgia, accanto a testi dell’AT: «Nel giorno chiamato del sole [cioè la domenica] ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente» (I Apologia 67, 3). Il Canone di Muratori, all’inizio della sua elencazione dei libri neotestamentari, presenta per primi i quattro vangeli, che alla fine del II sec. erano ormai ritenuti autorevoli in modo concorde dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente.
Gli Atti degli Apostoli, le altre lettere e l’Apocalisse
Il riconoscimento della canonicità degli Atti degli Apostoli poté fondarsi sul fatto che essi costituivano la seconda parte del racconto di Luca (At 1,1-2). Ireneo di Lione cita estesamente gli Atti (Contro le eresie III, 12-15) e li definisce «Scrittura» (III, 12, 5). Qualche antica testimonianza manoscritta accosta gli Atti ai vangeli e mostra così che vi è una continuità tra la missione della Chiesa e quella di Cristo. Tra la fine del II e gli inizi del III sec. l’autorità degli Atti è ben affermata sia in Oriente che in Occidente. Il Canone di Muratori inserisce gli Atti tra i vangeli e le lettere paoline, Origene li accoglie e così Eusebio di Cesarea.
La lettera agli Ebrei, probabilmente composta a Roma (e ben conosciuta da Clemente di Roma), ebbe un percorso di riconoscimento canonico diverso in Occidente e in Oriente. In Oriente essa fu sempre, e in modo sostanzialmente uniforme, ritenuta paolina e canonica; non così in Occidente, dove Ebrei si venne imponendo solo nella seconda metà del IV sec., soprattutto grazie alla personalità di Ilario di Poitiers, Girolamo e Agostino, certamente per influenza della tradizione diffusa in Oriente.
Le lettere cattoliche (Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda) furono, a parte 1 Pietro e 1 Giovanni, la sezione più instabile del canone neotestamentario.
Per l’Apocalisse vale, in certo senso, un discorso opposto a quello relativo alla lettera agli Ebrei. Accolta in Occidente, essa incontrò numerose difficoltà in Oriente. Citata nel Canone di Muratori, fu in generale ritenuta canonica in Occidente e suscitò un intenso lavoro di commento. In Oriente invece, la posizione di Dionigi di Alessandria (seconda metà del III sec.), che negava la paternità giovannea dell’Apocalisse, e soprattutto la reazione al diffondersi del montanismo (un movimento ereticale che indulgeva a forme estatiche e si presentava come “nuova profezia”), suscitarono sospetti e diffidenze verso questo scritto fin verso il 500.
Da questa situazione si può dedurre che già nel II sec. era universalmente riconosciuto un “nucleo canonico” di una ventina di libri: i quattro vangeli, tredici lettere di Paolo, Atti, 1 Pietro, 1 Giovanni. La cosa è particolarmente notevole, in quanto questa unanimità si era instaurata tra comunità cristiane anche geograficamente molto distanti tra loro. Inoltre, nel IV sec. i ventisette libri che costituiscono il canone neotestamentario, giunsero ad un riconoscimento pressoché universale. Vi fu certamente ancora qualche incertezza anche nei secoli successivi, sia in Oriente che in Occidente, ma di scarso rilievo. La più antica testimonianza che ritiene canonici i ventisette libri del NT è rappresentata dalla trentanovesima lettera festale di Atanasio (dell’anno 367). Sono questi i libri che formano il canone sancito dal Concilio di Firenze (1442) e definito dal Concilio di Trento (1546).
Fonte: Introduzione Bibbiaedu
Il Nuovo Testamento comincia con il racconto, contenuto nei Vangeli, della venuta di Gesù, della sua opera, della sua morte e resurrezione per poi continuare con gli Atti degli Apostoli, le lettere indirizzate a diverse chiese e singoli cristiani, e concludersi infine con l'Apocalisse, ovvero la rivelazione delle cose future. Fra la fine dell'Antico Testamento e il Nuovo intercorrono circa quattrocento anni, periodo durante il quale politicamente si susseguirono l'egemonia persiana, quella macedone ed infine quella romana.
I Vangeli sono quattro e sono stati scritti specificatamente per le quattro principali categorie di persone di quel tempo. Non si può comprendere il messaggio di ciascun Vangelo se non si capisce bene a chi è indirizzato.
Il Vangelo secondo Matteo è stato scritto principalmente per la nazione di Israele. È stato redatto in greco, ma probabilmente da fonti ebraiche, ed era indirizzato in primo luogo alle persone religiose che conoscevano bene l'Antico Testamento: infatti, è ricchissimo di riferimenti che mettono in risalto Gesù come Messia.
Il Vangelo secondo Marco fu scritto principalmente per gli antichi Romani, uomini d'azione che credevano che governo, legge e ordine fossero le chiavi con cui poter controllare il mondo. E molta gente oggi pensa lo stesso. È vero che la legge e l'ordine sono importanti, ma anche i Romani capirono che non potevano regnare solo su quella base. Il mondo aveva bisogno di sentire di una persona che credeva nella legge e nell’ordine, ma che offriva anche il perdono dei peccati e la grazia e misericordia di Dio. È questo il Gesù che Marco presenta ai Romani.
Il Vangelo secondo Luca è stato scritto principalmente per un uditorio di mentalità greca, cioè per persone abituate a pensare molto, intellettuali che avevano bisogno di una narrazione ordinata e oggettiva di ciò che era successo nella vita di Gesù e sei suoi seguaci.
Il Vangelo secondo Giovanni è stato scritto con il chiaro intento di far conoscere al lettore, chiunque esso sia, la divinità di Cristo, il Salvatore che ha potere di salvare l'uomo peccatore e bisognoso di perdono.
Negli Atti degli Apostoli troviamo gli avvenimenti che seguono la resurrezione di Cristo e la sua ascensione al cielo: la venuta dello Spirito Santo, la nascita della chiesa e la diffusione del Vangelo ad opera degli Apostoli.
Le Lettere nel Nuovo Testamento sono ben 21, di cui 13 scritte dall'apostolo Paolo. È interessante notare che quelle più antiche furono scritte prima della stesura dei Vangeli. Esse avevano uno scopo essenzialmente pratico, e per questo motivo sono un ottimo modo per comprendere le caratteristiche delle chiese e dei cristiani dei primi tempi. In queste lettere troviamo la discussione di problemi dottrinali e morali, le indicazioni necessarie per riportare ordine e chiarezza nelle comunità di cristiani sparsi dell'area mediterranea e il profondo desiderio di supportarli spiritualmente nel loro cammino con Dio. Le lettere scritte dall'apostolo Paolo sono quelle ai Romani, ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, ai Tessalonicesi; a queste si aggiungono le lettere comunemente chiamate pastorali scritte a Timoteo e a Tito e la lettera personale a Filemone. Le ulteriori lettere presenti nel Nuovo Testamento sono ad opera di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda. Soltanto la lettera agli Ebrei è di dubbia attribuzione.
L'Apocalisse conclude il Nuovo Testamento con avvertimenti, ammonizioni, e allude a come sarà il ritorno di Gesù e il giudizio finale.
Fonte Bibbia.it
I Vangeli sono quattro e sono stati scritti specificatamente per le quattro principali categorie di persone di quel tempo. Non si può comprendere il messaggio di ciascun Vangelo se non si capisce bene a chi è indirizzato.
Il Vangelo secondo Matteo è stato scritto principalmente per la nazione di Israele. È stato redatto in greco, ma probabilmente da fonti ebraiche, ed era indirizzato in primo luogo alle persone religiose che conoscevano bene l'Antico Testamento: infatti, è ricchissimo di riferimenti che mettono in risalto Gesù come Messia.
Il Vangelo secondo Marco fu scritto principalmente per gli antichi Romani, uomini d'azione che credevano che governo, legge e ordine fossero le chiavi con cui poter controllare il mondo. E molta gente oggi pensa lo stesso. È vero che la legge e l'ordine sono importanti, ma anche i Romani capirono che non potevano regnare solo su quella base. Il mondo aveva bisogno di sentire di una persona che credeva nella legge e nell’ordine, ma che offriva anche il perdono dei peccati e la grazia e misericordia di Dio. È questo il Gesù che Marco presenta ai Romani.
Il Vangelo secondo Luca è stato scritto principalmente per un uditorio di mentalità greca, cioè per persone abituate a pensare molto, intellettuali che avevano bisogno di una narrazione ordinata e oggettiva di ciò che era successo nella vita di Gesù e sei suoi seguaci.
Il Vangelo secondo Giovanni è stato scritto con il chiaro intento di far conoscere al lettore, chiunque esso sia, la divinità di Cristo, il Salvatore che ha potere di salvare l'uomo peccatore e bisognoso di perdono.
Negli Atti degli Apostoli troviamo gli avvenimenti che seguono la resurrezione di Cristo e la sua ascensione al cielo: la venuta dello Spirito Santo, la nascita della chiesa e la diffusione del Vangelo ad opera degli Apostoli.
Le Lettere nel Nuovo Testamento sono ben 21, di cui 13 scritte dall'apostolo Paolo. È interessante notare che quelle più antiche furono scritte prima della stesura dei Vangeli. Esse avevano uno scopo essenzialmente pratico, e per questo motivo sono un ottimo modo per comprendere le caratteristiche delle chiese e dei cristiani dei primi tempi. In queste lettere troviamo la discussione di problemi dottrinali e morali, le indicazioni necessarie per riportare ordine e chiarezza nelle comunità di cristiani sparsi dell'area mediterranea e il profondo desiderio di supportarli spiritualmente nel loro cammino con Dio. Le lettere scritte dall'apostolo Paolo sono quelle ai Romani, ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, ai Tessalonicesi; a queste si aggiungono le lettere comunemente chiamate pastorali scritte a Timoteo e a Tito e la lettera personale a Filemone. Le ulteriori lettere presenti nel Nuovo Testamento sono ad opera di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda. Soltanto la lettera agli Ebrei è di dubbia attribuzione.
L'Apocalisse conclude il Nuovo Testamento con avvertimenti, ammonizioni, e allude a come sarà il ritorno di Gesù e il giudizio finale.
Fonte Bibbia.it
La parola Vangelo significa buona notizia, «lieto annunzio» e deriva dal greco euaggélion. II termine ebraico corrispondente è besorah e significa soprattutto annuncio di vittoria; i profeti l’adoperarono per indicare il compimento delle promesse messianiche (Is 40,9; 52,7).
Gesù si appropriò del termine per dichiarare l’avverarsi in Lui delle profezie e del regno di Dio. Nota l'evangelista Marco: «dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù venne in Galilea, predicando il vangelo di Dio. Diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è giunto. Convertitevi e credete al vangelo”» (1, 14-15).
«Evangelizzare» significa quindi già durante la vita di Gesù, dare la notizia che la salvezza è giunta, che Dio ha realizzato le sue promesse.
A Nazaret, all'inizio dell'attività pubblica Gesù riferendo a sé le profezie di Isaia e Sofonia, proclamò nella sinagoga davanti ai suoi compaesani:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me
per questo mi ha consacrato
e mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annunzio,
ad annunziare ai prigionieri la liberazione
e il dono della vista ai ciechi;
per liberare coloro che sono oppressi
e inaugurare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Dopo la morte di Gesù il vocabolo diventa usuale e tipico in san Paolo per designare l'annuncio della morte e risurrezione di Gesù, principio di redenzione e liberazione per ogni uomo. Il vocabolo riveste perciò, nella bocca di san Paolo, una carica di entusiasmo, e il «Vangelo» riceve una titolatura gloriosa: «Vangelo di Dio», «Vangelo di Cristo», «Vangelo del Regno», «Vangelo del Figlio di Dio», «Vangelo della grazia di Dio», «Vangelo della gloria di Cristo», «Vangelo della pace», «Vangelo della gloria», «Vangelo della salvezza». Da notare che per san Paolo il Vangelo non è ancora un libro, ma parola viva portata dagli apostoli e accompagnata da un'energia divina avente la capacita di trasformare i cuori preparati a riceverla. Ecco come ne parla ai Tessalonicesi, verso l'anno 50 durante il secondo viaggio missionario: «Il nostro Vangelo non è giunto a voi soltanto a parole, ma anche con potenza, con effusione dello Spirito Santo e con piena convinzione» (lTs 1,5). Scrivendo ai Romani afferma:
«Non mi vergogno del Vangelo, poiché esso è un energia operante per apportare salvezza a chiunque crede (1, 16).
Secondo quanto si legge alla fine del Vangelo di Marco, Gesù prima di accomiatarsi dai suoi ordinò loro: Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo [letteralmente: ”portate la lieta notizia”] ad ogni creatura. Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato (l6, 15-l6).
Il Vangelo deve dunque essere annunciato, per ordine di Gesù, su tutta la terra. A designare quelli che lo propagano venne subito coniato il termine «evangelisti», e la loro azione sarà detta «evangelizzazione». L’annuncio riguarda l’avvento del Regno nella persona storica di Gesù di Nazaret e soprattutto la sua vittoria pasquale sopra il peccato e la morte.
(Introduzione al Nuovo Testamento della Bibbia Emmaus)
Gesù si appropriò del termine per dichiarare l’avverarsi in Lui delle profezie e del regno di Dio. Nota l'evangelista Marco: «dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù venne in Galilea, predicando il vangelo di Dio. Diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è giunto. Convertitevi e credete al vangelo”» (1, 14-15).
«Evangelizzare» significa quindi già durante la vita di Gesù, dare la notizia che la salvezza è giunta, che Dio ha realizzato le sue promesse.
A Nazaret, all'inizio dell'attività pubblica Gesù riferendo a sé le profezie di Isaia e Sofonia, proclamò nella sinagoga davanti ai suoi compaesani:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me
per questo mi ha consacrato
e mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annunzio,
ad annunziare ai prigionieri la liberazione
e il dono della vista ai ciechi;
per liberare coloro che sono oppressi
e inaugurare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Dopo la morte di Gesù il vocabolo diventa usuale e tipico in san Paolo per designare l'annuncio della morte e risurrezione di Gesù, principio di redenzione e liberazione per ogni uomo. Il vocabolo riveste perciò, nella bocca di san Paolo, una carica di entusiasmo, e il «Vangelo» riceve una titolatura gloriosa: «Vangelo di Dio», «Vangelo di Cristo», «Vangelo del Regno», «Vangelo del Figlio di Dio», «Vangelo della grazia di Dio», «Vangelo della gloria di Cristo», «Vangelo della pace», «Vangelo della gloria», «Vangelo della salvezza». Da notare che per san Paolo il Vangelo non è ancora un libro, ma parola viva portata dagli apostoli e accompagnata da un'energia divina avente la capacita di trasformare i cuori preparati a riceverla. Ecco come ne parla ai Tessalonicesi, verso l'anno 50 durante il secondo viaggio missionario: «Il nostro Vangelo non è giunto a voi soltanto a parole, ma anche con potenza, con effusione dello Spirito Santo e con piena convinzione» (lTs 1,5). Scrivendo ai Romani afferma:
«Non mi vergogno del Vangelo, poiché esso è un energia operante per apportare salvezza a chiunque crede (1, 16).
Secondo quanto si legge alla fine del Vangelo di Marco, Gesù prima di accomiatarsi dai suoi ordinò loro: Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo [letteralmente: ”portate la lieta notizia”] ad ogni creatura. Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato (l6, 15-l6).
Il Vangelo deve dunque essere annunciato, per ordine di Gesù, su tutta la terra. A designare quelli che lo propagano venne subito coniato il termine «evangelisti», e la loro azione sarà detta «evangelizzazione». L’annuncio riguarda l’avvento del Regno nella persona storica di Gesù di Nazaret e soprattutto la sua vittoria pasquale sopra il peccato e la morte.
(Introduzione al Nuovo Testamento della Bibbia Emmaus)
"Gli spiriti impuri quando lo vedevano cadevano ai suoi piedi e gridavano:"Tu sei il figlio di Dio!".
Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi fosse" (Mc. 3, 11-12)
"NON DIRLO" il Vangelo di Marco
Con un monologo che è un appassionato e appassionante racconto della vita di Gesù attraverso gli occhi di Marco, lo scrittore SANDRO VERONESI porta in teatro il primo dei quattro Vangeli e ne rivela la straordinaria modernità.
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