Origene
Chi era Origene?
Come ha influito sulla chiesa il suo insegnamento?
“Il più grande maestro della Chiesa dopo gli Apostoli”. Con queste parole San Girolamo, traduttore della Vulgata, la Bibbia in latino, elogiò Origene, teologo del III secolo. Ma non tutti avevano una così alta opinione di Origene. Alcuni lo considerarono una radice maligna da cui sorsero eresie. E così, circa tre secoli dopo la sua morte, Origene fu formalmente dichiarato eretico.
Ma perché Origene suscitava sia ammirazione che ostilità? Che influenza ebbe questo studioso sullo sviluppo della dottrina della chiesa?
Origene nacque verso il 185 d.C. ad Alessandria d’Egitto e morì a Tiro nel 254 d.C.. Studiò a fondo la letteratura greca, ma il padre Leonida lo costrinse a mettere altrettanto impegno nello studio delle Scritture. Quando Origene aveva 17 anni l’imperatore romano Settimio Severo emanò un editto in base al quale era un reato cambiare religione. Il padre di Origene fu gettato in prigione perché era diventato cristiano. Animato da zelo giovanile, Origene era deciso a seguirlo in prigione e nel martirio. Allora la madre gli nascose gli abiti per impedirgli di uscire di casa. In una lettera Origene supplicò il padre: “Guardati dal cambiare idea per noi”.[1] Leonida non abiurò e fu giustiziato, lasciando la famiglia nell’indigenza. Ma Origene, che era già abbastanza avanti negli studi, insegnando letteratura greca fu in grado di mantenere la madre e sei fratelli minori.
L’intento dell’imperatore era di fermare la diffusione del cristianesimo. Poiché il suo editto colpiva non solo gli studenti ma anche gli insegnanti, tutti i maestri di religione cristiana fuggirono da Alessandria. Quando alcuni non cristiani che volevano ricevere istruzione riguardo alle Scritture chiesero aiuto al giovane Origene, questi si accinse all’opera come se si fosse trattato di una missione affidatagli da Dio. Molti suoi studenti subirono il martirio, alcuni ancor prima di avere terminato gli studi. Con grande rischio, Origene li incoraggiava apertamente, sia che fossero davanti a un giudice, in prigione o sul punto di essere giustiziati. Eusebio, storico del IV secolo, riferisce che quando erano portati a morire, Origene “con molta audacia li salutava con un bacio”. [2]
Origene incorse nelle ire di molti non cristiani che lo ritenevano responsabile della conversione e della morte dei loro amici. Più volte sfuggì per un pelo alla folla inferocita e alla morte violenta. Benché costretto a spostarsi da un luogo all’altro per sottrarsi a chi gli dava la caccia, non smise di impartire il suo insegnamento. Tale intrepidezza e tale dedizione colpirono Demetrio, vescovo di Alessandria, il quale, quando Origene aveva solo 18 anni, gli affidò la direzione della scuola di catechesi di Alessandria.
Come ha influito sulla chiesa il suo insegnamento?
“Il più grande maestro della Chiesa dopo gli Apostoli”. Con queste parole San Girolamo, traduttore della Vulgata, la Bibbia in latino, elogiò Origene, teologo del III secolo. Ma non tutti avevano una così alta opinione di Origene. Alcuni lo considerarono una radice maligna da cui sorsero eresie. E così, circa tre secoli dopo la sua morte, Origene fu formalmente dichiarato eretico.
Ma perché Origene suscitava sia ammirazione che ostilità? Che influenza ebbe questo studioso sullo sviluppo della dottrina della chiesa?
Origene nacque verso il 185 d.C. ad Alessandria d’Egitto e morì a Tiro nel 254 d.C.. Studiò a fondo la letteratura greca, ma il padre Leonida lo costrinse a mettere altrettanto impegno nello studio delle Scritture. Quando Origene aveva 17 anni l’imperatore romano Settimio Severo emanò un editto in base al quale era un reato cambiare religione. Il padre di Origene fu gettato in prigione perché era diventato cristiano. Animato da zelo giovanile, Origene era deciso a seguirlo in prigione e nel martirio. Allora la madre gli nascose gli abiti per impedirgli di uscire di casa. In una lettera Origene supplicò il padre: “Guardati dal cambiare idea per noi”.[1] Leonida non abiurò e fu giustiziato, lasciando la famiglia nell’indigenza. Ma Origene, che era già abbastanza avanti negli studi, insegnando letteratura greca fu in grado di mantenere la madre e sei fratelli minori.
L’intento dell’imperatore era di fermare la diffusione del cristianesimo. Poiché il suo editto colpiva non solo gli studenti ma anche gli insegnanti, tutti i maestri di religione cristiana fuggirono da Alessandria. Quando alcuni non cristiani che volevano ricevere istruzione riguardo alle Scritture chiesero aiuto al giovane Origene, questi si accinse all’opera come se si fosse trattato di una missione affidatagli da Dio. Molti suoi studenti subirono il martirio, alcuni ancor prima di avere terminato gli studi. Con grande rischio, Origene li incoraggiava apertamente, sia che fossero davanti a un giudice, in prigione o sul punto di essere giustiziati. Eusebio, storico del IV secolo, riferisce che quando erano portati a morire, Origene “con molta audacia li salutava con un bacio”. [2]
Origene incorse nelle ire di molti non cristiani che lo ritenevano responsabile della conversione e della morte dei loro amici. Più volte sfuggì per un pelo alla folla inferocita e alla morte violenta. Benché costretto a spostarsi da un luogo all’altro per sottrarsi a chi gli dava la caccia, non smise di impartire il suo insegnamento. Tale intrepidezza e tale dedizione colpirono Demetrio, vescovo di Alessandria, il quale, quando Origene aveva solo 18 anni, gli affidò la direzione della scuola di catechesi di Alessandria.
La scuola catechetica di Alessandria, detta Didaskaleion, fino al 202 d.C.era stata diretta da Clemente alessandrino, ed era rimasta senza direzione a causa alle persecuzioni dei cristiani ordinate da Settimio Severo, poiché Clemente era stato costretto a lasciare la città e fu per questo motivo che la direzione della scuola passò ad Origene
In seguito Origene divenne un noto studioso e uno scrittore prolifico. Secondo alcuni, avrebbe scritto 6.000 libri, anche se si tratta probabilmente di un’esagerazione. L’opera per cui è più famoso è l’Exapla, un’edizione monumentale delle Scritture Ebraiche in 50 volumi. Origene dispose l’Exapla in sei colonne parallele contenenti (1) il testo ebraico e aramaico, (2) la traslitterazione greca di quel testo, (3) la versione greca di Aquila, (4) la versione greca di Simmaco, (5) la Settanta greca, da lui riveduta per farla corrispondere più esattamente al testo ebraico e (6) la versione greca di Teodozione. “Con la combinazione di questi testi”, scrisse l’erudito biblico John Hort, “Origene sperava di far luce sul significato di molti passi che avrebbero lasciato perplesso o tratto in inganno il lettore greco se avesse avuto davanti solo la Settanta”.
Nondimeno il clima di confusione religiosa del III secolo influì profondamente sul metodo di insegnamento delle Scritture adottato da Origene. Benché fosse ancora nell’infanzia, la cristianità era già stata contaminata da credenze non scritturali e le sue chiese sparse in diversi luoghi insegnavano svariate dottrine.
Nel tentativo di conciliare la Bibbia con la filosofia, Origene fece forte assegnamento sul metodo allegorico di interpretare le Scritture. Dava per scontato che la Scrittura avesse sempre un significato spirituale ma non necessariamente un significato letterale.
A dimostrazione di questo, Origene mise in evidenza che gli israeliti fecero utensili per il tempio di con l’oro egiziano. Vide in questo un’allegoria che giustificava il suo uso della filosofia greca per insegnare il cristianesimo. Scrisse che “i figli di Israele ricavarono [dei vantaggi] dagli oggetti tolti agli Egiziani, da quel materiale che costoro non seppero usare debitamente e gli ebrei, invece, in forza della saggezza ispirata loro da Dio, adibirono al culto del Signore”. [3] Così Origene giustificava il ricavare “dalla filosofia ellenica gli insegnamenti validi per dare una cultura di base, una formazione che fosse di propedeutica al cristianesimo”.
Questo modo molto libero di affrontare l’interpretazione della Bibbia rese difficile distinguere la dottrina cristiana dalla filosofia greca. Per esempio nel suo libro intitolato De principiis, Origene descrive Gesù come ‘il Figlio unigenito, che è nato, tuttavia senza alcun momento d’inizio’. E aggiunge: ‘Questa generazione è eterna e perpetua . . . non per adozione dello spirito il Figlio diviene tale dall’esterno, ma è figlio per natura’. [4]
Origene non aveva trovato questa idea nella Bibbia, poiché le Scritture insegnano che l’unigenito Figlio di Dio è “il primogenito di tutta la creazione” e “il principio della creazione di Dio”. (Colossesi 1, 15; Apocalisse 3, 14)
La condanna per eresia
Durante i primi anni di insegnamento, Origene fu privato del sacerdozio da un sinodo tenuto ad Alessandria. Ciò avvenne probabilmente perché il vescovo Demetrio ne invidiava la crescente fama.
Origene si trasferì in Palestina, dove fu oggetto di un’ammirazione sconfinata perché considerato uno stimato difensore della dottrina cristiana, e lì continuò a esercitare il sacerdozio. Infatti, quando in Oriente si diffusero delle “eresie”, fu chiesta la sua collaborazione per convincere i vescovi in errore a tornare all’ortodossia. Dopo la morte avvenuta nel 254 il suo nome cadde seriamente in discredito.
Perché nel momento in cui il cristianesimo divenne una religione importante, la chiesa definì in modo più preciso l’insegnamento considerato ortodosso. Quindi le successive generazioni di teologi non accettarono molte delle idee filosofiche speculative e talora imprecise di Origene. Perciò i suoi insegnamenti diedero il via ad aspre controversie in seno alla chiesa. Nel tentativo di appianare queste dispute e preservare la propria unità, la chiesa accusò formalmente Origene di eresia.
Origene non fu il solo a sbagliare. In effetti la Bibbia aveva predetto un generale allontanamento dai puri insegnamenti di Gesù Cristo. Questa apostasia cominciò a fiorire alla fine del I secolo, dopo che gli apostoli di Gesù erano morti. (2 Tessalonicesi 2, 1-7) Infatti parte della cristianità si era allontanata molto dal vero cristianesimo.
Malgrado le numerose congetture di Origene, le sue opere contengono molti elementi utili. Per esempio, l’Exapla [5] conserva il nome di Dio nella sua forma ebraica originale di quattro lettere detta Tetragramma. Questa è una prova significativa che i primi cristiani conoscevano e usavano il nome personale di Dio, YHWH. Nondimeno un patriarca della chiesa del V secolo di nome Teofilo una volta avvertì: “Le opere di Origene sono come un prato pieno di fiori di ogni tipo. Se vi trovo un bel fiore, lo raccolgo; ma se una cosa mi sembra spinosa la evito come eviterei un pungolo”.
NOTE:
[1] Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, trad. di M. Ceva, Rusconi, Milano, 1979, VI, 2, 6.
[2] Storia ecclesiastica, cit., VI, 3, 4.
[3] Citata in “Discorso a Origene” di Gregorio il Taumaturgo, trad. di E. Marotta, Città Nuova Editrice, Roma, 1983, pp. 99, 101.
[4] A cura di M. Simonetti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1968, Libro I, pp. 144, 147.
[5] L’“Exapla” di Origene fornisce una prova indiretta che il nome di Dio era usato nelle Scritture Greche Cristiane.
Parzialmente tratto dal sito: https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/2001529
In seguito Origene divenne un noto studioso e uno scrittore prolifico. Secondo alcuni, avrebbe scritto 6.000 libri, anche se si tratta probabilmente di un’esagerazione. L’opera per cui è più famoso è l’Exapla, un’edizione monumentale delle Scritture Ebraiche in 50 volumi. Origene dispose l’Exapla in sei colonne parallele contenenti (1) il testo ebraico e aramaico, (2) la traslitterazione greca di quel testo, (3) la versione greca di Aquila, (4) la versione greca di Simmaco, (5) la Settanta greca, da lui riveduta per farla corrispondere più esattamente al testo ebraico e (6) la versione greca di Teodozione. “Con la combinazione di questi testi”, scrisse l’erudito biblico John Hort, “Origene sperava di far luce sul significato di molti passi che avrebbero lasciato perplesso o tratto in inganno il lettore greco se avesse avuto davanti solo la Settanta”.
Nondimeno il clima di confusione religiosa del III secolo influì profondamente sul metodo di insegnamento delle Scritture adottato da Origene. Benché fosse ancora nell’infanzia, la cristianità era già stata contaminata da credenze non scritturali e le sue chiese sparse in diversi luoghi insegnavano svariate dottrine.
Nel tentativo di conciliare la Bibbia con la filosofia, Origene fece forte assegnamento sul metodo allegorico di interpretare le Scritture. Dava per scontato che la Scrittura avesse sempre un significato spirituale ma non necessariamente un significato letterale.
A dimostrazione di questo, Origene mise in evidenza che gli israeliti fecero utensili per il tempio di con l’oro egiziano. Vide in questo un’allegoria che giustificava il suo uso della filosofia greca per insegnare il cristianesimo. Scrisse che “i figli di Israele ricavarono [dei vantaggi] dagli oggetti tolti agli Egiziani, da quel materiale che costoro non seppero usare debitamente e gli ebrei, invece, in forza della saggezza ispirata loro da Dio, adibirono al culto del Signore”. [3] Così Origene giustificava il ricavare “dalla filosofia ellenica gli insegnamenti validi per dare una cultura di base, una formazione che fosse di propedeutica al cristianesimo”.
Questo modo molto libero di affrontare l’interpretazione della Bibbia rese difficile distinguere la dottrina cristiana dalla filosofia greca. Per esempio nel suo libro intitolato De principiis, Origene descrive Gesù come ‘il Figlio unigenito, che è nato, tuttavia senza alcun momento d’inizio’. E aggiunge: ‘Questa generazione è eterna e perpetua . . . non per adozione dello spirito il Figlio diviene tale dall’esterno, ma è figlio per natura’. [4]
Origene non aveva trovato questa idea nella Bibbia, poiché le Scritture insegnano che l’unigenito Figlio di Dio è “il primogenito di tutta la creazione” e “il principio della creazione di Dio”. (Colossesi 1, 15; Apocalisse 3, 14)
La condanna per eresia
Durante i primi anni di insegnamento, Origene fu privato del sacerdozio da un sinodo tenuto ad Alessandria. Ciò avvenne probabilmente perché il vescovo Demetrio ne invidiava la crescente fama.
Origene si trasferì in Palestina, dove fu oggetto di un’ammirazione sconfinata perché considerato uno stimato difensore della dottrina cristiana, e lì continuò a esercitare il sacerdozio. Infatti, quando in Oriente si diffusero delle “eresie”, fu chiesta la sua collaborazione per convincere i vescovi in errore a tornare all’ortodossia. Dopo la morte avvenuta nel 254 il suo nome cadde seriamente in discredito.
Perché nel momento in cui il cristianesimo divenne una religione importante, la chiesa definì in modo più preciso l’insegnamento considerato ortodosso. Quindi le successive generazioni di teologi non accettarono molte delle idee filosofiche speculative e talora imprecise di Origene. Perciò i suoi insegnamenti diedero il via ad aspre controversie in seno alla chiesa. Nel tentativo di appianare queste dispute e preservare la propria unità, la chiesa accusò formalmente Origene di eresia.
Origene non fu il solo a sbagliare. In effetti la Bibbia aveva predetto un generale allontanamento dai puri insegnamenti di Gesù Cristo. Questa apostasia cominciò a fiorire alla fine del I secolo, dopo che gli apostoli di Gesù erano morti. (2 Tessalonicesi 2, 1-7) Infatti parte della cristianità si era allontanata molto dal vero cristianesimo.
Malgrado le numerose congetture di Origene, le sue opere contengono molti elementi utili. Per esempio, l’Exapla [5] conserva il nome di Dio nella sua forma ebraica originale di quattro lettere detta Tetragramma. Questa è una prova significativa che i primi cristiani conoscevano e usavano il nome personale di Dio, YHWH. Nondimeno un patriarca della chiesa del V secolo di nome Teofilo una volta avvertì: “Le opere di Origene sono come un prato pieno di fiori di ogni tipo. Se vi trovo un bel fiore, lo raccolgo; ma se una cosa mi sembra spinosa la evito come eviterei un pungolo”.
NOTE:
[1] Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, trad. di M. Ceva, Rusconi, Milano, 1979, VI, 2, 6.
[2] Storia ecclesiastica, cit., VI, 3, 4.
[3] Citata in “Discorso a Origene” di Gregorio il Taumaturgo, trad. di E. Marotta, Città Nuova Editrice, Roma, 1983, pp. 99, 101.
[4] A cura di M. Simonetti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1968, Libro I, pp. 144, 147.
[5] L’“Exapla” di Origene fornisce una prova indiretta che il nome di Dio era usato nelle Scritture Greche Cristiane.
Parzialmente tratto dal sito: https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/2001529
La dottrina di Origene
Origene è un pensatore di tempra molto più dura. Uno dei più grandi teologi di tutti i tempi. Conosciamo bene la sua vita perché Eusebio era un suo grande ammiratore e nel VI libro della sua Storia Ecclesiastica ne da ampie notizie. Nasce verso il 185 ad Alessandria, da famiglia cristiana.
Il padre Leonida era stato martirizzato durante la persecuzione di Settimio Severo e in questa occasione il diciottenne Origene scrisse per lui una esortazione al martirio. Il vescovo Demetrio lo chiamò a dirigere il catecumenato che divise in due livelli: il più elementare lo affidò all'amico Eracla, mentre il più avanzato lo tenne per sé.
Nasce così la prima vera Scuola Superiore di Alessandria. Origene con un sotterfugio fu escluso dal didaskaleion proprio per opera del geloso vescovo Demetrio e si trasferisce in Cesarea di Palestina dove apre una nuova scuola. Sarà torturato nel 250 durante la persecuzione di Decio, ma sopravviverà. Morirà nel 253. Riconosciuto da ammiratori e avversari come grandissimo teologo, bisogna innanzitutto liberarsi dal clichè che lo vuole un platonista autore del De principiis, primo trattato di filosofia cristiana. Origene è soprattutto un interprete della Bibbia e si forma esegeticamente sul testo sacro: è lui a collazionare il testo ebraico e le versioni greche dell'Antico Testamento per verificare la traduzione greca dei Settanta che era considerata la versione ufficiale dei cristiani. Origene dispone su sei colonne (hexapla) il testo ebraico, la trascrizione greca, la versione di Aquila, di Simmaco, dei Settanta e di Teodozione, inserendo un obelòs o un asterisco per segnalare i passi che i Settanta avevano aggiunto o tolto. Origene ha soprattutto svolto un lavoro immane di predicatore e commentatore della Scrittura. Possediamo solo una piccola parte delle sue Omelie e dei suoi Commentari, spesso in traduzione latina, che testimoniano lo sforzo di offrire una spiegazione della Bibbia a tutti i livelli. Origene distingue infatti due livelli della Scrittura: il letterale e lo spirituale. Pur adottando un allegorismo a volte eccessivo che gli sarà rimproverato, il suo merito è quello di avere liberato la Scrittura dagli eccessi del letteralismo, del fondamentalismo diremmo oggi, giudaico e marcionita. Con Origene, anche se la Bibbia perde parte della concreta storicità giudaica, diventa comunque quel grande poema cristologico e morale che alimenterà per secoli la spiritualità cristiana dei secoli successivi. Origene interpreta tutta la creazione in senso spirituale ed è questo il punto che lo accomuna maggiormente ai platonisti, che comunque utilizza. La realtà materiale sembra a Origene una immensa figura che rinvia perennemente ad una realtà superiore. Origene contribuisce anche al fondamento della teologia trinitaria. Afferma con grande vigore la concezione economica ma non usa il termine prosopon ma hypostasis, che svincola la generazione del Verbo dal momento della creazione cui l'aveva legata la riflessione degli apologisti, mantenendone la subordinazione al Padre (il Verbo è sempre un “secondo dio”) ma affermandone chiaramente l'eternità. Origene non presta particolare attenzione ai rapporti coi romani. Nel Perì Arxòn Origene distingue tra dati elementari di fede e problemi aperti, gli uni da approfondire, gli altri da indagare liberamente. Ripropone così il problema dei due livelli. Tutto il libro è più orientato alla ricerca più che all'affermazione apodittica. In quest'opera tratta dell'unicità e incorporeità di Dio, dell'attività cosmologica e soteriologica del Logos divino; dell'articolazione trinitaria delle divinità; delle creature razionali, di angeli, uomini e demoni; del rapporto anima – corpo nell'uomo; del libero arbitrio; della Sacra Scrittura e dei corretti modi dell'esegesi. Variano gli argomenti ma non il suo modo di lavorare, sempre puntato a non fermarsi al dato ovvio ed elementare ma al punto in cui ogni argomento diventa stimolante, quasi ascetico, per il ricercatore. Origene sosteneva con forza la coesistenza in Dio di bontà e giustizia, e l'efficacia nell'uomo del libero arbitrio. Contestava così lo gnosticismo nella sua distinzione tra Demiurgo e Dio Sommo e tra uomini materiali e spirituali.
DOPO ORIGENE. Poco si sa delle lettere cristiane in Oriente dopo la metà del III secolo. Di Dionigi d'Alessandria sappiamo ben poco e l'unica cosa di cui siamo a conoscenza è dello scontro tra l'eccessivo allegorismo di Origene e personaggi come Metodio d'Olimpo che pur rispettandolo e seguendolo contestavano i suoi eccessi.
Tratto da "Letteratura Cristiana" (parte dedicata ad Origene) Vedi originale
Il padre Leonida era stato martirizzato durante la persecuzione di Settimio Severo e in questa occasione il diciottenne Origene scrisse per lui una esortazione al martirio. Il vescovo Demetrio lo chiamò a dirigere il catecumenato che divise in due livelli: il più elementare lo affidò all'amico Eracla, mentre il più avanzato lo tenne per sé.
Nasce così la prima vera Scuola Superiore di Alessandria. Origene con un sotterfugio fu escluso dal didaskaleion proprio per opera del geloso vescovo Demetrio e si trasferisce in Cesarea di Palestina dove apre una nuova scuola. Sarà torturato nel 250 durante la persecuzione di Decio, ma sopravviverà. Morirà nel 253. Riconosciuto da ammiratori e avversari come grandissimo teologo, bisogna innanzitutto liberarsi dal clichè che lo vuole un platonista autore del De principiis, primo trattato di filosofia cristiana. Origene è soprattutto un interprete della Bibbia e si forma esegeticamente sul testo sacro: è lui a collazionare il testo ebraico e le versioni greche dell'Antico Testamento per verificare la traduzione greca dei Settanta che era considerata la versione ufficiale dei cristiani. Origene dispone su sei colonne (hexapla) il testo ebraico, la trascrizione greca, la versione di Aquila, di Simmaco, dei Settanta e di Teodozione, inserendo un obelòs o un asterisco per segnalare i passi che i Settanta avevano aggiunto o tolto. Origene ha soprattutto svolto un lavoro immane di predicatore e commentatore della Scrittura. Possediamo solo una piccola parte delle sue Omelie e dei suoi Commentari, spesso in traduzione latina, che testimoniano lo sforzo di offrire una spiegazione della Bibbia a tutti i livelli. Origene distingue infatti due livelli della Scrittura: il letterale e lo spirituale. Pur adottando un allegorismo a volte eccessivo che gli sarà rimproverato, il suo merito è quello di avere liberato la Scrittura dagli eccessi del letteralismo, del fondamentalismo diremmo oggi, giudaico e marcionita. Con Origene, anche se la Bibbia perde parte della concreta storicità giudaica, diventa comunque quel grande poema cristologico e morale che alimenterà per secoli la spiritualità cristiana dei secoli successivi. Origene interpreta tutta la creazione in senso spirituale ed è questo il punto che lo accomuna maggiormente ai platonisti, che comunque utilizza. La realtà materiale sembra a Origene una immensa figura che rinvia perennemente ad una realtà superiore. Origene contribuisce anche al fondamento della teologia trinitaria. Afferma con grande vigore la concezione economica ma non usa il termine prosopon ma hypostasis, che svincola la generazione del Verbo dal momento della creazione cui l'aveva legata la riflessione degli apologisti, mantenendone la subordinazione al Padre (il Verbo è sempre un “secondo dio”) ma affermandone chiaramente l'eternità. Origene non presta particolare attenzione ai rapporti coi romani. Nel Perì Arxòn Origene distingue tra dati elementari di fede e problemi aperti, gli uni da approfondire, gli altri da indagare liberamente. Ripropone così il problema dei due livelli. Tutto il libro è più orientato alla ricerca più che all'affermazione apodittica. In quest'opera tratta dell'unicità e incorporeità di Dio, dell'attività cosmologica e soteriologica del Logos divino; dell'articolazione trinitaria delle divinità; delle creature razionali, di angeli, uomini e demoni; del rapporto anima – corpo nell'uomo; del libero arbitrio; della Sacra Scrittura e dei corretti modi dell'esegesi. Variano gli argomenti ma non il suo modo di lavorare, sempre puntato a non fermarsi al dato ovvio ed elementare ma al punto in cui ogni argomento diventa stimolante, quasi ascetico, per il ricercatore. Origene sosteneva con forza la coesistenza in Dio di bontà e giustizia, e l'efficacia nell'uomo del libero arbitrio. Contestava così lo gnosticismo nella sua distinzione tra Demiurgo e Dio Sommo e tra uomini materiali e spirituali.
DOPO ORIGENE. Poco si sa delle lettere cristiane in Oriente dopo la metà del III secolo. Di Dionigi d'Alessandria sappiamo ben poco e l'unica cosa di cui siamo a conoscenza è dello scontro tra l'eccessivo allegorismo di Origene e personaggi come Metodio d'Olimpo che pur rispettandolo e seguendolo contestavano i suoi eccessi.
Tratto da "Letteratura Cristiana" (parte dedicata ad Origene) Vedi originale
Il pensiero di Origene: i tre modi d’interpretare la Bibbia e gli archetipi di Cristo
Fino al 202 d.C. la scuola catechetica di Alessandria d’Egitto, detta Didaskaleion, fu diretta da Clemente alessandrino. In seguito alle persecuzioni dei cristiani ordinate da Settimio Severo, Clemente fu costretto a lasciare la città e la direzione della scuola passò ad Origene Adamanzio (Alessandria, 185 d.C. – Tiro, 254 d.C.), uno dei principali filosofi del Cristianesimo antico.
Origene si distinse per aver scritto importanti commenti alla Bibbia, per esempio il Commento alla Genesi, ai Salmi e al Vangelo di Giovanni.
A partire dal 231 d.C. Origene visse a Cesarea, in Israele. Nell’ultima parte della sua vita si dedicò a scrivere il “Contro Celso”, opera di confutazione a idee anticristiane.
Per quanto riguarda l’interpretazione della Bibbia, Origene distingue inizialmente tra due metodi: il letterale e il simbolico-allegorico.
Secondo l’interpretazione letterale, il testo biblico deve essere interpretato esattamente secondo quanto vi è scritto.
Secondo l’interpretazione simbolico-allegorica il testo biblico comunica un significato spirituale, più profondo e occulto, che va oltre la lettera, ma è intimamente legato ad essa.
Per Origene molti passaggi biblici possono essere interpretati sia letteralmente che allegoricamente. Altri passaggi invece possono essere interpretati solo letteralmente o simbolicamente.
Per esempio, per Origene alcuni passaggi della Genesi vanno interpretati allegoricamente, mentre i versi biblici riferiti alla predicazione di Gesù Cristo, alla sua morte e alla sua Risurrezione, vanno interpretati letteralmente.
Origene introduce anche un terzo metodo d’interpretazione della Bibbia, detto tipologico, figurale o archetipico.
Secondo questo metodo nell’Antico Testamento ci sono eventi e personaggi che sono archetipi di Cristo, e sono quindi comprensibili completamente solo alla luce del Nuovo Testamento.
Vi sono vari esempi di archetipi di Cristo nell’Antico Testamento.
Il primo è l’albero della vita. Esso viene descritto nella Genesi (2, 9):
Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Dopo la disubbidienza di Adamo, che ha provocato la caduta dell’uomo, e la sua morte spirituale (e in seguito fisica), il Signore dice:
Genesi (3, 22):
Poi il Signore Dio disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!»
Ciò è stato detto per evitare che Adamo ed Eva ottenessero l’immortalità e perpetuassero così il peccato indefinitamente. Essi sono stati quindi allontanati dall’Eden e dall’albero della vita. Questi passaggi della Genesi assumono un significato nuovo se sono letti ed interpretati alla luce del Nel Nuovo Testamento. Per esempio nel Vangelo di Giovanni si legge, (1, 4):
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
Vediamo pertanto che Gesù Cristo è la vita. Con questo passaggio l’evangelista Giovanni ci vuole indicare che la vita che era insita nel Verbo non era come la vita che abbiamo noi esseri umani. Per noi c’è stato un tempo (prima della nascita) nel quale non avevamo vita, mentre lui era la vita, da sempre.
Vediamo ora un passaggio dell’Apocalisse dove si descrive l’albero della vita come archetipo di Cristo, (2, 7):
Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”.
Anche Melchisedek, il re di Salem, è un archetipo di Cristo quando consegna pane e vino ad Abramo. Vediamo il verso corrispondente in Genesi (14, 18):
Melchisedec, re di Salem, fece portare del pane e del vino. Egli era sacerdote del Dio altissimo.
Altri archetipi di Cristo nell’Antico Testamento sono i sacrifici di agnelli e altri animali. Dio aveva ordinato di sacrificare animali perfetti, senza macchia. La persona che offriva il sacrificio s’identificava con l’animale e doveva ucciderlo. Gli ebrei credevano che questo rito provvedesse il perdono dei peccati da parte di Dio.
Il sacrificio animale serviva pertanto come “punizione” nei confronti di un peccatore, infatti si uccideva un agnello del suo gregge. Gli si toglieva un animale, prezioso in tempi di carestia, ed inoltre il peccatore, vedendo che l’animale innocente moriva, sentiva pena per quell’essere vivente che moriva a causa del suo peccato.
Naturalmente tutto questo presagiva il sacrificio finale e perfetto di Gesù Cristo sulla croce, che è l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (Vangelo di Giovanni, 1, 29).
Anche Mosè è un archetipo di Cristo, in quanto come il Salvatore, fu profeta. Vediamo a tale proposito questa citazione biblica:
Deuteronomio (18, 15):
Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto.
Due altri personaggi biblici che possono essere visti come archetipi di Cristo sono Elia ed Eliseo quando risuscitano due rispettivi bambini. Vediamo i due passaggi corrispondenti.
1 Re (17, 17-24):
In seguito accadde che il figlio della padrona di casa si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che egli cessò di respirare. Allora lei disse a Elia: «Che cosa c’è tra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?». Elia le disse: «Dammi tuo figlio». Glielo prese dal seno, lo portò nella stanza superiore, dove abitava, e lo stese sul letto. Quindi invocò il Signore: «Signore, mio Dio, vuoi fare del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore, mio Dio, la vita di questo bambino torni nel suo corpo». Il Signore ascoltò la voce di Elia; la vita del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. Elia prese il bambino, lo portò giù nella casa dalla stanza superiore e lo consegnò alla madre. Elia disse: «Guarda! Tuo figlio vive». La donna disse a Elia: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità».
2 Re (4, 29-37):
Eliseo disse a Giezi: «Cingi i tuoi fianchi, prendi in mano il mio bastone e parti. Se incontrerai qualcuno, non salutarlo; se qualcuno ti saluta, non rispondergli. Metterai il mio bastone sulla faccia del ragazzo». La madre del ragazzo disse: «Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò». Allora egli si alzò e la seguì. Giezi li aveva preceduti; aveva posto il bastone sulla faccia del ragazzo, ma non c’era stata voce né reazione. Egli tornò incontro a Eliseo e gli riferì: «Il ragazzo non si è svegliato». Eliseo entrò in casa. Il ragazzo era morto, coricato sul letto. Egli entrò, chiuse la porta dietro a loro due e pregò il Signore. Quindi salì e si coricò sul bambino; pose la bocca sulla bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani sulle mani di lui, si curvò su di lui e il corpo del bambino riprese calore. Quindi desistette e si mise a camminare qua e là per la casa; poi salì e si curvò su di lui. Il ragazzo starnutì sette volte, poi aprì gli occhi. Eliseo chiamò Giezi e gli disse: «Chiama questa Sunammita!». La chiamò e, quando lei gli giunse vicino, le disse: «Prendi tuo figlio!». Quella entrò, cadde ai piedi di lui, si prostrò a terra, prese il figlio e uscì.
Le risurrezioni di questi bimbi da parte di Elia ed Eliseo sono archetipo delle tre resurrezioni di morti portate a termine dal Signore Gesú Cristo (la figlia di Giairo, il figlio della vedova a Naim, Lazzaro).
Come abbiamo visto sono molteplici gli archetipi di Cristo nell’Antico Testamento e sono comprensibili completamente solo alla luce del Nuovo Testamento.
[ di Yuri Leveratto ]
Vedi originale su: tuttostoria.net
Origene si distinse per aver scritto importanti commenti alla Bibbia, per esempio il Commento alla Genesi, ai Salmi e al Vangelo di Giovanni.
A partire dal 231 d.C. Origene visse a Cesarea, in Israele. Nell’ultima parte della sua vita si dedicò a scrivere il “Contro Celso”, opera di confutazione a idee anticristiane.
Per quanto riguarda l’interpretazione della Bibbia, Origene distingue inizialmente tra due metodi: il letterale e il simbolico-allegorico.
Secondo l’interpretazione letterale, il testo biblico deve essere interpretato esattamente secondo quanto vi è scritto.
Secondo l’interpretazione simbolico-allegorica il testo biblico comunica un significato spirituale, più profondo e occulto, che va oltre la lettera, ma è intimamente legato ad essa.
Per Origene molti passaggi biblici possono essere interpretati sia letteralmente che allegoricamente. Altri passaggi invece possono essere interpretati solo letteralmente o simbolicamente.
Per esempio, per Origene alcuni passaggi della Genesi vanno interpretati allegoricamente, mentre i versi biblici riferiti alla predicazione di Gesù Cristo, alla sua morte e alla sua Risurrezione, vanno interpretati letteralmente.
Origene introduce anche un terzo metodo d’interpretazione della Bibbia, detto tipologico, figurale o archetipico.
Secondo questo metodo nell’Antico Testamento ci sono eventi e personaggi che sono archetipi di Cristo, e sono quindi comprensibili completamente solo alla luce del Nuovo Testamento.
Vi sono vari esempi di archetipi di Cristo nell’Antico Testamento.
Il primo è l’albero della vita. Esso viene descritto nella Genesi (2, 9):
Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Dopo la disubbidienza di Adamo, che ha provocato la caduta dell’uomo, e la sua morte spirituale (e in seguito fisica), il Signore dice:
Genesi (3, 22):
Poi il Signore Dio disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!»
Ciò è stato detto per evitare che Adamo ed Eva ottenessero l’immortalità e perpetuassero così il peccato indefinitamente. Essi sono stati quindi allontanati dall’Eden e dall’albero della vita. Questi passaggi della Genesi assumono un significato nuovo se sono letti ed interpretati alla luce del Nel Nuovo Testamento. Per esempio nel Vangelo di Giovanni si legge, (1, 4):
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
Vediamo pertanto che Gesù Cristo è la vita. Con questo passaggio l’evangelista Giovanni ci vuole indicare che la vita che era insita nel Verbo non era come la vita che abbiamo noi esseri umani. Per noi c’è stato un tempo (prima della nascita) nel quale non avevamo vita, mentre lui era la vita, da sempre.
Vediamo ora un passaggio dell’Apocalisse dove si descrive l’albero della vita come archetipo di Cristo, (2, 7):
Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”.
Anche Melchisedek, il re di Salem, è un archetipo di Cristo quando consegna pane e vino ad Abramo. Vediamo il verso corrispondente in Genesi (14, 18):
Melchisedec, re di Salem, fece portare del pane e del vino. Egli era sacerdote del Dio altissimo.
Altri archetipi di Cristo nell’Antico Testamento sono i sacrifici di agnelli e altri animali. Dio aveva ordinato di sacrificare animali perfetti, senza macchia. La persona che offriva il sacrificio s’identificava con l’animale e doveva ucciderlo. Gli ebrei credevano che questo rito provvedesse il perdono dei peccati da parte di Dio.
Il sacrificio animale serviva pertanto come “punizione” nei confronti di un peccatore, infatti si uccideva un agnello del suo gregge. Gli si toglieva un animale, prezioso in tempi di carestia, ed inoltre il peccatore, vedendo che l’animale innocente moriva, sentiva pena per quell’essere vivente che moriva a causa del suo peccato.
Naturalmente tutto questo presagiva il sacrificio finale e perfetto di Gesù Cristo sulla croce, che è l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (Vangelo di Giovanni, 1, 29).
Anche Mosè è un archetipo di Cristo, in quanto come il Salvatore, fu profeta. Vediamo a tale proposito questa citazione biblica:
Deuteronomio (18, 15):
Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto.
Due altri personaggi biblici che possono essere visti come archetipi di Cristo sono Elia ed Eliseo quando risuscitano due rispettivi bambini. Vediamo i due passaggi corrispondenti.
1 Re (17, 17-24):
In seguito accadde che il figlio della padrona di casa si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che egli cessò di respirare. Allora lei disse a Elia: «Che cosa c’è tra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?». Elia le disse: «Dammi tuo figlio». Glielo prese dal seno, lo portò nella stanza superiore, dove abitava, e lo stese sul letto. Quindi invocò il Signore: «Signore, mio Dio, vuoi fare del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore, mio Dio, la vita di questo bambino torni nel suo corpo». Il Signore ascoltò la voce di Elia; la vita del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. Elia prese il bambino, lo portò giù nella casa dalla stanza superiore e lo consegnò alla madre. Elia disse: «Guarda! Tuo figlio vive». La donna disse a Elia: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità».
2 Re (4, 29-37):
Eliseo disse a Giezi: «Cingi i tuoi fianchi, prendi in mano il mio bastone e parti. Se incontrerai qualcuno, non salutarlo; se qualcuno ti saluta, non rispondergli. Metterai il mio bastone sulla faccia del ragazzo». La madre del ragazzo disse: «Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò». Allora egli si alzò e la seguì. Giezi li aveva preceduti; aveva posto il bastone sulla faccia del ragazzo, ma non c’era stata voce né reazione. Egli tornò incontro a Eliseo e gli riferì: «Il ragazzo non si è svegliato». Eliseo entrò in casa. Il ragazzo era morto, coricato sul letto. Egli entrò, chiuse la porta dietro a loro due e pregò il Signore. Quindi salì e si coricò sul bambino; pose la bocca sulla bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani sulle mani di lui, si curvò su di lui e il corpo del bambino riprese calore. Quindi desistette e si mise a camminare qua e là per la casa; poi salì e si curvò su di lui. Il ragazzo starnutì sette volte, poi aprì gli occhi. Eliseo chiamò Giezi e gli disse: «Chiama questa Sunammita!». La chiamò e, quando lei gli giunse vicino, le disse: «Prendi tuo figlio!». Quella entrò, cadde ai piedi di lui, si prostrò a terra, prese il figlio e uscì.
Le risurrezioni di questi bimbi da parte di Elia ed Eliseo sono archetipo delle tre resurrezioni di morti portate a termine dal Signore Gesú Cristo (la figlia di Giairo, il figlio della vedova a Naim, Lazzaro).
Come abbiamo visto sono molteplici gli archetipi di Cristo nell’Antico Testamento e sono comprensibili completamente solo alla luce del Nuovo Testamento.
[ di Yuri Leveratto ]
Vedi originale su: tuttostoria.net
Non possiamo che sentirci infinitamente piccoli, quando decidiamo di parlare di un personaggio come Origene, in quanto, nonostante i suoi persecutori abbiano cercato di cancellarne la monumentale opera, quel che ne resta è talmente ricco di contenuti e di potenza spirituale che sorge un interrogativo: in quale modo ne possiamo parlare? Oltre tutto Origene è il Padre della Chiesa di cui ci sono giunte più notizie, non solo perché è vissuto circa 68 anni, ma anche perché i suoi discepoli hanno dimostrato la loro stima e il loro apprezzamento facendolo oggetto di studio ed interesse, lasciando opere intere a testimonianza della sua vita, delle sue convinzioni e della sua sapienza.
Tutto di lui appassiona: la storia della sua vita, il modo in cui scrive, in cui fa ricerca, l’aspetto mistico e sacerdotale, il suo essere amico e iniziatore con i propri allievi. Ad esempio Gregorio di Nazianzio lo definisce come “la pietra che ci rende tutti aguzzi” e Girolamo, prima del voltafaccia, scrive che se Roma riunì un Senato contro di lui, non fu “per un caso di innovazione nel dogma, né per motivi di eresia, come ostentano adesso di dire dei cani rabbiosi, ma perchè essi non potevano sopportare la magnificenza gloriosa della sua eloquenza e del suo sapere: quando egli parlava tutti restavano muti”.
Benedetto XVI. I Padri della Chiesa. Origene alessandrino (1)
by pmartucci
Cari fratelli e sorelle,
nelle nostre meditazioni sulle grandi personalità della Chiesa antica, ne conosciamo oggi ad una delle più rilevanti. Origene alessandrino è realmente una delle personalità determinanti per tutto lo sviluppo del pensiero cristiano. Egli raccoglie l’eredità di Clemente alessandrino, su cui abbiamo parlato mercoledì scorso, e la rilancia verso il futuro in maniera talmente innovativa, da imprimere una svolta irreversibile allo sviluppo del pensiero cristiano. Fu un vero “maestro”, e così lo ricordavano con nostalgia e commozione i suoi allievi: non soltanto un brillante teologo, ma un testimone esemplare della dottrina che trasmetteva. “Egli insegnò”, scrive Eusebio di Cesarea, suo biografo entusiasta, “che la condotta deve corrispondere esattamente alla parola, e fu soprattutto per questo che, aiutato dalla grazia di Dio, indusse molti a imitarlo” (Hist. Eccl. 6,3,7).
Tutta la sua vita fu percorsa da un incessante anelito al martirio. Aveva diciassette anni quando, nel decimo anno dell’imperatore Settimio Severo, scoppiò ad Alessandria la persecuzione contro i cristiani. Clemente, suo maestro, abbandonò la città, e il padre di Origene, Leonide, venne gettato in carcere. Suo figlio bramava ardentemente il martirio, ma non poté realizzare questo desiderio. Allora scrisse al padre, esortandolo a non recedere dalla suprema testimonianza della fede. E quando Leonide venne decapitato, il piccolo Origene sentì che doveva accogliere l’esempio della sua vita. Quarant’anni più tardi, mentre predicava a Cesarea, uscì in questa confessione: “A nulla mi giova aver avuto un padre martire, se non tengo una buona condotta e non faccio onore alla nobiltà della mia stirpe, cioè al martirio di mio padre e alla testimonianza che l’ha reso illustre in Cristo” (Hom. Ez. 4,8). In un’omelia successiva – quando, grazie all’estrema tolleranza dell’imperatore Filippo l’Arabo, sembrava ormai sfumata l’eventualità di una testimonianza cruenta – Origene esclama: “Se Dio mi concedesse di essere lavato nel mio sangue, così da ricevere il secondo battesimo avendo accettato la morte per Cristo, mi allontanerei sicuro da questo mondo… Ma sono beati coloro che meritano queste cose” (Hom. Iud. 7,12). Queste espressioni rivelano tutta la nostalgia di Origene per il battesimo di sangue. E finalmente questo irresistibile anelito venne, almeno in parte, esaudito. Nel 250, durante la persecuzione di Decio, Origene fu arrestato e torturato crudelmente. Fiaccato dalle sofferenze subite, morì qualche anno dopo. Non aveva ancora settant’anni.
Abbiamo accennato a quella “svolta irreversibile” che Origene impresse alla storia della teologia e del pensiero cristiano. Ma in che cosa consiste questa “svolta”, questa novità così gravida di conseguenze? Essa corrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nella spiegazione delle Scritture.
Far teologia era per lui essenzialmente spiegare, comprendere la Scrittura; o potremmo anche dire che la sua teologia è la perfetta simbiosi tra teologia ed esegesi. In verità, la sigla propria della dottrina origeniana sembra risiedere appunto nell’incessante invito a passare dalla lettera allo spirito delle Scritture, per progredire nella conoscenza di Dio.
E questo cosiddetto “allegorismo”, ha scritto von Balthasar, coincide precisamente “con lo sviluppo del dogma cristiano operato dall’insegnamento dei dottori della Chiesa”, i quali – in un modo o nell’altro – hanno accolto la “lezione” di Origene. Così la tradizione e il magistero, fondamento e garanzia della ricerca teologica, giungono a configurarsi come “Scrittura in atto” (cfr Origene: il mondo, Cristo e la Chiesa, tr. it., Milano 1972, p. 43). Possiamo affermare perciò che il nucleo centrale dell’immensa opera letteraria di Origene consiste nella sua “triplice lettura” della Bibbia. Ma prima di illustrare questa “lettura” conviene dare uno sguardo complessivo alla produzione letteraria dell’Alessandrino. San Girolamo nella sua Epistola 33 elenca i titoli di 320 libri e di 310 omelie di Origene. Purtroppo la maggior parte di quest’opera è andata perduta, ma anche il poco che ne rimane fa di lui l’autore più prolifico dei primi tre secoli cristiani. Il suo raggio di interessi si estende dall’esegesi al dogma, alla filosofia, all’apologetica, all’ascetica e alla mistica. È una visione fondamentale e globale della vita cristiana.
Il nucleo ispiratore di quest’opera è, come abbiamo accennato, la “triplice lettura” delle Scritture sviluppata da Origene nell’arco della sua vita. Con questa espressione intendiamo alludere alle tre modalità più importanti – tra loro non successive, anzi più spesso sovrapposte – con le quali Origene si è dedicato allo studio delle Scritture. Anzitutto egli lesse la Bibbia con l’intento di accertarne al meglio il testo e di offrirne l’edizione più affidabile. Questo, ad esempio, è il primo passo: conoscere realmente che cosa sta scritto e conoscere che cosa questa scrittura voleva intenzionalmente e inizialmente dire. Ha fatto un grande studio a questo scopo ed ha redatto un’edizione della Bibbia con sei colonne parallele, da sinistra a destra, con il testo ebraico in caratteri ebraici — egli ha avuto anche contatti con i rabbini per capire bene il testo originale ebraico della Bibbia —, poi il testo ebraico traslitterato in caratteri greci e poi quattro traduzioni diverse in lingua greca, che gli permettevano di comparare le diverse possibilità di traduzione. Di qui il titolo di “Esapla” (“sei colonne”) attribuito a questa immane sinossi. Questo è il primo punto: conoscere esattamente che cosa sta scritto, il testo come tale. In secondo luogo Origene lesse sistematicamente la Bibbia con i suoi celebri Commentari. Essi riproducono fedelmente le spiegazioni che il maestro offriva durante la scuola, ad Alessandria come a Cesarea. Origene procede quasi versetto per versetto, in forma minuziosa, ampia e approfondita, con note di carattere filologico e dottrinale. Egli lavora con grande esattezza per conoscere bene che cosa volevano dire i sacri autori.
Infine, anche prima della sua ordinazione presbiterale, Origene si dedicò moltissimo alla predicazione della Bibbia, adattandosi a un pubblico variamente composito. In ogni caso, si avverte anche nelle sue Omelie il maestro, tutto dedito all’interpretazione sistematica della pericope in esame, via via frazionata nei successivi versetti. Anche nelle Omelie Origene coglie tutte le occasioni per richiamare le diverse dimensioni del senso della Sacra Scrittura, che aiutano o esprimono un cammino nella crescita della fede: c’è il senso “letterale”, ma esso nasconde profondità che non appaiono in un primo momento; la seconda dimensione è il senso “morale”: che cosa dobbiamo fare vivendo la parola; e infine il senso “spirituale”, cioè l’unità della Scrittura, che in tutto il suo sviluppo parla di Cristo. E’ lo Spirito Santo che ci fa capire il contenuto cristologico e così l’unità della Scrittura nella sua diversità. Sarebbe interessante mostrare questo. Un po’ ho tentato, nel mio libro «Gesù di Nazaret», di mostrare nella situazione di oggi queste molteplici dimensioni della Parola, della Sacra Scrittura, che prima deve essere rispettata proprio nel senso storico. Ma questo senso ci trascende verso Cristo, nella luce dello Spirito Santo, e ci mostra la via, come vivere. Se ne trova cenno, per esempio, nella nona Omelia sui Numeri, dove Origene paragona la Scrittura alle noci: “Così è la dottrina della Legge e dei Profeti alla scuola di Cristo”, afferma l’omileta; “amara è la lettera, che è come la scorza; in secondo luogo perverrai al guscio, che è la dottrina morale; in terzo luogo troverai il senso dei misteri, del quale si nutrono le anime dei santi nella vita presente e nella futura” (Hom. Num. 9,7).
Soprattutto per questa via Origene giunge a promuovere efficacemente la “lettura cristiana” dell’Antico Testamento, rintuzzando in maniera brillante la sfida di quegli eretici – soprattutto gnostici e marcioniti – che opponevano tra loro i due Testamenti fino a rigettare l’Antico. A questo proposito, nella medesima Omelia sui Numeri l’Alessandrino afferma: “Io non chiamo la Legge un ‘Antico Testamento’, se la comprendo nello Spirito. La Legge diventa un ‘Antico Testamento’ solo per quelli che vogliono comprenderla carnalmente”, cioè fermandosi alla lettera del testo. Ma “per noi, che la comprendiamo e l’applichiamo nello Spirito e nel senso del Vangelo, la Legge è sempre nuova, e i due Testamenti sono per noi un nuovo Testamento, non a causa della data temporale, ma della novità del senso… Invece, per il peccatore e per quelli che non rispettano il patto della carità, anche i Vangeli invecchiano” (Hom. Num. 9,4).
Vi invito – e così concludo – ad accogliere nel vostro cuore l’insegnamento di questo grande maestro nella fede. Egli ci ricorda con intimo trasporto che, nella lettura orante della Scrittura e nel coerente impegno della vita, la Chiesa sempre si rinnova e ringiovanisce. La Parola di Dio, che non invecchia mai, né mai si esaurisce, è mezzo privilegiato a tale scopo. E’ infatti la Parola di Dio che, per opera dello Spirito Santo, ci guida sempre di nuovo alla verità tutta intera (cfr Benedetto XVI, Ai partecipanti al Congresso Internazionale per il XL anniversario della Costituzione dogmatica «Dei Verbum», in: Insegnamenti, vol. I, 2005, pp. 552-553). E preghiamo il Signore che ci dia oggi pensatori, teologi, esegeti che trovano questa multidimensionalità, questa attualità permanente della Sacra Scrittura, la sua novità per oggi. Preghiamo che il Signore ci aiuti a leggere in modo orante la Sacra Scrittura, a nutrirci realmente del vero pane della vita, della sua Parola.
BENEDETTO XVI, Udienza del 25 aprile 2007
Benedetto XVI. I Padri della Chiesa. Origene alessandrino (2)
Cari fratelli e sorelle,
la catechesi di mercoledì scorso era dedicata alla grande figura di Origene, dottore alessandrino del II-III secolo. In quella catechesi abbiamo preso in considerazione la vita e la produzione letteraria del grande maestro alessandrino, individuando nella “triplice lettura” della Bibbia, da lui condotta, il nucleo animatore di tutta la sua opera. Ho lasciato da parte – per riprenderli oggi – due aspetti della dottrina origeniana, che considero tra i più importanti e attuali: intendo parlare dei suoi insegnamenti sulla preghiera e sulla Chiesa.
In verità Origene – autore di un importante e sempre attuale trattato Sulla preghiera – intreccia costantemente la sua produzione esegetica e teologica con esperienze e suggerimenti relativi all’orazione. Nonostante tutta la ricchezza teologica di pensiero, non è mai una trattazione puramente accademica; è sempre fondata sull’esperienza della preghiera, del contatto con Dio. A suo parere, infatti, l’intelligenza delle Scritture richiede, più ancora che lo studio, l’intimità con Cristo e la preghiera. Egli è convinto che la via privilegiata per conoscere Dio è l’amore, e che non si dia un’autentica scientia Christi senza innamorarsi di Lui. Nella Lettera a Gregorio Origene raccomanda: “Dedicati alla lectio delle divine Scritture; applicati a questo con perseveranza. Impegnati nella lectio con l’intenzione di credere e di piacere a Dio. Se durante la lectio ti trovi davanti a una porta chiusa, bussa e te l’aprirà quel custode, del quale Gesù ha detto: «Il guardiano gliela aprirà». Applicandoti così alla lectio divina, cerca con lealtà e fiducia incrollabile in Dio il senso delle Scritture divine, che in esse si cela con grande ampiezza. Non ti devi però accontentare di bussare e di cercare: per comprendere le cose di Dio ti è assolutamente necessaria l’oratio. Proprio per esortarci ad essa il Salvatore ci ha detto non soltanto: «Cercate e troverete», e «Bussate e vi sarà aperto», ma ha aggiunto: «Chiedete e riceverete»” (Ep. Gr. 4). Balza subito agli occhi il “ruolo primordiale” svolto da Origene nella storia della lectio divina. Il Vescovo Ambrogio di Milano – che imparerà a leggere le Scritture dalle opere di Origene – la introduce poi in Occidente, per consegnarla ad Agostino e alla tradizione monastica successiva.Come già abbiamo detto, il più alto livello della conoscenza di Dio, secondo Origene, scaturisce dall’amore. È così anche tra gli uomini: uno conosce realmente in profondità l’altro solo se c’è amore, se si aprono i cuori. Per dimostrare questo egli si fonda su un significato dato talvolta al verbo conoscere in ebraico, quando cioè viene utilizzato per esprimere l’atto dell’amore umano: “Adamo conobbe Eva, sua sposa, la quale concepì” (Gn. 4,1). Così viene suggerito che l’unione nell’amore procura la conoscenza più autentica. Come l’uomo e la donna sono “due in una sola carne”, così Dio e il credente diventano “due in uno stesso spirito”. In questo modo la preghiera dell’Alessandrino approda ai livelli più alti della mistica, come è attestato dalle sue Omelie sul Cantico dei Cantici. Viene a proposito un passaggio della prima Omelia, dove Origene confessa: “Spesso – Dio me ne è testimone – ho sentito che lo Sposo si accostava a me in massimo grado; dopo egli se ne andava all’improvviso, e io non potei trovare quello che cercavo. Nuovamente mi prende il desiderio della sua venuta, e talvolta egli torna, e quando mi è apparso, quando lo tengo tra le mani, ecco che ancora mi sfugge, e una volta che è svanito mi metto ancora a cercarlo…” (Hom. Cant. 1,7).
Torna alla mente ciò che il mio venerato Predecessore scriveva, da autentico testimone, nella Novo millennio ineunte, là dove egli mostrava ai fedeli “come la preghiera possa progredire, quale vero e proprio dialogo d’amore, fino a rendere la persona umana totalmente posseduta dall’Amato divino, vibrante al tocco dello Spirito, filialmente abbandonata nel cuore del Padre… Si tratta”, proseguiva Giovanni Paolo II, “di un cammino interamente sostenuto dalla grazia, che chiede tuttavia forte impegno spirituale e conosce anche dolorose purificazioni, ma che approda, in diverse forme possibili, all’indicibile gioia vissuta dai mistici come «unione sponsale»” (n. 33).
Veniamo, infine, a un insegnamento di Origene sulla Chiesa, e precisamente – all’interno di essa – sul sacerdozio comune dei fedeli. Infatti, come l’Alessandrino afferma nella sua nona Omelia sul Levitico, “questo discorso riguarda tutti noi” (Hom. Lev. 9,1). Nella medesima Omelia Origene – riferendosi al divieto fatto ad Aronne, dopo la morte dei suoi due figli, di entrare nel Sancta sanctorum “in qualunque tempo” (Lv 16,2) – così ammonisce i fedeli: “Da ciò si dimostra che se uno entra a qualunque ora nel santuario, senza la dovuta preparazione, non rivestito degli indumenti pontificali, senza aver preparato le offerte prescritte ed essersi reso Dio propizio, morirà… Questo discorso riguarda tutti noi. Ordina infatti che sappiamo come accedere all’altare di Dio. O non sai che anche a te, cioè a tutta la Chiesa di Dio e al popolo dei credenti, è stato conferito il sacerdozio? Ascolta come Pietro parla dei fedeli: ‘Stirpe eletta’, dice, ‘regale, sacerdotale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato’. Tu dunque hai il sacerdozio perché sei ‘stirpe sacerdotale’, e perciò devi offrire a Dio il sacrificio… Ma perché tu lo possa offrire degnamente, hai bisogno di indumenti puri e distinti dagli indumenti comuni agli altri uomini, e ti è necessario il fuoco divino” (ivi).
Così da una parte i “fianchi cinti” e gli “indumenti sacerdotali”, vale a dire la purezza e l’onestà della vita, dall’altra la “lucerna sempre accesa”, cioè la fede e la scienza delle Scritture, si configurano come le condizioni indispensabili per l’esercizio del sacerdozio universale, che esige purezza e onestà di vita, fede e scienza delle Scritture. A maggior ragione tali condizioni sono indispensabili, evidentemente, per l’esercizio del sacerdozio ministeriale. Queste condizioni – di integra condotta di vita, ma soprattutto di accoglienza e di studio della Parola – stabiliscono una vera e propria “gerarchia della santità” nel comune sacerdozio dei cristiani. Al vertice di questo cammino di perfezione Origene colloca il martirio. Sempre nella nona Omelia sul Levitico allude al “fuoco per l’olocausto”, cioè alla fede e alla scienza delle Scritture, che mai deve spegnersi sull’altare di chi esercita il sacerdozio. Poi aggiunge: “Ma ognuno di noi ha in sé” non soltanto il fuoco; ha “anche l’olocausto, e dal suo olocausto accende l’altare, perché arda sempre. Io, se rinuncio a tutto ciò che possiedo e prendo la mia croce e seguo Cristo, offro il mio olocausto sull’altare di Dio; e se consegnerò il mio corpo perché arda, avendo la carità, e conseguirò la gloria del martirio, offro il mio olocausto sull’altare di Dio” (Hom. Lev. 9,9).
Questo inesausto cammino di perfezione “riguarda tutti noi”, purché “lo sguardo del nostro cuore” sia rivolto alla contemplazione della Sapienza e della Verità, che è Gesù Cristo. Predicando sul discorso di Gesù a Nazaret – quando “gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui” (Lc 4,16-30) – Origene sembra rivolgersi proprio a noi: “Anche oggi, se lo volete, in questa assemblea i vostri occhi possono fissare il Salvatore. Quando infatti tu rivolgerai lo sguardo più profondo del cuore verso la contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio, allora i tuoi occhi vedranno Dio. Felice assemblea, quella di cui la Scrittura attesta che gli occhi di tutti erano fissi su di lui! Quanto desidererei che questa assemblea ricevesse una simile testimonianza, che gli occhi di tutti, dei non battezzati e dei fedeli, delle donne, degli uomini e dei fanciulli, non gli occhi del corpo, ma quelli dell’anima, guardassero Gesù! … Impressa su di noi è la luce del tuo volto, o Signore, a cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!” (Hom. Lc. 32,6).
BENEDETTO XVI. Udienza del 2 maggio 2007
by pmartucci
Cari fratelli e sorelle,
nelle nostre meditazioni sulle grandi personalità della Chiesa antica, ne conosciamo oggi ad una delle più rilevanti. Origene alessandrino è realmente una delle personalità determinanti per tutto lo sviluppo del pensiero cristiano. Egli raccoglie l’eredità di Clemente alessandrino, su cui abbiamo parlato mercoledì scorso, e la rilancia verso il futuro in maniera talmente innovativa, da imprimere una svolta irreversibile allo sviluppo del pensiero cristiano. Fu un vero “maestro”, e così lo ricordavano con nostalgia e commozione i suoi allievi: non soltanto un brillante teologo, ma un testimone esemplare della dottrina che trasmetteva. “Egli insegnò”, scrive Eusebio di Cesarea, suo biografo entusiasta, “che la condotta deve corrispondere esattamente alla parola, e fu soprattutto per questo che, aiutato dalla grazia di Dio, indusse molti a imitarlo” (Hist. Eccl. 6,3,7).
Tutta la sua vita fu percorsa da un incessante anelito al martirio. Aveva diciassette anni quando, nel decimo anno dell’imperatore Settimio Severo, scoppiò ad Alessandria la persecuzione contro i cristiani. Clemente, suo maestro, abbandonò la città, e il padre di Origene, Leonide, venne gettato in carcere. Suo figlio bramava ardentemente il martirio, ma non poté realizzare questo desiderio. Allora scrisse al padre, esortandolo a non recedere dalla suprema testimonianza della fede. E quando Leonide venne decapitato, il piccolo Origene sentì che doveva accogliere l’esempio della sua vita. Quarant’anni più tardi, mentre predicava a Cesarea, uscì in questa confessione: “A nulla mi giova aver avuto un padre martire, se non tengo una buona condotta e non faccio onore alla nobiltà della mia stirpe, cioè al martirio di mio padre e alla testimonianza che l’ha reso illustre in Cristo” (Hom. Ez. 4,8). In un’omelia successiva – quando, grazie all’estrema tolleranza dell’imperatore Filippo l’Arabo, sembrava ormai sfumata l’eventualità di una testimonianza cruenta – Origene esclama: “Se Dio mi concedesse di essere lavato nel mio sangue, così da ricevere il secondo battesimo avendo accettato la morte per Cristo, mi allontanerei sicuro da questo mondo… Ma sono beati coloro che meritano queste cose” (Hom. Iud. 7,12). Queste espressioni rivelano tutta la nostalgia di Origene per il battesimo di sangue. E finalmente questo irresistibile anelito venne, almeno in parte, esaudito. Nel 250, durante la persecuzione di Decio, Origene fu arrestato e torturato crudelmente. Fiaccato dalle sofferenze subite, morì qualche anno dopo. Non aveva ancora settant’anni.
Abbiamo accennato a quella “svolta irreversibile” che Origene impresse alla storia della teologia e del pensiero cristiano. Ma in che cosa consiste questa “svolta”, questa novità così gravida di conseguenze? Essa corrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nella spiegazione delle Scritture.
Far teologia era per lui essenzialmente spiegare, comprendere la Scrittura; o potremmo anche dire che la sua teologia è la perfetta simbiosi tra teologia ed esegesi. In verità, la sigla propria della dottrina origeniana sembra risiedere appunto nell’incessante invito a passare dalla lettera allo spirito delle Scritture, per progredire nella conoscenza di Dio.
E questo cosiddetto “allegorismo”, ha scritto von Balthasar, coincide precisamente “con lo sviluppo del dogma cristiano operato dall’insegnamento dei dottori della Chiesa”, i quali – in un modo o nell’altro – hanno accolto la “lezione” di Origene. Così la tradizione e il magistero, fondamento e garanzia della ricerca teologica, giungono a configurarsi come “Scrittura in atto” (cfr Origene: il mondo, Cristo e la Chiesa, tr. it., Milano 1972, p. 43). Possiamo affermare perciò che il nucleo centrale dell’immensa opera letteraria di Origene consiste nella sua “triplice lettura” della Bibbia. Ma prima di illustrare questa “lettura” conviene dare uno sguardo complessivo alla produzione letteraria dell’Alessandrino. San Girolamo nella sua Epistola 33 elenca i titoli di 320 libri e di 310 omelie di Origene. Purtroppo la maggior parte di quest’opera è andata perduta, ma anche il poco che ne rimane fa di lui l’autore più prolifico dei primi tre secoli cristiani. Il suo raggio di interessi si estende dall’esegesi al dogma, alla filosofia, all’apologetica, all’ascetica e alla mistica. È una visione fondamentale e globale della vita cristiana.
Il nucleo ispiratore di quest’opera è, come abbiamo accennato, la “triplice lettura” delle Scritture sviluppata da Origene nell’arco della sua vita. Con questa espressione intendiamo alludere alle tre modalità più importanti – tra loro non successive, anzi più spesso sovrapposte – con le quali Origene si è dedicato allo studio delle Scritture. Anzitutto egli lesse la Bibbia con l’intento di accertarne al meglio il testo e di offrirne l’edizione più affidabile. Questo, ad esempio, è il primo passo: conoscere realmente che cosa sta scritto e conoscere che cosa questa scrittura voleva intenzionalmente e inizialmente dire. Ha fatto un grande studio a questo scopo ed ha redatto un’edizione della Bibbia con sei colonne parallele, da sinistra a destra, con il testo ebraico in caratteri ebraici — egli ha avuto anche contatti con i rabbini per capire bene il testo originale ebraico della Bibbia —, poi il testo ebraico traslitterato in caratteri greci e poi quattro traduzioni diverse in lingua greca, che gli permettevano di comparare le diverse possibilità di traduzione. Di qui il titolo di “Esapla” (“sei colonne”) attribuito a questa immane sinossi. Questo è il primo punto: conoscere esattamente che cosa sta scritto, il testo come tale. In secondo luogo Origene lesse sistematicamente la Bibbia con i suoi celebri Commentari. Essi riproducono fedelmente le spiegazioni che il maestro offriva durante la scuola, ad Alessandria come a Cesarea. Origene procede quasi versetto per versetto, in forma minuziosa, ampia e approfondita, con note di carattere filologico e dottrinale. Egli lavora con grande esattezza per conoscere bene che cosa volevano dire i sacri autori.
Infine, anche prima della sua ordinazione presbiterale, Origene si dedicò moltissimo alla predicazione della Bibbia, adattandosi a un pubblico variamente composito. In ogni caso, si avverte anche nelle sue Omelie il maestro, tutto dedito all’interpretazione sistematica della pericope in esame, via via frazionata nei successivi versetti. Anche nelle Omelie Origene coglie tutte le occasioni per richiamare le diverse dimensioni del senso della Sacra Scrittura, che aiutano o esprimono un cammino nella crescita della fede: c’è il senso “letterale”, ma esso nasconde profondità che non appaiono in un primo momento; la seconda dimensione è il senso “morale”: che cosa dobbiamo fare vivendo la parola; e infine il senso “spirituale”, cioè l’unità della Scrittura, che in tutto il suo sviluppo parla di Cristo. E’ lo Spirito Santo che ci fa capire il contenuto cristologico e così l’unità della Scrittura nella sua diversità. Sarebbe interessante mostrare questo. Un po’ ho tentato, nel mio libro «Gesù di Nazaret», di mostrare nella situazione di oggi queste molteplici dimensioni della Parola, della Sacra Scrittura, che prima deve essere rispettata proprio nel senso storico. Ma questo senso ci trascende verso Cristo, nella luce dello Spirito Santo, e ci mostra la via, come vivere. Se ne trova cenno, per esempio, nella nona Omelia sui Numeri, dove Origene paragona la Scrittura alle noci: “Così è la dottrina della Legge e dei Profeti alla scuola di Cristo”, afferma l’omileta; “amara è la lettera, che è come la scorza; in secondo luogo perverrai al guscio, che è la dottrina morale; in terzo luogo troverai il senso dei misteri, del quale si nutrono le anime dei santi nella vita presente e nella futura” (Hom. Num. 9,7).
Soprattutto per questa via Origene giunge a promuovere efficacemente la “lettura cristiana” dell’Antico Testamento, rintuzzando in maniera brillante la sfida di quegli eretici – soprattutto gnostici e marcioniti – che opponevano tra loro i due Testamenti fino a rigettare l’Antico. A questo proposito, nella medesima Omelia sui Numeri l’Alessandrino afferma: “Io non chiamo la Legge un ‘Antico Testamento’, se la comprendo nello Spirito. La Legge diventa un ‘Antico Testamento’ solo per quelli che vogliono comprenderla carnalmente”, cioè fermandosi alla lettera del testo. Ma “per noi, che la comprendiamo e l’applichiamo nello Spirito e nel senso del Vangelo, la Legge è sempre nuova, e i due Testamenti sono per noi un nuovo Testamento, non a causa della data temporale, ma della novità del senso… Invece, per il peccatore e per quelli che non rispettano il patto della carità, anche i Vangeli invecchiano” (Hom. Num. 9,4).
Vi invito – e così concludo – ad accogliere nel vostro cuore l’insegnamento di questo grande maestro nella fede. Egli ci ricorda con intimo trasporto che, nella lettura orante della Scrittura e nel coerente impegno della vita, la Chiesa sempre si rinnova e ringiovanisce. La Parola di Dio, che non invecchia mai, né mai si esaurisce, è mezzo privilegiato a tale scopo. E’ infatti la Parola di Dio che, per opera dello Spirito Santo, ci guida sempre di nuovo alla verità tutta intera (cfr Benedetto XVI, Ai partecipanti al Congresso Internazionale per il XL anniversario della Costituzione dogmatica «Dei Verbum», in: Insegnamenti, vol. I, 2005, pp. 552-553). E preghiamo il Signore che ci dia oggi pensatori, teologi, esegeti che trovano questa multidimensionalità, questa attualità permanente della Sacra Scrittura, la sua novità per oggi. Preghiamo che il Signore ci aiuti a leggere in modo orante la Sacra Scrittura, a nutrirci realmente del vero pane della vita, della sua Parola.
BENEDETTO XVI, Udienza del 25 aprile 2007
Benedetto XVI. I Padri della Chiesa. Origene alessandrino (2)
Cari fratelli e sorelle,
la catechesi di mercoledì scorso era dedicata alla grande figura di Origene, dottore alessandrino del II-III secolo. In quella catechesi abbiamo preso in considerazione la vita e la produzione letteraria del grande maestro alessandrino, individuando nella “triplice lettura” della Bibbia, da lui condotta, il nucleo animatore di tutta la sua opera. Ho lasciato da parte – per riprenderli oggi – due aspetti della dottrina origeniana, che considero tra i più importanti e attuali: intendo parlare dei suoi insegnamenti sulla preghiera e sulla Chiesa.
In verità Origene – autore di un importante e sempre attuale trattato Sulla preghiera – intreccia costantemente la sua produzione esegetica e teologica con esperienze e suggerimenti relativi all’orazione. Nonostante tutta la ricchezza teologica di pensiero, non è mai una trattazione puramente accademica; è sempre fondata sull’esperienza della preghiera, del contatto con Dio. A suo parere, infatti, l’intelligenza delle Scritture richiede, più ancora che lo studio, l’intimità con Cristo e la preghiera. Egli è convinto che la via privilegiata per conoscere Dio è l’amore, e che non si dia un’autentica scientia Christi senza innamorarsi di Lui. Nella Lettera a Gregorio Origene raccomanda: “Dedicati alla lectio delle divine Scritture; applicati a questo con perseveranza. Impegnati nella lectio con l’intenzione di credere e di piacere a Dio. Se durante la lectio ti trovi davanti a una porta chiusa, bussa e te l’aprirà quel custode, del quale Gesù ha detto: «Il guardiano gliela aprirà». Applicandoti così alla lectio divina, cerca con lealtà e fiducia incrollabile in Dio il senso delle Scritture divine, che in esse si cela con grande ampiezza. Non ti devi però accontentare di bussare e di cercare: per comprendere le cose di Dio ti è assolutamente necessaria l’oratio. Proprio per esortarci ad essa il Salvatore ci ha detto non soltanto: «Cercate e troverete», e «Bussate e vi sarà aperto», ma ha aggiunto: «Chiedete e riceverete»” (Ep. Gr. 4). Balza subito agli occhi il “ruolo primordiale” svolto da Origene nella storia della lectio divina. Il Vescovo Ambrogio di Milano – che imparerà a leggere le Scritture dalle opere di Origene – la introduce poi in Occidente, per consegnarla ad Agostino e alla tradizione monastica successiva.Come già abbiamo detto, il più alto livello della conoscenza di Dio, secondo Origene, scaturisce dall’amore. È così anche tra gli uomini: uno conosce realmente in profondità l’altro solo se c’è amore, se si aprono i cuori. Per dimostrare questo egli si fonda su un significato dato talvolta al verbo conoscere in ebraico, quando cioè viene utilizzato per esprimere l’atto dell’amore umano: “Adamo conobbe Eva, sua sposa, la quale concepì” (Gn. 4,1). Così viene suggerito che l’unione nell’amore procura la conoscenza più autentica. Come l’uomo e la donna sono “due in una sola carne”, così Dio e il credente diventano “due in uno stesso spirito”. In questo modo la preghiera dell’Alessandrino approda ai livelli più alti della mistica, come è attestato dalle sue Omelie sul Cantico dei Cantici. Viene a proposito un passaggio della prima Omelia, dove Origene confessa: “Spesso – Dio me ne è testimone – ho sentito che lo Sposo si accostava a me in massimo grado; dopo egli se ne andava all’improvviso, e io non potei trovare quello che cercavo. Nuovamente mi prende il desiderio della sua venuta, e talvolta egli torna, e quando mi è apparso, quando lo tengo tra le mani, ecco che ancora mi sfugge, e una volta che è svanito mi metto ancora a cercarlo…” (Hom. Cant. 1,7).
Torna alla mente ciò che il mio venerato Predecessore scriveva, da autentico testimone, nella Novo millennio ineunte, là dove egli mostrava ai fedeli “come la preghiera possa progredire, quale vero e proprio dialogo d’amore, fino a rendere la persona umana totalmente posseduta dall’Amato divino, vibrante al tocco dello Spirito, filialmente abbandonata nel cuore del Padre… Si tratta”, proseguiva Giovanni Paolo II, “di un cammino interamente sostenuto dalla grazia, che chiede tuttavia forte impegno spirituale e conosce anche dolorose purificazioni, ma che approda, in diverse forme possibili, all’indicibile gioia vissuta dai mistici come «unione sponsale»” (n. 33).
Veniamo, infine, a un insegnamento di Origene sulla Chiesa, e precisamente – all’interno di essa – sul sacerdozio comune dei fedeli. Infatti, come l’Alessandrino afferma nella sua nona Omelia sul Levitico, “questo discorso riguarda tutti noi” (Hom. Lev. 9,1). Nella medesima Omelia Origene – riferendosi al divieto fatto ad Aronne, dopo la morte dei suoi due figli, di entrare nel Sancta sanctorum “in qualunque tempo” (Lv 16,2) – così ammonisce i fedeli: “Da ciò si dimostra che se uno entra a qualunque ora nel santuario, senza la dovuta preparazione, non rivestito degli indumenti pontificali, senza aver preparato le offerte prescritte ed essersi reso Dio propizio, morirà… Questo discorso riguarda tutti noi. Ordina infatti che sappiamo come accedere all’altare di Dio. O non sai che anche a te, cioè a tutta la Chiesa di Dio e al popolo dei credenti, è stato conferito il sacerdozio? Ascolta come Pietro parla dei fedeli: ‘Stirpe eletta’, dice, ‘regale, sacerdotale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato’. Tu dunque hai il sacerdozio perché sei ‘stirpe sacerdotale’, e perciò devi offrire a Dio il sacrificio… Ma perché tu lo possa offrire degnamente, hai bisogno di indumenti puri e distinti dagli indumenti comuni agli altri uomini, e ti è necessario il fuoco divino” (ivi).
Così da una parte i “fianchi cinti” e gli “indumenti sacerdotali”, vale a dire la purezza e l’onestà della vita, dall’altra la “lucerna sempre accesa”, cioè la fede e la scienza delle Scritture, si configurano come le condizioni indispensabili per l’esercizio del sacerdozio universale, che esige purezza e onestà di vita, fede e scienza delle Scritture. A maggior ragione tali condizioni sono indispensabili, evidentemente, per l’esercizio del sacerdozio ministeriale. Queste condizioni – di integra condotta di vita, ma soprattutto di accoglienza e di studio della Parola – stabiliscono una vera e propria “gerarchia della santità” nel comune sacerdozio dei cristiani. Al vertice di questo cammino di perfezione Origene colloca il martirio. Sempre nella nona Omelia sul Levitico allude al “fuoco per l’olocausto”, cioè alla fede e alla scienza delle Scritture, che mai deve spegnersi sull’altare di chi esercita il sacerdozio. Poi aggiunge: “Ma ognuno di noi ha in sé” non soltanto il fuoco; ha “anche l’olocausto, e dal suo olocausto accende l’altare, perché arda sempre. Io, se rinuncio a tutto ciò che possiedo e prendo la mia croce e seguo Cristo, offro il mio olocausto sull’altare di Dio; e se consegnerò il mio corpo perché arda, avendo la carità, e conseguirò la gloria del martirio, offro il mio olocausto sull’altare di Dio” (Hom. Lev. 9,9).
Questo inesausto cammino di perfezione “riguarda tutti noi”, purché “lo sguardo del nostro cuore” sia rivolto alla contemplazione della Sapienza e della Verità, che è Gesù Cristo. Predicando sul discorso di Gesù a Nazaret – quando “gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui” (Lc 4,16-30) – Origene sembra rivolgersi proprio a noi: “Anche oggi, se lo volete, in questa assemblea i vostri occhi possono fissare il Salvatore. Quando infatti tu rivolgerai lo sguardo più profondo del cuore verso la contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio, allora i tuoi occhi vedranno Dio. Felice assemblea, quella di cui la Scrittura attesta che gli occhi di tutti erano fissi su di lui! Quanto desidererei che questa assemblea ricevesse una simile testimonianza, che gli occhi di tutti, dei non battezzati e dei fedeli, delle donne, degli uomini e dei fanciulli, non gli occhi del corpo, ma quelli dell’anima, guardassero Gesù! … Impressa su di noi è la luce del tuo volto, o Signore, a cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!” (Hom. Lc. 32,6).
BENEDETTO XVI. Udienza del 2 maggio 2007