ISACCO
Sommario:
Introduzione
Se abbiamo visto come Dio abbia, per così dire, impresso in Abramo il volto della sua paternità, la parola ricorrente infatti era "ti farò padre di molti popoli". L’esperienza di Isacco, a parte l’episodio conosciuto come il "sacrificio di Isacco", appare invece, a prima vista, priva di eventi significativi. Leggendo anche solo superficialmente i capitoli 21-35 di Genesi (quelli cioè che vanno dalla nascita alla morte di Isacco) ci si accorge facilmente che la vicenda di Isacco sembra essere senza struttura propria: ciò che lo riguarda viene narrato in funzione del padre Abramo o del figlio Giacobbe. Isacco fin dal principio si presenta come il figlio della promessa, consegnato a un progetto che lo supera.
Ma vediamo di addentrarci nei particolari.
Isacco: Motivo di lieto riso
Abbiamo già rilevato quale importanza abbia il nome di una persona e il suo significato nel mondo biblico. Ad Isacco - a differenza di Abramo e Giacobbe ai quali viene cambiato il nome - Dio stesso impone il nome.
Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?» […] E Dio disse: «No, Sara tua moglie ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco» (Gen 17,17.19).
Il nome del figlio della promessa si presenta come un paradosso.
La tradizione rabbinica individua nell’esperienza dei patriarchi il principio e il prototipo di ogni esperienza umana e, un midrash, accostando tre versetti della Genesi (cfr. per Abramo: Gen 24,1; per Isacco: Gen 27,1; per Giacobbe: Gen 48,1), afferma che "Abramo iniziò la vecchiaia, Isacco la sofferenza, Giacobbe la malattia" (Genesi Rabah 65,10). Paradossalmente, proprio a Isacco il cui nome proclama il sorriso di Dio, è toccato in sorte dare inizio all’esperienza umana della sofferenza. Egli infatti che doveva essere la primizia di una numerosa discendenza, rimase un figlio unico e generò a sua volta due soli figli, che peraltro, in quanto gemelli, furono l’unico parto della loro madre.
Isacco poi morirà cieco e la sua miopia, per la tradizione rabbinica, ebbe inizio il giorno stesso del sacrificio sul monte Moria, allorché fu abbagliato dalla luce che si rifletteva sulla lama del coltello del padre. Colui che doveva aprire la via ad una sconfinata discendenza con fatica vedeva a un passo da sé, tanto che una volta vecchio scambiò i figli dando la benedizione della primogenitura a Giacobbe, il minore.
Tutto in Isacco rimanda ad altro, egli è come un dito puntato verso un oltre della storia che è già presente, ma non è ancora visibile e pienamente realizzato.
Egli unigenito di Abramo esprime la passione di Dio Padre per l’uomo, talmente grande da dare il suo Figlio, il suo unico Figlio, Gesù.
Nei capitoli precedenti il sacrificio sul monte Moria, si trovano continue allusioni al significato del nome Isacco, attraverso giochi di parole (Oltre ai passi citati si confronti anche Gen 21,9 e nota di riferimento Isacco scherza (ride) con Ismaele e Gen 26,8 in cui Isacco scherza con Rebecca) che hanno la funzione di sottolineare un contrasto, un paradosso.
L’annuncio della sua nascita scatena il riso di Abramo, come abbiamo visto, e quello ironico di Sara, nascosta dietro le tende, alle querce di Mamre (Gen 18,12). A questo riso un po’ incredulo fa eco il sorriso di Dio che proclama come nulla sia a lui impossibile:
Ma il Signore disse: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualcosa di impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò:«Non ho riso!», perché aveva paura; ma quegli disse: «Sì, hai proprio riso» (Gen 18,13-15).
Alla nascita del figlio sarà la stessa madre a sottolineare il significato del nome del bimbo: Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. […] Allora Sara disse: « Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà di me!» (Gen 21, 3. 6.).
Il nome Isacco sembra essere la forma abbreviata della frase ”Dio ha sorriso, si è mostrato favorevole”. Il nome del bimbo esprime dunque il carattere irrevocabile della promessa divina: Dio sarà favorevole perché quel figlio è il sorriso di Dio per l’umanità, un sorriso che risplende al di là e al di sopra della chiusura e dell’incredulità umana.
Fonte: www.culturacattolica.it/cultura/sacra-scrittura-studi/isacco-motivo-di-lieto-riso#ampshare=https://www.culturacattolica.it/cultura/sacra-scrittura-studi/isacco-motivo-di-lieto-riso
Se abbiamo visto come Dio abbia, per così dire, impresso in Abramo il volto della sua paternità, la parola ricorrente infatti era "ti farò padre di molti popoli". L’esperienza di Isacco, a parte l’episodio conosciuto come il "sacrificio di Isacco", appare invece, a prima vista, priva di eventi significativi. Leggendo anche solo superficialmente i capitoli 21-35 di Genesi (quelli cioè che vanno dalla nascita alla morte di Isacco) ci si accorge facilmente che la vicenda di Isacco sembra essere senza struttura propria: ciò che lo riguarda viene narrato in funzione del padre Abramo o del figlio Giacobbe. Isacco fin dal principio si presenta come il figlio della promessa, consegnato a un progetto che lo supera.
Ma vediamo di addentrarci nei particolari.
Isacco: Motivo di lieto riso
Abbiamo già rilevato quale importanza abbia il nome di una persona e il suo significato nel mondo biblico. Ad Isacco - a differenza di Abramo e Giacobbe ai quali viene cambiato il nome - Dio stesso impone il nome.
Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?» […] E Dio disse: «No, Sara tua moglie ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco» (Gen 17,17.19).
Il nome del figlio della promessa si presenta come un paradosso.
La tradizione rabbinica individua nell’esperienza dei patriarchi il principio e il prototipo di ogni esperienza umana e, un midrash, accostando tre versetti della Genesi (cfr. per Abramo: Gen 24,1; per Isacco: Gen 27,1; per Giacobbe: Gen 48,1), afferma che "Abramo iniziò la vecchiaia, Isacco la sofferenza, Giacobbe la malattia" (Genesi Rabah 65,10). Paradossalmente, proprio a Isacco il cui nome proclama il sorriso di Dio, è toccato in sorte dare inizio all’esperienza umana della sofferenza. Egli infatti che doveva essere la primizia di una numerosa discendenza, rimase un figlio unico e generò a sua volta due soli figli, che peraltro, in quanto gemelli, furono l’unico parto della loro madre.
Isacco poi morirà cieco e la sua miopia, per la tradizione rabbinica, ebbe inizio il giorno stesso del sacrificio sul monte Moria, allorché fu abbagliato dalla luce che si rifletteva sulla lama del coltello del padre. Colui che doveva aprire la via ad una sconfinata discendenza con fatica vedeva a un passo da sé, tanto che una volta vecchio scambiò i figli dando la benedizione della primogenitura a Giacobbe, il minore.
Tutto in Isacco rimanda ad altro, egli è come un dito puntato verso un oltre della storia che è già presente, ma non è ancora visibile e pienamente realizzato.
Egli unigenito di Abramo esprime la passione di Dio Padre per l’uomo, talmente grande da dare il suo Figlio, il suo unico Figlio, Gesù.
Nei capitoli precedenti il sacrificio sul monte Moria, si trovano continue allusioni al significato del nome Isacco, attraverso giochi di parole (Oltre ai passi citati si confronti anche Gen 21,9 e nota di riferimento Isacco scherza (ride) con Ismaele e Gen 26,8 in cui Isacco scherza con Rebecca) che hanno la funzione di sottolineare un contrasto, un paradosso.
L’annuncio della sua nascita scatena il riso di Abramo, come abbiamo visto, e quello ironico di Sara, nascosta dietro le tende, alle querce di Mamre (Gen 18,12). A questo riso un po’ incredulo fa eco il sorriso di Dio che proclama come nulla sia a lui impossibile:
Ma il Signore disse: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualcosa di impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò:«Non ho riso!», perché aveva paura; ma quegli disse: «Sì, hai proprio riso» (Gen 18,13-15).
Alla nascita del figlio sarà la stessa madre a sottolineare il significato del nome del bimbo: Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. […] Allora Sara disse: « Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà di me!» (Gen 21, 3. 6.).
Il nome Isacco sembra essere la forma abbreviata della frase ”Dio ha sorriso, si è mostrato favorevole”. Il nome del bimbo esprime dunque il carattere irrevocabile della promessa divina: Dio sarà favorevole perché quel figlio è il sorriso di Dio per l’umanità, un sorriso che risplende al di là e al di sopra della chiusura e dell’incredulità umana.
Fonte: www.culturacattolica.it/cultura/sacra-scrittura-studi/isacco-motivo-di-lieto-riso#ampshare=https://www.culturacattolica.it/cultura/sacra-scrittura-studi/isacco-motivo-di-lieto-riso
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Isacco il Patriarca (יִצְחָק, Yitzchak, "Egli ride\riderà";[1] in greco: Ἰσαάκ Isaak, in arabo: إسحاق ʾIsḥāq) (Bersabea - Mamre) è un personaggio della Bibbia, uno dei grandi patriarchi; è il figlio di Abramo e Sara. La sua vita è narrata nel libro della Genesi (Genesi 15-35). Nell'Islam è chiamato Ishāq, e la sua vita è narrata nel Corano. Il suo nome ("egli riderà" o "egli ha riso"), proviene dalla reazione di sua madre Sara all'udire la profezia della sua nascita: ella era assai anziana ed era sterile. È venerato come santo da tutte le chiese cristiane che ammettono il culto dei santi, ed è assai riverito anche nella religione ebraica e in quella islamica.
Racconto biblico
Venne circonciso otto giorni dopo la nascita e proclamato il solo legittimo progenitore del popolo eletto. Trascorse i suoi primi anni a Bersabea; qui, suo padre lo portò sopra un monte nel territorio di Moria per sacrificarlo al Signore che in seguito ad una esplicita richiesta voleva mettere alla prova la sua fede[2], (Gen. 22). Vista la grande fede di Abramo, il racconto biblico narra che Dio risparmiò invece la vita di Isacco. Questo episodio è stato ripreso innumerevoli volte nell'arte (vedi ad esempio Rembrandt oppure, Andrea del Sarto, Caravaggio e Andrea Mantegna) e nella letteratura.
Isacco sposò Rebecca, la figlia di Bethuel, che suo padre mandò a prendere in Mesopotamia, la propria terra di origine. Il matrimonio ebbe luogo nel "paese del sud" dove Isacco viveva e continuò ad abitare dopo aver accompagnato Ismaele a seppellire il corpo di Abramo nella grotta di Macpela, di fronte alla città di Hebron. Da Rebecca ebbe due gemelli, Esaù, il suo favorito e Giacobbe, il favorito di Rebecca.
La siccità e la carestia costrinsero Isacco a dirigersi in Egitto, ma, ispirato dal Signore, si fermò a Gerar presso Abimelech re dei Filistei. Temendo che la bellezza della moglie gli procurasse l'invidia di quella gente e che qualcuno arrivasse ad ucciderlo pur di possederla, fece passare Rebecca per sua sorella. Tuttavia Abimelech li vide in intimità e scoprì l'inganno; pur esprimendo a Isacco il suo rammarico per la scarsa fiducia dimostratagli gli assicurò la sua protezione. I Filistei comunque, invidiosi della prosperità di Isacco, iniziarono a perseguitarlo. Dopo una paziente resistenza, i patriarchi ebrei decisero di ritornare a Bersabea. Lì, Isacco ebbe una nuova visione dal Signore, dopo la quale strinse una solenne alleanza con Abimelech.
Durante gli ultimi anni della vita di Isacco, egli ormai cieco conferì la benedizione a suo figlio Giacobbe invece che al prevedibile Esaù per uno scambio avvenuto tra i due fratelli, del quale sua moglie Rebecca era al corrente, seguito dalla promessa di Isacco di proteggere Giacobbe dal risentimento del fratello e di assicurargli una moglie in Mesopotamia. Dopo il ritorno di Giacobbe, Isacco morì a Mambre, all'età di 180 anni e fu seppellito dai suoi figli nella Grotta di Macpela.
Significato del personaggio
La figura di Isacco è meno problematica di quella di suo padre Abramo. La sua pacatezza e la sua fede nella guida di Dio lo resero un degno erede delle gloriose promesse fatte ad Abramo. Fu essenzialmente un uomo di pace.
Isacco il Patriarca (יִצְחָק, Yitzchak, "Egli ride\riderà";[1] in greco: Ἰσαάκ Isaak, in arabo: إسحاق ʾIsḥāq) (Bersabea - Mamre) è un personaggio della Bibbia, uno dei grandi patriarchi; è il figlio di Abramo e Sara. La sua vita è narrata nel libro della Genesi (Genesi 15-35). Nell'Islam è chiamato Ishāq, e la sua vita è narrata nel Corano. Il suo nome ("egli riderà" o "egli ha riso"), proviene dalla reazione di sua madre Sara all'udire la profezia della sua nascita: ella era assai anziana ed era sterile. È venerato come santo da tutte le chiese cristiane che ammettono il culto dei santi, ed è assai riverito anche nella religione ebraica e in quella islamica.
Racconto biblico
Venne circonciso otto giorni dopo la nascita e proclamato il solo legittimo progenitore del popolo eletto. Trascorse i suoi primi anni a Bersabea; qui, suo padre lo portò sopra un monte nel territorio di Moria per sacrificarlo al Signore che in seguito ad una esplicita richiesta voleva mettere alla prova la sua fede[2], (Gen. 22). Vista la grande fede di Abramo, il racconto biblico narra che Dio risparmiò invece la vita di Isacco. Questo episodio è stato ripreso innumerevoli volte nell'arte (vedi ad esempio Rembrandt oppure, Andrea del Sarto, Caravaggio e Andrea Mantegna) e nella letteratura.
Isacco sposò Rebecca, la figlia di Bethuel, che suo padre mandò a prendere in Mesopotamia, la propria terra di origine. Il matrimonio ebbe luogo nel "paese del sud" dove Isacco viveva e continuò ad abitare dopo aver accompagnato Ismaele a seppellire il corpo di Abramo nella grotta di Macpela, di fronte alla città di Hebron. Da Rebecca ebbe due gemelli, Esaù, il suo favorito e Giacobbe, il favorito di Rebecca.
La siccità e la carestia costrinsero Isacco a dirigersi in Egitto, ma, ispirato dal Signore, si fermò a Gerar presso Abimelech re dei Filistei. Temendo che la bellezza della moglie gli procurasse l'invidia di quella gente e che qualcuno arrivasse ad ucciderlo pur di possederla, fece passare Rebecca per sua sorella. Tuttavia Abimelech li vide in intimità e scoprì l'inganno; pur esprimendo a Isacco il suo rammarico per la scarsa fiducia dimostratagli gli assicurò la sua protezione. I Filistei comunque, invidiosi della prosperità di Isacco, iniziarono a perseguitarlo. Dopo una paziente resistenza, i patriarchi ebrei decisero di ritornare a Bersabea. Lì, Isacco ebbe una nuova visione dal Signore, dopo la quale strinse una solenne alleanza con Abimelech.
Durante gli ultimi anni della vita di Isacco, egli ormai cieco conferì la benedizione a suo figlio Giacobbe invece che al prevedibile Esaù per uno scambio avvenuto tra i due fratelli, del quale sua moglie Rebecca era al corrente, seguito dalla promessa di Isacco di proteggere Giacobbe dal risentimento del fratello e di assicurargli una moglie in Mesopotamia. Dopo il ritorno di Giacobbe, Isacco morì a Mambre, all'età di 180 anni e fu seppellito dai suoi figli nella Grotta di Macpela.
Significato del personaggio
La figura di Isacco è meno problematica di quella di suo padre Abramo. La sua pacatezza e la sua fede nella guida di Dio lo resero un degno erede delle gloriose promesse fatte ad Abramo. Fu essenzialmente un uomo di pace.
Esegesi ebraica
Isacco rappresenta la Sefirah Ghevurah: il sacrificio viene infatti considerato episodio di rigore divino, esso avvenne infatti nel giorno poi celebrato dagli Ebrei con Rosh haShanah. Isacco non lasciò mai la Terra d'Israele.
Quando avvenne la prova del sacrificio Isacco aveva 37 anni infatti egli non venne obbligato o forzato ma, dopo che si accorse di stare per essere sacrificato, accettò la volontà divina consapevole che suo padre Avraham non avrebbe fatto ciò con cattiva inclinazione.
La prova del sacrificio, di cui Avraham ed Isacco ebbero consapevolezza solo quando Dio lo ordinò loro quasi poco prima che avvenisse e non ancora quando si stavano dirigendo verso il monte Moriah, venne superata poiché Dio verificò il manifestato timore di Avraham verso di Lui e l'accettazione del giogo del Regno divino di entrambi; anche lo Zohar insegna che nell'episodio del sacrificio Isacco morì comunque, non per mano di Avraham né per missione di un angelo ma per il bacio di Dio, e che in seguito resuscitò ricevendo un'anima messianica.
Avraham ferí la gola di Isacco prima di essere avvertito da Dio tramite l'angelo: in seguito Isacco venne curato dal Gan Eden ma la guarigione completa richiese molto tempo.
In campo ebraico ci si chiede il motivo della vita molto silenziosa del padre Isacco: alcuni pensano che sia data dal trauma subito al momento del sacrificio, altri pensano sia dovuto a qualche altra "mancanza" di Isacco.
Secondo un'opinione rabbinica Isacco divenne cieco per le lacrime degli angeli versate sui suoi occhi al momento della prova del sacrificio; secondo un'altra Dio rese cieco Isacco affinché confondesse Giacobbe con Esaù e così impartisse al primo la benedizione principale: infatti Dio non volle rivelare la reale natura malvagia di Esaù ad Isacco per evitare di compiere maldicenza.
Isacco venne considerato continuatore ed erede principale della discendenza di Avraham tanto da essere sottoposto immediatamente al Brit milah all'ottavo giorno dalla sua nascita: Ismaele infatti si vantava di aver ricevuto la Milah al tredicesimo anno dimostrando con ciò di averla accettata ma Isacco rispose dicendo che, se Ismaele osava vantarsi per una sua sola parte, per la prova del sacrificio lui stesso poteva onorarsi con tutto il corpo per essere stato un 'olah completo.
Dio rese Avraham ed Isacco perfettamente somiglianti attraverso un miracolo malgrado possedessero qualità spirituali differenti, ciò per testimoniare che Isacco era certamente figlio di Avraham e Sara, sebbene avuto in età avanzata, contro ogni maldicenza.
Il Talmud insegna: nei giorni a venire sarà detto ad Isacco: "tu sei il nostro padre" (Shabbat 89b).
Giacobbe ed Edom, Essav, fecero un accordo spirituale anche in nome del loro padre Isacco ma, soprattutto per volere del secondo, non riguardo ad Avraham, detto dal popolo ebraico Avraham Avinu, Avraham nostro padre o Avraham nostro Patriarca.
Quando nacque Isacco, tutti furono nella gioia: il Cielo e la Terra, il sole e la luna, le stelle e gli astri (Bereshit Rabbah LIII, 8; Tanhumà Toledot 2).
Riferimenti nel Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento contiene pochi ma significativi riferimenti a Isacco (v. Matteo 8,11; Luca 20,37; Atti 7,8; Romani 9,7; Galati 4,28; Ebrei 11,17-20; Giacomo 2,21).
Culto
Il Martirologio romano fissa la memoria liturgica il 25 marzo.
Altri riferimenti
Altre leggende e dettagli sulla vita di Isacco sono riscontrabili nel Talmud e altri scritti rabbinici.
Note:
Vedi altro su: http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/PATISACa.htm
Isacco rappresenta la Sefirah Ghevurah: il sacrificio viene infatti considerato episodio di rigore divino, esso avvenne infatti nel giorno poi celebrato dagli Ebrei con Rosh haShanah. Isacco non lasciò mai la Terra d'Israele.
Quando avvenne la prova del sacrificio Isacco aveva 37 anni infatti egli non venne obbligato o forzato ma, dopo che si accorse di stare per essere sacrificato, accettò la volontà divina consapevole che suo padre Avraham non avrebbe fatto ciò con cattiva inclinazione.
La prova del sacrificio, di cui Avraham ed Isacco ebbero consapevolezza solo quando Dio lo ordinò loro quasi poco prima che avvenisse e non ancora quando si stavano dirigendo verso il monte Moriah, venne superata poiché Dio verificò il manifestato timore di Avraham verso di Lui e l'accettazione del giogo del Regno divino di entrambi; anche lo Zohar insegna che nell'episodio del sacrificio Isacco morì comunque, non per mano di Avraham né per missione di un angelo ma per il bacio di Dio, e che in seguito resuscitò ricevendo un'anima messianica.
Avraham ferí la gola di Isacco prima di essere avvertito da Dio tramite l'angelo: in seguito Isacco venne curato dal Gan Eden ma la guarigione completa richiese molto tempo.
In campo ebraico ci si chiede il motivo della vita molto silenziosa del padre Isacco: alcuni pensano che sia data dal trauma subito al momento del sacrificio, altri pensano sia dovuto a qualche altra "mancanza" di Isacco.
Secondo un'opinione rabbinica Isacco divenne cieco per le lacrime degli angeli versate sui suoi occhi al momento della prova del sacrificio; secondo un'altra Dio rese cieco Isacco affinché confondesse Giacobbe con Esaù e così impartisse al primo la benedizione principale: infatti Dio non volle rivelare la reale natura malvagia di Esaù ad Isacco per evitare di compiere maldicenza.
Isacco venne considerato continuatore ed erede principale della discendenza di Avraham tanto da essere sottoposto immediatamente al Brit milah all'ottavo giorno dalla sua nascita: Ismaele infatti si vantava di aver ricevuto la Milah al tredicesimo anno dimostrando con ciò di averla accettata ma Isacco rispose dicendo che, se Ismaele osava vantarsi per una sua sola parte, per la prova del sacrificio lui stesso poteva onorarsi con tutto il corpo per essere stato un 'olah completo.
Dio rese Avraham ed Isacco perfettamente somiglianti attraverso un miracolo malgrado possedessero qualità spirituali differenti, ciò per testimoniare che Isacco era certamente figlio di Avraham e Sara, sebbene avuto in età avanzata, contro ogni maldicenza.
Il Talmud insegna: nei giorni a venire sarà detto ad Isacco: "tu sei il nostro padre" (Shabbat 89b).
Giacobbe ed Edom, Essav, fecero un accordo spirituale anche in nome del loro padre Isacco ma, soprattutto per volere del secondo, non riguardo ad Avraham, detto dal popolo ebraico Avraham Avinu, Avraham nostro padre o Avraham nostro Patriarca.
Quando nacque Isacco, tutti furono nella gioia: il Cielo e la Terra, il sole e la luna, le stelle e gli astri (Bereshit Rabbah LIII, 8; Tanhumà Toledot 2).
Riferimenti nel Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento contiene pochi ma significativi riferimenti a Isacco (v. Matteo 8,11; Luca 20,37; Atti 7,8; Romani 9,7; Galati 4,28; Ebrei 11,17-20; Giacomo 2,21).
Culto
Il Martirologio romano fissa la memoria liturgica il 25 marzo.
Altri riferimenti
Altre leggende e dettagli sulla vita di Isacco sono riscontrabili nel Talmud e altri scritti rabbinici.
Note:
- ^ James Strong (cur.), Strong's Concordance, ss.vv.: "Isaac", "Isaac's", 3327 יִצְחָק 3446, 2464.
- ^ Nella tradizione islamica, al posto di Isacco, viene considerato suo fratello Ismaele come vittima sacrificale di Abramo. Ismaele era figlio della schiava Hāgar e fu il progenitore delle tribù arabe.
Vedi altro su: http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/PATISACa.htm
ISACCO
(Parziamente tratto da: BIBLIOTECA ON LINE Wathtower
L’unico figlio che Abramo ebbe da sua moglie Sara, quindi importante anello della discendenza che avrebbe portato a Cristo. (1Cr 1,28-34; Mt 1,1-2; Lc 3,34) Dopo che Isacco fu svezzato, fu sul punto di essere immolato forse a 25 anni, si sposò a 40, diventò padre di due gemelli a 60, e morì all’età di 180 anni. — Gen 21,2-8; 22,2; 25,20-26; 35,28.
La nascita di Isacco avvenne in circostanze assai insolite. Sia il padre che la madre erano molto anziani; la madre da tempo aveva smesso di avere le mestruazioni. (Gen 18,11) Perciò quando Dio disse ad Abramo che Sara avrebbe avuto un figlio, egli rise a tale prospettiva, dicendo: “Nascerà un figlio a un uomo di cento anni, e Sara, sì, una donna di novant’anni, partorirà?” (Gen 17,17) Saputo cosa doveva accadere, anche Sara rise. (Vedi RIDERE). Ma l’anno dopo, “al tempo fissato”, il figlio nacque davvero, dimostrando che non c’è nulla di “troppo straordinario per Dio (YHWH)”. (Gen 18,9-15) Allora Sara esclamò: “Dio ha preparato per me di che ridere”, e aggiunse: “Chiunque lo udrà riderà di me”. Perciò, come aveva detto il Signore, il bambino fu giustamente chiamato Isacco, che significa “risata”. — Gen 21,1-7; 17,19.
Facendo parte della casa di Abramo ed essendo erede delle promesse, l’ottavo giorno Isacco fu circonciso. — Gen 17,9-14. 19; 21,4; At 7,8; Gal 4,28.
Quando Isacco fu svezzato.
Il giorno in cui Isacco venne svezzato Abramo preparò un gran convito. Fu a quanto pare in quell’occasione che Sara notò che Ismaele “si prendeva gioco” del fratellastro minore Isacco. (Gen 21,8-9) Alcune traduzioni dicono che Ismaele semplicemente “giocava” con Isacco, nel senso di un gioco da bambini. Ma il termine ebraico tsachàq può avere anche un significato offensivo. Infatti in altri versetti in cui ricorre lo stesso termine (Gen 19,14; 39,14-17) queste stesse versioni lo traducono “scherzare“, “farsi beffe”, o “offendere“.
In Genesi 21,9 certi Targumim, come pure la Pescitta siriaca, attribuiscono alle espressioni di Ismaele il senso di “deridere”. Riguardo a tsachàq, nel suo commentario biblico, J. M. Fuller Cook afferma: “In questo passo, secondo l’opinione comune, ha probabilmente il senso di ‘risata di scherno’. Mentre per Isacco Abramo aveva riso di gioia e Sara di incredulità, ora Ismaele ride in segno di scherno, probabilmente manifestando uno spirito persecutorio e dispotico”. A dissipare qualsiasi dubbio, l’apostolo Paolo spiega chiaramente e sotto ispirazione che il comportamento di Ismaele nei confronti di Isacco non era un gioco da bambini ma una vera e propria afflizione o persecuzione. (Gal 4,29) Alcuni commentatori pensano che l’insistenza di Sara — “il figlio di questa schiava non sarà erede con mio figlio, con Isacco!” (Gen 21,10) — indichi che Ismaele (di quattordici anni maggiore di Isacco) si lagnava e scherniva Isacco forse riguardo all’eredità.
Il Signore aveva detto ad Abramo che come residente forestiero il suo seme sarebbe stato afflitto per 400 anni, afflizione che terminò con la liberazione di Israele dall’Egitto (Gen 15,13; At 7,6). La sua nascita quindi, segnò l’inizio dei 450 anni menzionati in Atti 13,17-20, che terminarono quando si concluse la campagna di Giosuè in Canaan e il paese fu suddiviso fra le varie tribù.
(Parziamente tratto da: BIBLIOTECA ON LINE Wathtower
L’unico figlio che Abramo ebbe da sua moglie Sara, quindi importante anello della discendenza che avrebbe portato a Cristo. (1Cr 1,28-34; Mt 1,1-2; Lc 3,34) Dopo che Isacco fu svezzato, fu sul punto di essere immolato forse a 25 anni, si sposò a 40, diventò padre di due gemelli a 60, e morì all’età di 180 anni. — Gen 21,2-8; 22,2; 25,20-26; 35,28.
La nascita di Isacco avvenne in circostanze assai insolite. Sia il padre che la madre erano molto anziani; la madre da tempo aveva smesso di avere le mestruazioni. (Gen 18,11) Perciò quando Dio disse ad Abramo che Sara avrebbe avuto un figlio, egli rise a tale prospettiva, dicendo: “Nascerà un figlio a un uomo di cento anni, e Sara, sì, una donna di novant’anni, partorirà?” (Gen 17,17) Saputo cosa doveva accadere, anche Sara rise. (Vedi RIDERE). Ma l’anno dopo, “al tempo fissato”, il figlio nacque davvero, dimostrando che non c’è nulla di “troppo straordinario per Dio (YHWH)”. (Gen 18,9-15) Allora Sara esclamò: “Dio ha preparato per me di che ridere”, e aggiunse: “Chiunque lo udrà riderà di me”. Perciò, come aveva detto il Signore, il bambino fu giustamente chiamato Isacco, che significa “risata”. — Gen 21,1-7; 17,19.
Facendo parte della casa di Abramo ed essendo erede delle promesse, l’ottavo giorno Isacco fu circonciso. — Gen 17,9-14. 19; 21,4; At 7,8; Gal 4,28.
Quando Isacco fu svezzato.
Il giorno in cui Isacco venne svezzato Abramo preparò un gran convito. Fu a quanto pare in quell’occasione che Sara notò che Ismaele “si prendeva gioco” del fratellastro minore Isacco. (Gen 21,8-9) Alcune traduzioni dicono che Ismaele semplicemente “giocava” con Isacco, nel senso di un gioco da bambini. Ma il termine ebraico tsachàq può avere anche un significato offensivo. Infatti in altri versetti in cui ricorre lo stesso termine (Gen 19,14; 39,14-17) queste stesse versioni lo traducono “scherzare“, “farsi beffe”, o “offendere“.
In Genesi 21,9 certi Targumim, come pure la Pescitta siriaca, attribuiscono alle espressioni di Ismaele il senso di “deridere”. Riguardo a tsachàq, nel suo commentario biblico, J. M. Fuller Cook afferma: “In questo passo, secondo l’opinione comune, ha probabilmente il senso di ‘risata di scherno’. Mentre per Isacco Abramo aveva riso di gioia e Sara di incredulità, ora Ismaele ride in segno di scherno, probabilmente manifestando uno spirito persecutorio e dispotico”. A dissipare qualsiasi dubbio, l’apostolo Paolo spiega chiaramente e sotto ispirazione che il comportamento di Ismaele nei confronti di Isacco non era un gioco da bambini ma una vera e propria afflizione o persecuzione. (Gal 4,29) Alcuni commentatori pensano che l’insistenza di Sara — “il figlio di questa schiava non sarà erede con mio figlio, con Isacco!” (Gen 21,10) — indichi che Ismaele (di quattordici anni maggiore di Isacco) si lagnava e scherniva Isacco forse riguardo all’eredità.
Il Signore aveva detto ad Abramo che come residente forestiero il suo seme sarebbe stato afflitto per 400 anni, afflizione che terminò con la liberazione di Israele dall’Egitto (Gen 15,13; At 7,6). La sua nascita quindi, segnò l’inizio dei 450 anni menzionati in Atti 13,17-20, che terminarono quando si concluse la campagna di Giosuè in Canaan e il paese fu suddiviso fra le varie tribù.
Pronto a farsi sacrificare.
Dopo il suo svezzamento, non viene più detto nulla dell’infanzia di Isacco. Si parla di nuovo di lui quando Dio dice a suo padre Abramo: “Abramo!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va' nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. (Gen 22,1-2) Dopo tre giorni di viaggio essi giunsero nel luogo designato da Dio. Isacco portava la legna, suo padre il fuoco e il coltello per scannare. “ma dov'è l'agnello per l'olocausto?”, chiese Isacco. “Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!”, fu la risposta. — Gen 22,3-14.
Dopo il suo svezzamento, non viene più detto nulla dell’infanzia di Isacco. Si parla di nuovo di lui quando Dio dice a suo padre Abramo: “Abramo!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va' nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. (Gen 22,1-2) Dopo tre giorni di viaggio essi giunsero nel luogo designato da Dio. Isacco portava la legna, suo padre il fuoco e il coltello per scannare. “ma dov'è l'agnello per l'olocausto?”, chiese Isacco. “Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!”, fu la risposta. — Gen 22,3-14.
Giunti sul posto, costruirono un altare e sistemarono la legna. Poi Isacco fu legato mani e piedi e deposto sopra la legna. Come Abramo alzò il coltello, l’angelo del Signore gli fermò la mano. La fede di Abramo non era stata malriposta; il Signore provvide un montone, rimasto impigliato con le corna in un cespuglio, che poté essere offerto in olocausto al posto di Isacco. (Gen 22,9-14) Quindi Abramo, riconoscendo “che Dio poteva risuscitarlo anche dai morti”, riebbe Isacco dai morti “come simbolo”. — Eb 11,17-19.
Questo episodio drammatico dimostrò la fede e l’ubbidienza non solo di Abramo, ma anche di suo figlio Isacco. Secondo una tradizione ebraica, tramandata da Giuseppe Flavio, Isacco a quel tempo aveva 25 anni. Ad ogni modo era abbastanza grande e abbastanza forte da portare su una montagna una considerevole quantità di legna. Perciò se avesse voluto ribellarsi ai comandamenti del Signore, quando venne il momento di essere legato avrebbe potuto resistere al padre, che aveva 125 anni. (Antichità giudaiche, I, 227 [xiii, 2] …. ed egli solo col figlio proseguì verso il monte sul quale il re David eresse il tempio. | Portavano con sé tutte le cose necessarie al sacrificio, eccetto la vittima. Isacco, che aveva venticinque anni, eretto l'altare, domandò che cosa avrebbero offerto, dato che non c'era la vittima. Il padre rispose che Dio avrebbe provvisto per loro, poiché Egli ha il potere di dare agli uomini in abbondanza quanto essi non hanno, e di privare di quanto hanno coloro che si sentono sicuri per quanto posseggono: Egli perciò gli provvederà anche la vittima, se onorerà con la Sua presenza il suo sacrificio.) Invece Isacco lasciò docilmente che il padre si accingesse a sacrificarlo secondo la volontà di Dio. Per questa manifestazione di fede da parte di Abramo, il Signore ripeté e ampliò il patto stipulato con lui, e poi lo ripeté personalmente a Isacco dopo la morte del padre. — Gen 22,15-18; 26,1-5; Rm 9,7; Gc 2,21.
Cosa ancor più importante, quello fu un grande quadro profetico, che indicava come Cristo Gesù, il più grande Isacco, a suo tempo avrebbe deposto volontariamente la sua vita umana quale Agnello di Dio per la salvezza del genere umano. — Gv 1,29-36; 3,16.
Matrimonio e famiglia di Isacco.
Dopo la morte di Sara, Abramo concluse che era tempo che suo figlio Isacco si sposasse. Però egli era fermamente deciso che Isacco non doveva sposare una cananea pagana. Perciò, secondo l’usanza patriarcale, mandò un servitore fidato dai suoi parenti in Mesopotamia a cercare una donna d’origine semitica che adorasse il Signore (YHWH) il dio di Abramo. — Gen 24,1-9.
La missione non poteva che avere successo, poiché fin dall’inizio la scelta fu interamente messa nelle mani di Dio. Rebecca, cugina di Isacco, mostrò di essere la donna prescelta da Dio e lasciò volontariamente la famiglia e i parenti per unirsi alla carovana che tornava nel Negheb dove risiedeva Isacco. La Bibbia descrive il primo incontro dei due e aggiunge: “Dopo ciò Isacco la condusse nella tenda di Sara sua madre. Prese così Rebecca ed essa divenne sua moglie; e si innamorò di lei, e Isacco trovò conforto dopo la perdita di sua madre”. (Gen 24,10-67) Isacco quando si sposò aveva 40 anni — Gen 25,20.
Dalla storia di Isacco apprendiamo che Rebecca rimase sterile per 20 anni. Questo permise a Isacco di dimostrare se anche lui, come suo padre, avesse fede nella promessa di Dio, di benedire cioè tutte le famiglie della terra per mezzo di un seme non ancora nato, ed egli lo dimostrò continuando a implorare il SIgnore di dargli un figlio. (Gen 25,19-21) Come era avvenuto nel suo caso, ancora una volta fu evidente che il seme della promessa non sarebbe venuto seguendo il normale corso degli avvenimenti, ma solo grazie al potente intervento di Dio. (Gs 24,3-4) Finalmente Isacco, all’età di 60 anni, fu doppiamente benedetto con la nascita dei gemelli Esaù e Giacobbe. — Gen 25,22-26.
A motivo di una carestia, Isacco trasferì la famiglia a Gherar in territorio filisteo, poiché Dio gli aveva detto di non andare in Egitto. In quell’occasione il Signore confermò il suo proposito di adempiere la promessa Fatta ad Abramo per mezzo di Isacco, ripetendola: “Renderò la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e concederò alla tua discendenza tutti questi territori: tutte le nazioni della terra si diranno benedette nella tua discendenza”. — Gen 26,1-6; Sal 105,8-9.
In quel paese filisteo non troppo amichevole, Isacco, come suo padre Abramo, usò la stessa strategia del padre, dichiarando che la moglie era sua sorella. Dopo un po’ la benedizione del Signore su Isacco suscitò l’invidia dei filistei, costringendolo a trasferirsi, prima nella valle del torrente di Gherar, e poi a Beer-Seba, al confine dell’arida regione del Negheb. Mentre Isacco era lì, i filistei che un tempo gli furono ostili vennero per fare “un giuramento di obbligo” o un trattato di pace con lui, riconoscendo che era “benedetto dal Signore”. In quel luogo gli uomini di Isacco trovarono l’acqua, ed egli lo chiamò Siba. “Per questo il nome della città è Beer-Seba [che significa “pozzo del giuramento; o, pozzo di sette”], fino a questo giorno”. — Gen 26,7-33.
Isacco aveva sempre voluto bene a Esaù, perché questi amava la vita all’aria aperta, era un cacciatore e un uomo dei campi che gli procurava cacciagione. (Gen 25,28) Quindi, poiché gli si indeboliva la vista e sentiva che non gli rimaneva molto da vivere, Isacco si accinse a impartire a Esaù la benedizione del primogenito. (Gen 27,1-4) La Bibbia non ci dice se egli ignorasse il fatto che Esaù aveva venduto la primogenitura a suo fratello Giacobbe, e se non ricordasse che alla nascita dei due bambini Dio aveva decretato che ‘il maggiore avrebbe servito il minore’. (Gen 25,23. 29-34) Comunque il Signore (YHWH) se ne ricordava, e anche Rebecca, che prontamente dispose le cose in modo che fosse Giacobbe a ricevere la benedizione. Quando Isacco seppe dello stratagemma a cui erano ricorsi, rifiutò di cambiare ciò che senza dubbio era avvenuto per volontà di Dio. Isacco inoltre profetizzò che Esaù e i suoi discendenti si sarebbero stabiliti lontano dai campi fertili, sarebbero vissuti della loro spada, e infine si sarebbero sottratti al giogo di servitù a Giacobbe. — Gen 27,5-40; Rm 9,10-13; vedi ESAÙ.
Poi Isacco mandò Giacobbe in Paddan-Aram per assicurarsi che non sposasse una cananea, come aveva fatto invece suo fratello Esaù con grande dispiacere dei genitori. Quando Giacobbe tornò parecchi anni dopo, Isacco risiedeva a Kiriat-Arba, vale a dire Ebron, sulle colline. Là, l’anno prima che suo nipote Giuseppe diventasse primo ministro d’Egitto, Isacco morì all’età di 180 anni, “vecchio e sazio di giorni”. Fu sepolto nella caverna di Macpela dove erano stati sepolti i suoi genitori e la moglie, e dove in seguito fu sepolto anche Giacobbe. — Gen 26,34-35; 27,46; 28,1-5; 35,27-29; 49,29-32.
Altri importanti riferimenti a Isacco.
In tutta la Bibbia Isacco è menzionato decine di volte nella nota espressione ‘Abramo, Isacco e Giacobbe’, a volte per sottolineare che il Signore era quel Dio che quei patriarchi adoravano e servivano. (Es 3,6, 16; 4,5; Mt 22,32; At 3,13) Altre volte il riferimento è al patto che il Signore aveva fatto con loro. (Es 2,24; Dt 29,13; 2Re 13,23) Gesù usò questa espressione in senso illustrativo. (Mt 8,11) In un parallelismo il patriarca Isacco è menzionato insieme ai suoi discendenti, la nazione d’Israele. — Am 7,9, 16.
Essendo il seme di Abramo, Isacco fu una figura di Cristo, per mezzo del quale si hanno benedizioni eterne. Infatti è scritto: “Ora le promesse furono fatte ad Abramo e al suo seme. Non dice: ‘E ai semi’, come nel caso di molti, ma come nel caso di uno solo: ‘E al tuo seme’, che è Cristo”. E in senso lato Isacco fu anche una figura di quelli che ‘appartengono a Cristo’, i quali sono “realmente seme di Abramo, eredi secondo la promessa”. (Gal 3,16-29) Inoltre i due ragazzi, Isacco e Ismaele, insieme alle rispettive madri, rappresentavano “un dramma simbolico”. Mentre l’Israele naturale (come Ismaele) “fu effettivamente generato secondo la carne”, quelli che costituiscono l’Israele spirituale sono “figli appartenenti alla promessa, come lo fu Isacco”. — Gal 4,21-31.
Anche Isacco è incluso nella “grande moltitudine di testimoni che ci circondano”, poiché anch’egli “aspettava la città che ha reali fondamenta, il cui edificatore e costruttore è Dio”. — Eb 12,1; 11,9-10. 13-20.
Questo episodio drammatico dimostrò la fede e l’ubbidienza non solo di Abramo, ma anche di suo figlio Isacco. Secondo una tradizione ebraica, tramandata da Giuseppe Flavio, Isacco a quel tempo aveva 25 anni. Ad ogni modo era abbastanza grande e abbastanza forte da portare su una montagna una considerevole quantità di legna. Perciò se avesse voluto ribellarsi ai comandamenti del Signore, quando venne il momento di essere legato avrebbe potuto resistere al padre, che aveva 125 anni. (Antichità giudaiche, I, 227 [xiii, 2] …. ed egli solo col figlio proseguì verso il monte sul quale il re David eresse il tempio. | Portavano con sé tutte le cose necessarie al sacrificio, eccetto la vittima. Isacco, che aveva venticinque anni, eretto l'altare, domandò che cosa avrebbero offerto, dato che non c'era la vittima. Il padre rispose che Dio avrebbe provvisto per loro, poiché Egli ha il potere di dare agli uomini in abbondanza quanto essi non hanno, e di privare di quanto hanno coloro che si sentono sicuri per quanto posseggono: Egli perciò gli provvederà anche la vittima, se onorerà con la Sua presenza il suo sacrificio.) Invece Isacco lasciò docilmente che il padre si accingesse a sacrificarlo secondo la volontà di Dio. Per questa manifestazione di fede da parte di Abramo, il Signore ripeté e ampliò il patto stipulato con lui, e poi lo ripeté personalmente a Isacco dopo la morte del padre. — Gen 22,15-18; 26,1-5; Rm 9,7; Gc 2,21.
Cosa ancor più importante, quello fu un grande quadro profetico, che indicava come Cristo Gesù, il più grande Isacco, a suo tempo avrebbe deposto volontariamente la sua vita umana quale Agnello di Dio per la salvezza del genere umano. — Gv 1,29-36; 3,16.
Matrimonio e famiglia di Isacco.
Dopo la morte di Sara, Abramo concluse che era tempo che suo figlio Isacco si sposasse. Però egli era fermamente deciso che Isacco non doveva sposare una cananea pagana. Perciò, secondo l’usanza patriarcale, mandò un servitore fidato dai suoi parenti in Mesopotamia a cercare una donna d’origine semitica che adorasse il Signore (YHWH) il dio di Abramo. — Gen 24,1-9.
La missione non poteva che avere successo, poiché fin dall’inizio la scelta fu interamente messa nelle mani di Dio. Rebecca, cugina di Isacco, mostrò di essere la donna prescelta da Dio e lasciò volontariamente la famiglia e i parenti per unirsi alla carovana che tornava nel Negheb dove risiedeva Isacco. La Bibbia descrive il primo incontro dei due e aggiunge: “Dopo ciò Isacco la condusse nella tenda di Sara sua madre. Prese così Rebecca ed essa divenne sua moglie; e si innamorò di lei, e Isacco trovò conforto dopo la perdita di sua madre”. (Gen 24,10-67) Isacco quando si sposò aveva 40 anni — Gen 25,20.
Dalla storia di Isacco apprendiamo che Rebecca rimase sterile per 20 anni. Questo permise a Isacco di dimostrare se anche lui, come suo padre, avesse fede nella promessa di Dio, di benedire cioè tutte le famiglie della terra per mezzo di un seme non ancora nato, ed egli lo dimostrò continuando a implorare il SIgnore di dargli un figlio. (Gen 25,19-21) Come era avvenuto nel suo caso, ancora una volta fu evidente che il seme della promessa non sarebbe venuto seguendo il normale corso degli avvenimenti, ma solo grazie al potente intervento di Dio. (Gs 24,3-4) Finalmente Isacco, all’età di 60 anni, fu doppiamente benedetto con la nascita dei gemelli Esaù e Giacobbe. — Gen 25,22-26.
A motivo di una carestia, Isacco trasferì la famiglia a Gherar in territorio filisteo, poiché Dio gli aveva detto di non andare in Egitto. In quell’occasione il Signore confermò il suo proposito di adempiere la promessa Fatta ad Abramo per mezzo di Isacco, ripetendola: “Renderò la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e concederò alla tua discendenza tutti questi territori: tutte le nazioni della terra si diranno benedette nella tua discendenza”. — Gen 26,1-6; Sal 105,8-9.
In quel paese filisteo non troppo amichevole, Isacco, come suo padre Abramo, usò la stessa strategia del padre, dichiarando che la moglie era sua sorella. Dopo un po’ la benedizione del Signore su Isacco suscitò l’invidia dei filistei, costringendolo a trasferirsi, prima nella valle del torrente di Gherar, e poi a Beer-Seba, al confine dell’arida regione del Negheb. Mentre Isacco era lì, i filistei che un tempo gli furono ostili vennero per fare “un giuramento di obbligo” o un trattato di pace con lui, riconoscendo che era “benedetto dal Signore”. In quel luogo gli uomini di Isacco trovarono l’acqua, ed egli lo chiamò Siba. “Per questo il nome della città è Beer-Seba [che significa “pozzo del giuramento; o, pozzo di sette”], fino a questo giorno”. — Gen 26,7-33.
Isacco aveva sempre voluto bene a Esaù, perché questi amava la vita all’aria aperta, era un cacciatore e un uomo dei campi che gli procurava cacciagione. (Gen 25,28) Quindi, poiché gli si indeboliva la vista e sentiva che non gli rimaneva molto da vivere, Isacco si accinse a impartire a Esaù la benedizione del primogenito. (Gen 27,1-4) La Bibbia non ci dice se egli ignorasse il fatto che Esaù aveva venduto la primogenitura a suo fratello Giacobbe, e se non ricordasse che alla nascita dei due bambini Dio aveva decretato che ‘il maggiore avrebbe servito il minore’. (Gen 25,23. 29-34) Comunque il Signore (YHWH) se ne ricordava, e anche Rebecca, che prontamente dispose le cose in modo che fosse Giacobbe a ricevere la benedizione. Quando Isacco seppe dello stratagemma a cui erano ricorsi, rifiutò di cambiare ciò che senza dubbio era avvenuto per volontà di Dio. Isacco inoltre profetizzò che Esaù e i suoi discendenti si sarebbero stabiliti lontano dai campi fertili, sarebbero vissuti della loro spada, e infine si sarebbero sottratti al giogo di servitù a Giacobbe. — Gen 27,5-40; Rm 9,10-13; vedi ESAÙ.
Poi Isacco mandò Giacobbe in Paddan-Aram per assicurarsi che non sposasse una cananea, come aveva fatto invece suo fratello Esaù con grande dispiacere dei genitori. Quando Giacobbe tornò parecchi anni dopo, Isacco risiedeva a Kiriat-Arba, vale a dire Ebron, sulle colline. Là, l’anno prima che suo nipote Giuseppe diventasse primo ministro d’Egitto, Isacco morì all’età di 180 anni, “vecchio e sazio di giorni”. Fu sepolto nella caverna di Macpela dove erano stati sepolti i suoi genitori e la moglie, e dove in seguito fu sepolto anche Giacobbe. — Gen 26,34-35; 27,46; 28,1-5; 35,27-29; 49,29-32.
Altri importanti riferimenti a Isacco.
In tutta la Bibbia Isacco è menzionato decine di volte nella nota espressione ‘Abramo, Isacco e Giacobbe’, a volte per sottolineare che il Signore era quel Dio che quei patriarchi adoravano e servivano. (Es 3,6, 16; 4,5; Mt 22,32; At 3,13) Altre volte il riferimento è al patto che il Signore aveva fatto con loro. (Es 2,24; Dt 29,13; 2Re 13,23) Gesù usò questa espressione in senso illustrativo. (Mt 8,11) In un parallelismo il patriarca Isacco è menzionato insieme ai suoi discendenti, la nazione d’Israele. — Am 7,9, 16.
Essendo il seme di Abramo, Isacco fu una figura di Cristo, per mezzo del quale si hanno benedizioni eterne. Infatti è scritto: “Ora le promesse furono fatte ad Abramo e al suo seme. Non dice: ‘E ai semi’, come nel caso di molti, ma come nel caso di uno solo: ‘E al tuo seme’, che è Cristo”. E in senso lato Isacco fu anche una figura di quelli che ‘appartengono a Cristo’, i quali sono “realmente seme di Abramo, eredi secondo la promessa”. (Gal 3,16-29) Inoltre i due ragazzi, Isacco e Ismaele, insieme alle rispettive madri, rappresentavano “un dramma simbolico”. Mentre l’Israele naturale (come Ismaele) “fu effettivamente generato secondo la carne”, quelli che costituiscono l’Israele spirituale sono “figli appartenenti alla promessa, come lo fu Isacco”. — Gal 4,21-31.
Anche Isacco è incluso nella “grande moltitudine di testimoni che ci circondano”, poiché anch’egli “aspettava la città che ha reali fondamenta, il cui edificatore e costruttore è Dio”. — Eb 12,1; 11,9-10. 13-20.
"La 'Akedah di Isacco" (La legatura o sacrificio)
La ’Aqedah
Autore: Riva, Sr. Maria Gloria
Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
L’episodio del monte Moria rappresenta il punto centrale dell’esperienza religiosa di Abramo e dello stesso Isacco ed è significativo notare come a partire da questo punto ogni riferimento al nome ammutolisca (fatta eccezione di un accenno velato nell’episodio di Isacco e Rebecca del cap. 26).
La tradizione ebraica chiama il sacrificio di Isacco aqedah termine derivato dall’espressione "Abramo legò (wajj’aqod) Isacco" (Gen. 22, 9) Un termine che vuole indicare l’assoluta consegna che Isacco fece di sé a Dio, aderendo al gesto che su di lui il padre stava per compiere.
Isacco domandò al padre: «Dov’è l’agnello per l’olocausto?» Abramo rispose: «Il Signore provvederà». Isacco tremò perché comprese l’intenzione del padre. Tuttavia si fece forza e disse al padre suo: «Se è vero che il Santo, benedetto Egli sia, mi ha scelto, allora la mia anima è donata a lui». E Isacco stesso si legò volontariamente (Midrash ai Salmi 116,6).
Lasciandosi legare indissolubilmente a Dio dal padre Abramo, egli legò con sé ogni figlio di Abramo, erede secondo la promessa. In Israele dunque la forza della ’aqedah supera i secoli e giunge ad ogni membro del popolo in ogni tempo:
«Il mio cuore - dice Abramo - non è stato combattuto quando mi hai detto che dovevo sacrificare il mio figlio Isacco, che dovevo farlo polvere e cenere davanti a te… E ora quando i suoi figli si trovano nella tribolazione ricordati della ’aqedah del loro padre Isacco, ascolta la voce della loro preghiera e rispondi ad essi e salvali da ogni tribolazione» (Targum Neofiti a Gn. 22, 14). Ed è proprio in relazione a questi figli di Abramo che appare nella Scrittura, per l’ultima volta, l’allusione al significato del nome Isacco, anche se in modo molto velato, ed è sulle labbra di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Abramo vostro padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv. 8,56).
Ma quando Abramo vide il giorno del figlio dell’uomo, il giorno del Messia e se ne rallegrò? Non alla nascita di Isacco, bensì nel momento del mancato sacrificio sul monte Moria. Dopo l’intervento dell’angelo infatti Abramo chiamò quel luogo: Qui il Signore fu visto. Sì qui fu vista la salvezza, qui Abramo vide che "Dio è favorevole" cioè vide il vero Isacco, il figlio generato non dalla carne ma dalla fede, da Dio stesso.
Nella Genesi, sulle labbra del figlio di Isacco, Giacobbe, appare un’espressione che ricorre soltanto due volte in tutta la scrittura e all’interno del medesimo capitolo: il titolo divino di "Terrore di Isacco", come traduce la CEI: [Giacobbe disse]: «Se non fosse stato con me il Dio di mio padre, il Dio di Abramo, e il Terrore di Isacco…» (Gn 31, 42). Il significato più corretto (derivato dall’arabo e dal palmireno) di questa espressione sembra essere: Genitore di Isacco. Padre di Isacco è Dio stesso, segno di un altro Figlio. Sul monte Moria Abramo visse il giorno del Figlio, preludio certo al giorno di Gesù.
E' in questo giorno che Abramo diviene padre di moltitudini, perché a partire da questo evento Isacco non è più figlio suo, ma è appunto, figlio della fede. E' un simbolo come scrive l’autore della lettera agli ebrei: Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo (Eb 11, 17-19).
L’unico figlio che Abramo offre è già il volto dell’Unigenito figlio di Dio, che come ebbe a dire Paolo (Rom 8,32), Dio non ha esitato a dare per amore nostro. Se da un lato Isacco è l’uomo che si lega, si consegna a Dio senza riserve, dall’altro è però anche il segno della consegna che Dio fa di se stesso all’uomo.
Racconta un midrash che mentre Isacco si legò volontariamente all’altare del sacrificio e Abramo si accingeva a compiere il sacrificio, il Signore vide come fosse uguale il cuore dei due: sgorgavano lacrime dagli occhi di Abramo e le lacrime cadevano su Isacco legato. Isacco piangeva e le sue lacrime cadevano sulla legna che era tutta bagnata. Tutta la creazione piangeva. Poi Abramo prese il coltello per immolare il figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò e disse: «Abramo, Abramo! ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo figlio, il tuo unico figlio!».
Il cuore del padre e il cuore del figlio che sono uniti nell’offerta del sacrificio sono l’immagine viva, sigillata nella storia, di un altro Padre che è unito al Figlio nel sacrificio supremo della croce.
Pubblicato giovedì 13 dicembre 2007
Autore: Riva, Sr. Maria Gloria
Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
L’episodio del monte Moria rappresenta il punto centrale dell’esperienza religiosa di Abramo e dello stesso Isacco ed è significativo notare come a partire da questo punto ogni riferimento al nome ammutolisca (fatta eccezione di un accenno velato nell’episodio di Isacco e Rebecca del cap. 26).
La tradizione ebraica chiama il sacrificio di Isacco aqedah termine derivato dall’espressione "Abramo legò (wajj’aqod) Isacco" (Gen. 22, 9) Un termine che vuole indicare l’assoluta consegna che Isacco fece di sé a Dio, aderendo al gesto che su di lui il padre stava per compiere.
Isacco domandò al padre: «Dov’è l’agnello per l’olocausto?» Abramo rispose: «Il Signore provvederà». Isacco tremò perché comprese l’intenzione del padre. Tuttavia si fece forza e disse al padre suo: «Se è vero che il Santo, benedetto Egli sia, mi ha scelto, allora la mia anima è donata a lui». E Isacco stesso si legò volontariamente (Midrash ai Salmi 116,6).
Lasciandosi legare indissolubilmente a Dio dal padre Abramo, egli legò con sé ogni figlio di Abramo, erede secondo la promessa. In Israele dunque la forza della ’aqedah supera i secoli e giunge ad ogni membro del popolo in ogni tempo:
«Il mio cuore - dice Abramo - non è stato combattuto quando mi hai detto che dovevo sacrificare il mio figlio Isacco, che dovevo farlo polvere e cenere davanti a te… E ora quando i suoi figli si trovano nella tribolazione ricordati della ’aqedah del loro padre Isacco, ascolta la voce della loro preghiera e rispondi ad essi e salvali da ogni tribolazione» (Targum Neofiti a Gn. 22, 14). Ed è proprio in relazione a questi figli di Abramo che appare nella Scrittura, per l’ultima volta, l’allusione al significato del nome Isacco, anche se in modo molto velato, ed è sulle labbra di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Abramo vostro padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv. 8,56).
Ma quando Abramo vide il giorno del figlio dell’uomo, il giorno del Messia e se ne rallegrò? Non alla nascita di Isacco, bensì nel momento del mancato sacrificio sul monte Moria. Dopo l’intervento dell’angelo infatti Abramo chiamò quel luogo: Qui il Signore fu visto. Sì qui fu vista la salvezza, qui Abramo vide che "Dio è favorevole" cioè vide il vero Isacco, il figlio generato non dalla carne ma dalla fede, da Dio stesso.
Nella Genesi, sulle labbra del figlio di Isacco, Giacobbe, appare un’espressione che ricorre soltanto due volte in tutta la scrittura e all’interno del medesimo capitolo: il titolo divino di "Terrore di Isacco", come traduce la CEI: [Giacobbe disse]: «Se non fosse stato con me il Dio di mio padre, il Dio di Abramo, e il Terrore di Isacco…» (Gn 31, 42). Il significato più corretto (derivato dall’arabo e dal palmireno) di questa espressione sembra essere: Genitore di Isacco. Padre di Isacco è Dio stesso, segno di un altro Figlio. Sul monte Moria Abramo visse il giorno del Figlio, preludio certo al giorno di Gesù.
E' in questo giorno che Abramo diviene padre di moltitudini, perché a partire da questo evento Isacco non è più figlio suo, ma è appunto, figlio della fede. E' un simbolo come scrive l’autore della lettera agli ebrei: Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo (Eb 11, 17-19).
L’unico figlio che Abramo offre è già il volto dell’Unigenito figlio di Dio, che come ebbe a dire Paolo (Rom 8,32), Dio non ha esitato a dare per amore nostro. Se da un lato Isacco è l’uomo che si lega, si consegna a Dio senza riserve, dall’altro è però anche il segno della consegna che Dio fa di se stesso all’uomo.
Racconta un midrash che mentre Isacco si legò volontariamente all’altare del sacrificio e Abramo si accingeva a compiere il sacrificio, il Signore vide come fosse uguale il cuore dei due: sgorgavano lacrime dagli occhi di Abramo e le lacrime cadevano su Isacco legato. Isacco piangeva e le sue lacrime cadevano sulla legna che era tutta bagnata. Tutta la creazione piangeva. Poi Abramo prese il coltello per immolare il figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò e disse: «Abramo, Abramo! ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo figlio, il tuo unico figlio!».
Il cuore del padre e il cuore del figlio che sono uniti nell’offerta del sacrificio sono l’immagine viva, sigillata nella storia, di un altro Padre che è unito al Figlio nel sacrificio supremo della croce.
Pubblicato giovedì 13 dicembre 2007
'Akedah: Interpretazione ebraica
Comunità Ebraica Beth Hillel Roma
Pubblicato il 27 settembre 2013
“La cicatrice di Isacco”
Sermone di Rav Joel Oseran
Rosh Hashana, 5 settembre 2013
ROMA, ITALIA
Genesi 22, versetti 1-18; forse uno dei passaggi più coinvolgenti e famosi di tutta la Torah. Ha perfino un suo nome – l’Akedah – la Legatura; come se non servisse aggiungere altri dettagli; come se il nome di Isacco fosse superfluo. La Legatura, un episodio riletto ogni anno in occasione di Rosh Hashana – nel secondo giorno per le congregazioni che osservano 2 giorni di Rosh Hashana, oppure nel primo giorno per la maggior parte delle congregazioni Riformiste/Progressive. La Legatura – la giustificazione per eccellenza della leggendaria qualifica di Abramo: “Uomo di Fede”.
I rabbini hanno glorificato l’Akedah, utilizzandola nel corso del tempo come l’esempio sommo di come noi mortali possiamo dimostrare il nostro amore e la nostra obbedienza nei confronti di Dio.
Dio chiama – Abramo obbedisce. “Hinneni” dice Abramo, sono qui – sono pronto. E Dio continua – “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio, quello che ami (più di Ismaele, il tuo altro figlio, come spiegano i rabbini) e vai nel territorio di Moria dove lo offrirai in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Abramo è tanto ansioso di ottemperare la mitzvah, il comandamento (come ci spiegano i rabbini) da alzarsi di buon mattino – senza fare domande – e mettersi in viaggio. Non pone nessuna domanda prima di mettersi in cammino. E nel caso qualcuno pensasse che Abramo stia agendo di istinto, le Scritture ci dicono che viaggiò per tre interi giorni prima di giungere a destinazione.
E se avessimo bisogno di ulteriori prove dello zelo di Abramo nel soddisfare il comandamento di Dio, i rabbini spiegano che quando Abramo impugnò il coltello per compiere il sacrificio di suo figlio, l’angelo di Dio dovette chiamarlo per ben due volte prima che Abramo si fermasse.
Perché Abramo pensò: “Dio mi ha comandato di sacrificare mio figlio e solamente Dio può convincermi a interrompere ora questo sacrificio”. Ecco quindi la seconda chiamata – quella di Dio stesso.
Questa è l’interpretazione più comune dell’Akedah, ed è il motivo per cui tradizionalmente leggiamo questo passaggio in occasione di Rosh Hashana – quale modo migliore per insegnare al Popolo come onorare Dio? Quale migliore esempio di fede di quella di Abramo?
Forse è così… ma l’ebraismo, come ben sappiamo, non si è mai accontentato di poggiare solamente sull’opinione condivisa dalla maggioranza. La voce della minoranza viene solitamente conservata nei nostri testi vicino a quella della maggioranza. E perciò, in questo spirito, ascoltiamo anche la voce della minoranza questa mattina. Proviamo a rileggere insieme di nuovo l’Akedah, in un modo che, mi auguro, possa arricchire la nostra considerazione di questo testo, del suo significato e dell’importanza per noi in questa mattina di Rosh Hashana.
Forse la sfida più diretta che può essere lanciata riguardo questa storia consiste nel mettere in discussione l’interpretazione fondamentale di questo passaggio – ossia l’ipotesi che questo racconto termini con un lieto fine – che la vita di Isacco sia risparmiata e che il Popolo Ebraico prosegua oggi sotto la sua autorità patriarcale in stabilità e in rinnovata fede in Dio.
Ma forse questa potrebbe essere una lettura errata di questo passaggio. Il finale del racconto è davvero un lieto fine oppure è profondamente tragico? La vita di Isacco è stata realmente risparmiata? Oppure, in un certo senso, il danno maggiore è stato già fatto quando Isacco giace legato sull’altare con quel coltello pronto a compiere il sacrificio?
Probabilmente Abramo ha superato la prova cosmica che era chiamato ad affrontare, ma così facendo ha fallito miseramente come padre – perdendo una volta per sempre l’amore e la fiducia di suo figlio Isacco. Perché quel giorno sull’altare Isacco rimase così profondamente e irrimediabilmente spaventato, così impaurito, che anche la sua psiche subì un danno permanente e indelebile.
Questo, amici miei, vuole essere l’oggetto del mio sermone questa mattina – “La cicatrice di Isacco”. La cicatrice che segna un ragazzo costretto a vivere l’incubo di 3 lunghi giorni senza parlare con suo padre – fatta eccezione per una frasetta accorata – un padre irrevocabilmente deciso ad offrire la vita del proprio figlio a un Dio che quel ragazzo non aveva ancora avuto modo di conoscere, amare o temere.
Quale importanza può avere… può essere considerato un elemento realmente discriminante il fatto che Abramo abbia o non abbia abbassato il coltello che impugnava? Non è comunque morto qualcosa nel cuore di Isacco quel giorno?
È questa la cicatrice su cui dobbiamo concentrare il nostro sguardo stamattina. La cicatrice che, insieme all’alleanza con Dio, è stata trasmessa di generazione in generazione.
La cicatrice che, insieme all’alleanza, ha toccato e formato le vite dei figli e dei nipoti di Isacco, di tutti i componenti della sua famiglia fino forse a noi tutti.
La cicatrice di Isacco – dove conduce? Dove finisce?
Ripercorriamo brevemente la vita di Isacco a partire dal momento finale del racconto di Akedah che leggiamo oggi. Nel passaggio seguente della Torah leggiamo il racconto della morte di sua madre. Alcuni rabbini suggeriscono che Sara sia morta in effetti perché pensava che Isacco sarebbe stato realmente sacrificato. Sara muore senza un addio, senza fare pace con suo figlio. E non è scritto se Isacco abbia mai preso parte al funerale della madre.
Leggiamo poi l’episodio di Isacco che trova moglie. Di come Eliezer, il fedele servitore di famiglia, venga inviato alla terra nativa della famiglia, Aram Naharam, affinché trovi una moglie appropriata per Isacco. Quale donna cattura la sua attenzione? Rebecca, con la sua grande forza di volontà e la sua personalità dominante, sì, perfino manipolatrice – Rebecca.
In modo molto intelligente, il testo della Torah sembra suggerirci che Rebecca sia destinata a diventare la figura materna che Isacco non ha mai avuto compiutamente. Leggiamo in Genesi 24:67:
“Isacco la condusse (Rebecca) nella tenda di sua madre Sara – e prese Rebecca come sua moglie – Isacco l’amò e così fu consolato dopo la morte di sua madre”.
Forse la “cicatrice” dell’Akedah può aiutarci a comprendere la relazione che intercorre fra Isacco e sua moglie/madre Rebecca. Forse la “cicatrice” può anche spiegare meglio le problematiche e turbolente relazioni familiari fra gli stessi figli e nipoti di Isacco.
Prendiamo innanzitutto Isacco – figlio di genitori già anziani – che non ha mai compreso fino in fondo la natura dell’essere genitori, del condividere amore e accettazione. E come potremmo pretenderlo da lui? E poi consideriamo i due figli di Isacco – Esaù e Giacobbe; così diversi, così impegnativi per i genitori.
Ricordiamo le esperienze vissute da Isacco in gioventù – quando vide suo padre e sua madre scacciare il suo fratellastro Ismaele, destinato a morire in una landa selvaggia. E poi l’Akedah, un altro momento in cui la morte di un figlio è destinata a essere sancita da un genitore. Isacco si sarà certamente chiesto: ma come mai i genitori vogliono la morte dei propri figli?
Poi leggiamo di come Esaù e Giacobbe, nati come bambini quasi inseparabili, si siano allontanati sempre più con il passare degli anni. Di come Isacco preferisse Esaù il cacciatore – e di come Rebecca amasse di più Giacobbe, il figlio passivo, prediletto della mamma. Prediletto della mamma, ma anche assai scaltro.
Forse è legata alla cicatrice di Isacco la tragica battaglia che i suoi due figli hanno combattuto per aggiudicarsi i favori del padre? Un padre sul cui amore i due figli non hanno saputo o potuto fare affidamento? Un padre che non era in grado letteralmente di vederli – quindi di distinguerli, di apprezzare le loro individualità, la loro rispettiva unicità?
I rabbini suggeriscono un’ipotesi meravigliosa per spiegare la debole vista di Isacco. Quando era steso sull’altare del sacrificio, gli angeli iniziarono a piangere. La lacrima di un angelo cadde sul coltello di Abramo e lo trasformò in piombo. Altre lacrime finirono negli occhi di Isacco – aiutandolo forse a non vedere un momento tanto drammatico, ma indebolendo di certo la sua vista per il resto della vita.
Un messaggio molto sottile – che ci suggerisce come l’esperienza dell’Akedah abbia accompagnato Isacco per tutta la vita – abbassando la sua vista e modellando la natura delle sue relazioni familiari future. La cicatrice di Isacco – trasmessa anche ai figli di Isacco.
E continuiamo a esaminare gli effetti di questa cicatrice. Possiamo ritrovare l’inganno e il tradimento di Abramo, trasmesso come abbiamo visto ai suoi figli, anche nel comportamento dei suoi nipoti e pronipoti? Leggendo i passaggi relativi a Giacobbe e ai suoi figli, come possiamo non vedere questa trasmissione dell’inganno e del tradimento appresi dalle generazioni precedenti?
Come possiamo non vedere come i figli di Giacobbe apprendano l’arte dell’inganno e del tradimento – la vendita di Giuseppe e l’inganno della sua morte?
Inganno, frode, persecuzione da parte dei propri cari. Sono queste le cicatrici che vengono trasmesse di generazione in generazione da parte dei nostri illustri antenati.
Ma forse mi sono spinto troppo oltre, direte. Non è più l’opinione di una minoranza, questa è blasfemia! Perché tratta così male la nostra prima famiglia? Ha forse dimenticato la nobile Alleanza, …………., stipulata da Abramo e trasmessa a Isacco, Giacobbe, via via fino ai giorni nostri? Ha dimenticato le virtù dei nostri patriarchi e matriarche – la loro guida sicura del Popolo verso la Terra Promessa?
No miei cari amici, non ho dimenticato l’Alleanza, né i grandi pregi dei nostri antenati. Ma apprendo dalla Torah che l’eredità della nostra famiglia è tutt’altro che semplice e univoca. Gli stessi meravigliosi patriarchi e matriarche che nella loro grandezza ci hanno donato l’Alleanza, nella loro imperfetta umanità ci hanno lasciato anche la cicatrice di Isacco.
Forse la nostra Torah ci sta insegnando che, senza sminuire i tesori e i doni che abbiamo ereditato dai nostri genitori, nonni, e antenati delle generazioni precedenti, e continuando a onorare la nostra alleanza con loro, dobbiamo pur sempre riconoscere le cicatrici di Isacco in ciascuna delle nostre famiglie che si sono fatte strada di generazione in generazione fino a questo momento – a questo giorno di Rosh Hashana.
È ora il momento, proprio quando sediamo insieme come famiglia e amici. Ora siamo chiamati a esaminare la nostra natura interiore come esseri umani – legati al passato – immaginando un futuro. Guardiamo a fondo nelle nostre anime – seguiamo una chiamata che porterà alla legatura dei nostri cari? Non sembra forse sempre che siano proprio le persone a noi più vicine, quelle di cui abbiamo maggiore bisogno, le persone che riusciamo a ferire più a fondo?
È questa la chiamata di Rosh Hashana – l’eredità della legatura di Isacco, dell’Akedah.
Dall’Akedah apprendiamo che non è necessario arrivare a sacrificare un figlio per ferirlo e marchiarlo per sempre. Non è necessario dire a un bambino che non è amato perché lui sappia che non è amato. Non è necessario abbandonare un genitore negli ultimi anni della sua vita per farlo sentire indesiderato. Non è necessario divorziare da un marito o da una moglie perché lui o lei senta le cicatrici che lascia la solitudine – l’amore che finisce.
Da Abramo e Isacco apprendiamo che il tanto considerato status di genitore non mette automaticamente al riparo dall’insensibilità, dalla disonestà o dagli abusi.
NON ESISTE RICHIAMO PIÙ IMPORTANTE DEL PIANTO DEL TUO STESSO FIGLIO.
Apprendiamo da Abramo e Isacco che i membri di una famiglia devono imparare a parlare fra di loro:
In questo Nuovo Anno comunicate, mettetevi in contatto con quel figlio o quella figlia con cui non parlate più, abbracciatelo, abbracciatela, e fate scomparire la cicatrice con un bacio.
Parlate con i vostri genitori in questo Rosh Hashana – ma parlate davvero con loro. Anche se non sembrano abbastanza vicini da poter ascoltare. Liberate il vostro cuore da ogni peso – lasciate uscire la rabbia, la paura o il senso di colpa. E cancellate via la cicatrice con una lacrima.
Andate in cerca di vostra sorella o di vostro fratello, condividete con loro i segreti che avete serbato nel cuore per così tanti anni. Riappropriatevi di quella vicinanza che il tempo sembra aver seppellito – e con un grande abbraccio amorevole, buttate via la cicatrice.
È questa la nostra sfida per il Nuovo Anno che inizia oggi. Non dimentichiamo mai la nobile Alleanza che orgogliosamente trasmettiamo alla generazione dopo di noi. Rispettiamo con gratitudine le basi e le fondamenta su cui siamo cresciuti e su cui ci siamo evoluti. Dobbiamo così tanto a chi ci ha fatto l’incredibile dono della vita.
Ma siamo consapevoli del fatto che, assieme all’Alleanza, abbiamo ereditato in molti casi anche la maledizione della cicatrice di Isacco. E qualsiasi cosa significhi per voi, o per me, quella cicatrice, impegniamoci oggi a non trasmetterla più – affinché le nuove generazioni non ricevano questo marchio.
E possa l’acuto richiamo dello Shofar che ascolteremo più tardi questa mattina risvegliare tutti noi per essere pronti alla sfida – a questa nostra prova. Ci possa ricordare l’Akedah. Ci spinga ad agire, prima che sia troppo tardi, a lasciar cadere le nostre mani – slegare le persone a noi care – liberarle e liberare noi stessi per un nuovo domani.
Benedetto sei Tu HaShem – Scudo di Abramo, Isacco e Giacobbe. E dei nostri figli per sempre in futuro.
Amen
Comunità Ebraica Beth Hillel Roma
Pubblicato il 27 settembre 2013
“La cicatrice di Isacco”
Sermone di Rav Joel Oseran
Rosh Hashana, 5 settembre 2013
ROMA, ITALIA
Genesi 22, versetti 1-18; forse uno dei passaggi più coinvolgenti e famosi di tutta la Torah. Ha perfino un suo nome – l’Akedah – la Legatura; come se non servisse aggiungere altri dettagli; come se il nome di Isacco fosse superfluo. La Legatura, un episodio riletto ogni anno in occasione di Rosh Hashana – nel secondo giorno per le congregazioni che osservano 2 giorni di Rosh Hashana, oppure nel primo giorno per la maggior parte delle congregazioni Riformiste/Progressive. La Legatura – la giustificazione per eccellenza della leggendaria qualifica di Abramo: “Uomo di Fede”.
I rabbini hanno glorificato l’Akedah, utilizzandola nel corso del tempo come l’esempio sommo di come noi mortali possiamo dimostrare il nostro amore e la nostra obbedienza nei confronti di Dio.
Dio chiama – Abramo obbedisce. “Hinneni” dice Abramo, sono qui – sono pronto. E Dio continua – “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio, quello che ami (più di Ismaele, il tuo altro figlio, come spiegano i rabbini) e vai nel territorio di Moria dove lo offrirai in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Abramo è tanto ansioso di ottemperare la mitzvah, il comandamento (come ci spiegano i rabbini) da alzarsi di buon mattino – senza fare domande – e mettersi in viaggio. Non pone nessuna domanda prima di mettersi in cammino. E nel caso qualcuno pensasse che Abramo stia agendo di istinto, le Scritture ci dicono che viaggiò per tre interi giorni prima di giungere a destinazione.
E se avessimo bisogno di ulteriori prove dello zelo di Abramo nel soddisfare il comandamento di Dio, i rabbini spiegano che quando Abramo impugnò il coltello per compiere il sacrificio di suo figlio, l’angelo di Dio dovette chiamarlo per ben due volte prima che Abramo si fermasse.
Perché Abramo pensò: “Dio mi ha comandato di sacrificare mio figlio e solamente Dio può convincermi a interrompere ora questo sacrificio”. Ecco quindi la seconda chiamata – quella di Dio stesso.
Questa è l’interpretazione più comune dell’Akedah, ed è il motivo per cui tradizionalmente leggiamo questo passaggio in occasione di Rosh Hashana – quale modo migliore per insegnare al Popolo come onorare Dio? Quale migliore esempio di fede di quella di Abramo?
Forse è così… ma l’ebraismo, come ben sappiamo, non si è mai accontentato di poggiare solamente sull’opinione condivisa dalla maggioranza. La voce della minoranza viene solitamente conservata nei nostri testi vicino a quella della maggioranza. E perciò, in questo spirito, ascoltiamo anche la voce della minoranza questa mattina. Proviamo a rileggere insieme di nuovo l’Akedah, in un modo che, mi auguro, possa arricchire la nostra considerazione di questo testo, del suo significato e dell’importanza per noi in questa mattina di Rosh Hashana.
Forse la sfida più diretta che può essere lanciata riguardo questa storia consiste nel mettere in discussione l’interpretazione fondamentale di questo passaggio – ossia l’ipotesi che questo racconto termini con un lieto fine – che la vita di Isacco sia risparmiata e che il Popolo Ebraico prosegua oggi sotto la sua autorità patriarcale in stabilità e in rinnovata fede in Dio.
Ma forse questa potrebbe essere una lettura errata di questo passaggio. Il finale del racconto è davvero un lieto fine oppure è profondamente tragico? La vita di Isacco è stata realmente risparmiata? Oppure, in un certo senso, il danno maggiore è stato già fatto quando Isacco giace legato sull’altare con quel coltello pronto a compiere il sacrificio?
Probabilmente Abramo ha superato la prova cosmica che era chiamato ad affrontare, ma così facendo ha fallito miseramente come padre – perdendo una volta per sempre l’amore e la fiducia di suo figlio Isacco. Perché quel giorno sull’altare Isacco rimase così profondamente e irrimediabilmente spaventato, così impaurito, che anche la sua psiche subì un danno permanente e indelebile.
Questo, amici miei, vuole essere l’oggetto del mio sermone questa mattina – “La cicatrice di Isacco”. La cicatrice che segna un ragazzo costretto a vivere l’incubo di 3 lunghi giorni senza parlare con suo padre – fatta eccezione per una frasetta accorata – un padre irrevocabilmente deciso ad offrire la vita del proprio figlio a un Dio che quel ragazzo non aveva ancora avuto modo di conoscere, amare o temere.
Quale importanza può avere… può essere considerato un elemento realmente discriminante il fatto che Abramo abbia o non abbia abbassato il coltello che impugnava? Non è comunque morto qualcosa nel cuore di Isacco quel giorno?
È questa la cicatrice su cui dobbiamo concentrare il nostro sguardo stamattina. La cicatrice che, insieme all’alleanza con Dio, è stata trasmessa di generazione in generazione.
La cicatrice che, insieme all’alleanza, ha toccato e formato le vite dei figli e dei nipoti di Isacco, di tutti i componenti della sua famiglia fino forse a noi tutti.
La cicatrice di Isacco – dove conduce? Dove finisce?
Ripercorriamo brevemente la vita di Isacco a partire dal momento finale del racconto di Akedah che leggiamo oggi. Nel passaggio seguente della Torah leggiamo il racconto della morte di sua madre. Alcuni rabbini suggeriscono che Sara sia morta in effetti perché pensava che Isacco sarebbe stato realmente sacrificato. Sara muore senza un addio, senza fare pace con suo figlio. E non è scritto se Isacco abbia mai preso parte al funerale della madre.
Leggiamo poi l’episodio di Isacco che trova moglie. Di come Eliezer, il fedele servitore di famiglia, venga inviato alla terra nativa della famiglia, Aram Naharam, affinché trovi una moglie appropriata per Isacco. Quale donna cattura la sua attenzione? Rebecca, con la sua grande forza di volontà e la sua personalità dominante, sì, perfino manipolatrice – Rebecca.
In modo molto intelligente, il testo della Torah sembra suggerirci che Rebecca sia destinata a diventare la figura materna che Isacco non ha mai avuto compiutamente. Leggiamo in Genesi 24:67:
“Isacco la condusse (Rebecca) nella tenda di sua madre Sara – e prese Rebecca come sua moglie – Isacco l’amò e così fu consolato dopo la morte di sua madre”.
Forse la “cicatrice” dell’Akedah può aiutarci a comprendere la relazione che intercorre fra Isacco e sua moglie/madre Rebecca. Forse la “cicatrice” può anche spiegare meglio le problematiche e turbolente relazioni familiari fra gli stessi figli e nipoti di Isacco.
Prendiamo innanzitutto Isacco – figlio di genitori già anziani – che non ha mai compreso fino in fondo la natura dell’essere genitori, del condividere amore e accettazione. E come potremmo pretenderlo da lui? E poi consideriamo i due figli di Isacco – Esaù e Giacobbe; così diversi, così impegnativi per i genitori.
Ricordiamo le esperienze vissute da Isacco in gioventù – quando vide suo padre e sua madre scacciare il suo fratellastro Ismaele, destinato a morire in una landa selvaggia. E poi l’Akedah, un altro momento in cui la morte di un figlio è destinata a essere sancita da un genitore. Isacco si sarà certamente chiesto: ma come mai i genitori vogliono la morte dei propri figli?
Poi leggiamo di come Esaù e Giacobbe, nati come bambini quasi inseparabili, si siano allontanati sempre più con il passare degli anni. Di come Isacco preferisse Esaù il cacciatore – e di come Rebecca amasse di più Giacobbe, il figlio passivo, prediletto della mamma. Prediletto della mamma, ma anche assai scaltro.
Forse è legata alla cicatrice di Isacco la tragica battaglia che i suoi due figli hanno combattuto per aggiudicarsi i favori del padre? Un padre sul cui amore i due figli non hanno saputo o potuto fare affidamento? Un padre che non era in grado letteralmente di vederli – quindi di distinguerli, di apprezzare le loro individualità, la loro rispettiva unicità?
I rabbini suggeriscono un’ipotesi meravigliosa per spiegare la debole vista di Isacco. Quando era steso sull’altare del sacrificio, gli angeli iniziarono a piangere. La lacrima di un angelo cadde sul coltello di Abramo e lo trasformò in piombo. Altre lacrime finirono negli occhi di Isacco – aiutandolo forse a non vedere un momento tanto drammatico, ma indebolendo di certo la sua vista per il resto della vita.
Un messaggio molto sottile – che ci suggerisce come l’esperienza dell’Akedah abbia accompagnato Isacco per tutta la vita – abbassando la sua vista e modellando la natura delle sue relazioni familiari future. La cicatrice di Isacco – trasmessa anche ai figli di Isacco.
E continuiamo a esaminare gli effetti di questa cicatrice. Possiamo ritrovare l’inganno e il tradimento di Abramo, trasmesso come abbiamo visto ai suoi figli, anche nel comportamento dei suoi nipoti e pronipoti? Leggendo i passaggi relativi a Giacobbe e ai suoi figli, come possiamo non vedere questa trasmissione dell’inganno e del tradimento appresi dalle generazioni precedenti?
Come possiamo non vedere come i figli di Giacobbe apprendano l’arte dell’inganno e del tradimento – la vendita di Giuseppe e l’inganno della sua morte?
Inganno, frode, persecuzione da parte dei propri cari. Sono queste le cicatrici che vengono trasmesse di generazione in generazione da parte dei nostri illustri antenati.
Ma forse mi sono spinto troppo oltre, direte. Non è più l’opinione di una minoranza, questa è blasfemia! Perché tratta così male la nostra prima famiglia? Ha forse dimenticato la nobile Alleanza, …………., stipulata da Abramo e trasmessa a Isacco, Giacobbe, via via fino ai giorni nostri? Ha dimenticato le virtù dei nostri patriarchi e matriarche – la loro guida sicura del Popolo verso la Terra Promessa?
No miei cari amici, non ho dimenticato l’Alleanza, né i grandi pregi dei nostri antenati. Ma apprendo dalla Torah che l’eredità della nostra famiglia è tutt’altro che semplice e univoca. Gli stessi meravigliosi patriarchi e matriarche che nella loro grandezza ci hanno donato l’Alleanza, nella loro imperfetta umanità ci hanno lasciato anche la cicatrice di Isacco.
Forse la nostra Torah ci sta insegnando che, senza sminuire i tesori e i doni che abbiamo ereditato dai nostri genitori, nonni, e antenati delle generazioni precedenti, e continuando a onorare la nostra alleanza con loro, dobbiamo pur sempre riconoscere le cicatrici di Isacco in ciascuna delle nostre famiglie che si sono fatte strada di generazione in generazione fino a questo momento – a questo giorno di Rosh Hashana.
È ora il momento, proprio quando sediamo insieme come famiglia e amici. Ora siamo chiamati a esaminare la nostra natura interiore come esseri umani – legati al passato – immaginando un futuro. Guardiamo a fondo nelle nostre anime – seguiamo una chiamata che porterà alla legatura dei nostri cari? Non sembra forse sempre che siano proprio le persone a noi più vicine, quelle di cui abbiamo maggiore bisogno, le persone che riusciamo a ferire più a fondo?
È questa la chiamata di Rosh Hashana – l’eredità della legatura di Isacco, dell’Akedah.
Dall’Akedah apprendiamo che non è necessario arrivare a sacrificare un figlio per ferirlo e marchiarlo per sempre. Non è necessario dire a un bambino che non è amato perché lui sappia che non è amato. Non è necessario abbandonare un genitore negli ultimi anni della sua vita per farlo sentire indesiderato. Non è necessario divorziare da un marito o da una moglie perché lui o lei senta le cicatrici che lascia la solitudine – l’amore che finisce.
Da Abramo e Isacco apprendiamo che il tanto considerato status di genitore non mette automaticamente al riparo dall’insensibilità, dalla disonestà o dagli abusi.
NON ESISTE RICHIAMO PIÙ IMPORTANTE DEL PIANTO DEL TUO STESSO FIGLIO.
Apprendiamo da Abramo e Isacco che i membri di una famiglia devono imparare a parlare fra di loro:
In questo Nuovo Anno comunicate, mettetevi in contatto con quel figlio o quella figlia con cui non parlate più, abbracciatelo, abbracciatela, e fate scomparire la cicatrice con un bacio.
Parlate con i vostri genitori in questo Rosh Hashana – ma parlate davvero con loro. Anche se non sembrano abbastanza vicini da poter ascoltare. Liberate il vostro cuore da ogni peso – lasciate uscire la rabbia, la paura o il senso di colpa. E cancellate via la cicatrice con una lacrima.
Andate in cerca di vostra sorella o di vostro fratello, condividete con loro i segreti che avete serbato nel cuore per così tanti anni. Riappropriatevi di quella vicinanza che il tempo sembra aver seppellito – e con un grande abbraccio amorevole, buttate via la cicatrice.
È questa la nostra sfida per il Nuovo Anno che inizia oggi. Non dimentichiamo mai la nobile Alleanza che orgogliosamente trasmettiamo alla generazione dopo di noi. Rispettiamo con gratitudine le basi e le fondamenta su cui siamo cresciuti e su cui ci siamo evoluti. Dobbiamo così tanto a chi ci ha fatto l’incredibile dono della vita.
Ma siamo consapevoli del fatto che, assieme all’Alleanza, abbiamo ereditato in molti casi anche la maledizione della cicatrice di Isacco. E qualsiasi cosa significhi per voi, o per me, quella cicatrice, impegniamoci oggi a non trasmetterla più – affinché le nuove generazioni non ricevano questo marchio.
E possa l’acuto richiamo dello Shofar che ascolteremo più tardi questa mattina risvegliare tutti noi per essere pronti alla sfida – a questa nostra prova. Ci possa ricordare l’Akedah. Ci spinga ad agire, prima che sia troppo tardi, a lasciar cadere le nostre mani – slegare le persone a noi care – liberarle e liberare noi stessi per un nuovo domani.
Benedetto sei Tu HaShem – Scudo di Abramo, Isacco e Giacobbe. E dei nostri figli per sempre in futuro.
Amen
L’etica della Torah e Kierkegaard
Pubblicato in Idee il 28/10/2013 - 24 מרחשון 5774
Nelle scorse settimane abbiamo letto la Parashah della Akedat Yitzhak (la legatura di Isacco).
Questa vicenda ha suscitato nei pensatori di tutti i tempi innumerevoli questioni filosofiche. Ne accenneremo solo alcune partendo da un punto di vista ebraico. E’ necessario precisare che nella letteratura rabbinica ci sono diverse domande e diverse risposte, molte opinioni e discussioni. Per questo motivo quanto segue non pretende di essere nulla di più di un semplice spunto di riflessione.
Cominciamo con due domande fondamentali: esiste un dovere assoluto verso D-o?
Si dà una sospensione teologica dell’etica?
Come può un padre uccidere il proprio figlio, in particolare un figlio promesso da D-o? Solamente perché D-o gli ha ordinato di farlo? Come può D-o, il D-o dell’amore e della compassione, della clemenza, della benevolenza e della bontà, come può questo D-o aver dato un ordine così crudele e disumano proprio a colui che Lo aveva svelato, il primo dei credenti, il primo Ebreo? Avraham era forse lacerato tra la lealtà a D-o e l’amore per il figlio? Cosa si aspettava D-o da Avraham? Come ha reagito Avraham e cosa voleva dimostrare? Nel complesso la Akedah è una prova per chi e perché?
Il bene e il male vengono entrambi da D-o e tutto è a fin di bene. Credere in D-o nonostante Do. Ma è sufficiente?
Per Kierkegaard la risposta è più semplice. Avraham ha posto tutta la sua fede in D-o, e questo è sufficiente. Colui che crede in D-o, per D-o può e deve fare tutto, qualsiasi cosa. Dopo aver ricevuto l’ordine di D-o, per Avraham fu più difficile risparmiare Yitzhak che trucidarlo. D-o chiede di rinunciare totalmente a noi stessi, una rinuncia totale della vita. Ad esempio di ciò viene citato spesso il verso di Luca: “Se qualcuno viene a me senza odiare il proprio padre, la madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle, e persino la propria vita, non può essere mio discepolo”.
Esiste una contraddizione con il comandamento di “ama il prossimo tuo come te stesso”? Esiste uno squilibrio fra il comandamento di amare D-o e quello di amare il prossimo?
Un tale principio si pone in evidente contrasto con la tradizione ebraica. Come è detto: “onora tuo padre e tua madre”. I Maestri nel Talmud interpretano: “il Signore ha collocato l’obbligo di onorare padre e madre prima di quello di onorare Lui stesso”. “È grande il dovere di onorare il padre e la madre, se il Santissimo, sia lodato il Suo Nome, diede all’onore dovuto ai genitori uguale importanza dell’onore dovuto a Lui”.
“Ascolta Israele, il Signore nostro D-o, il Signore è Uno”.
“Amerai il Signore tuo D-o con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue facoltà”.
“Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Insegnamento di Hillel: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te: ecco la Legge. Il resto non è che commento. Va’ e Studia”. Questa è Legge: “Amerai il tuo prossimo come te stesso, tutto quello che vorresti che il tuo prossimo faccia a te fallo tu al tuo prossimo”.
I nostri maestri hanno un punto di vista differente da Kierkegaard, mossi dal desiderio di redimere Avraham e il suo atteggiamento verso Yitzhak. Non è facile. Ritengono che la Akedah sia una prova duplice. D-o mise alla prova Avraham, e Avraham mise alla prova D-o. Nel primo caso, la prova è visibile, tangibile; nel secondo, si consuma nel cuore e nella mente di Avraham e D-o ascolta il cuore e la mente.
Avraham, data la sua enorme fede nella bontà e nella giustizia divina, sa che il proprio figlio non morirà sull’altare. Questo è il motivo per cui trova la forza interiore di sottomettersi all’ordine datogli da D-o. Come per dichiarare: “Signore dell’universo, vuoi la vita di mio figlio, la vuoi attraverso le mie mani? Hinneni, eccomi, ed ecco mio figlio! Adesso vediamo se veramente sarà necessario che io diventi lo strumento della sua morte! Io andrò fino in fondo! Sari tu a fermarmi!”.
L’intuizione di Avraham è corretta: D-o revocherà l’ordine. Avraham ha dimostrato di aver compreso bene il significato degli insegnamenti della Torah: D-o non potrà mai dare un ordine contrario alla sua stessa etica. D-o è la fonte dell’etica. La Torah quindi non può essere metaetica.
Quando Avraham sentì la voce celeste ordinargli di risparmiare il figlio Yitzhak, affermò: “Giuro che non mi allontanerò dall’altare prima di aver detto quel che ho da dire!”. “Parla” disse D-o. “Non mi avevi promesso che i miei discendenti sarebbero stati tanto numerosi quante sono le stelle in cielo?”. “Sì, te lo avevo promesso”. “E di chi saranno i discendenti?”. “Saranno i discendenti di Yitzhak”. “Signore dell’universo” disse Avraham, “avrei potuto dirti che il tuo ordine era in contraddizione con la tua promessa. Ho trattenuto il mio dolore e tenuto a freno la lingua. In cambio, voglio che mi prometti che ogni volta che i figli dei miei figli peccheranno, anche tu non dirai nulla e li perdonerai!” “Così sia” disse D-o. “Che continuino a raccontare questa storia e saranno perdonati”.
Questa è la ragione per cui si legge la storia della Akedah nei giorni penitenziali. Noi ricordiamo a D-o quella promessa. Ma a D-o non importò, per così dire, essere messo alle strette? Dice il Talmud: “Colui che è Santo, benedetto sia il suo nome, ama essere sconfitto dai propri figli”. Dio dice: “nitzchuni banai”, tradotto “i miei figli mi hanno vinto”, oppure “i miei figli mi hanno reso eterno”.
La Akedah è dunque una vittoria di Avraham contro D-o.
Questa vicenda ha suscitato nei pensatori di tutti i tempi innumerevoli questioni filosofiche. Kierkegaard ha dato la sua risposta.
I nostri Maestri hanno risposto diversamente: esiste un dovere assoluto verso D-o?
Esiste un dovere verso D-o ma al suo interno c’è spazio per la ribellione, per la discussione con D-o. D-o ha scelto l’uomo come suo interlocutore e collaboratore. L’uomo è socio di D-o. La fede ebraica è una continua lotta con D-o.
Si dà una sospensione teologica dell’etica?
La religione non è metaetica, non implica che D-o pretenda dall’uomo qualcosa di immorale dal momento che Egli è l’origine dell’etica. D-o non chiede all’uomo di sacrificargli suo figlio.
La vita è un luogo dove D-o si cela. E noi non siamo mai distaccati da lui, che ha bisogno di noi. I popoli vagano e delirano, ma tutto questo scalfisce appena la profonda, inavvertita e incompresa quiete.
Il rapporto tra D-o e Israele è un rapporto di amore. Il nostro amore per D-o non è che un riflesso del Suo amore per noi. Tuttavia tra coniugi amanti si può anche litigare. La sottomissione a D-o non esclude necessariamente la possibilità di critica a D-o, si pensi a nostro padre Avraham.
Avraham è un ebreo. Avraham è come Israel, suo nipote (Giacobbe), “ha combattuto con D-o”. Avraham fa un processo a D-o nei suoi silenzi. Avraham è uno che crede nella giustizia di D-o e nella verità di D-o non ostante il mondo sia un “mondo della menzogna”, un “mondo di caos”. Avraham crede in D-o nonostante D-o. Questo non esclude però che si possa discutere con D-o.
Paolo Sciunnach, insegnante
Pubblicato su Moked (28 ottobre 2013)
Pubblicato in Idee il 28/10/2013 - 24 מרחשון 5774
Nelle scorse settimane abbiamo letto la Parashah della Akedat Yitzhak (la legatura di Isacco).
Questa vicenda ha suscitato nei pensatori di tutti i tempi innumerevoli questioni filosofiche. Ne accenneremo solo alcune partendo da un punto di vista ebraico. E’ necessario precisare che nella letteratura rabbinica ci sono diverse domande e diverse risposte, molte opinioni e discussioni. Per questo motivo quanto segue non pretende di essere nulla di più di un semplice spunto di riflessione.
Cominciamo con due domande fondamentali: esiste un dovere assoluto verso D-o?
Si dà una sospensione teologica dell’etica?
Come può un padre uccidere il proprio figlio, in particolare un figlio promesso da D-o? Solamente perché D-o gli ha ordinato di farlo? Come può D-o, il D-o dell’amore e della compassione, della clemenza, della benevolenza e della bontà, come può questo D-o aver dato un ordine così crudele e disumano proprio a colui che Lo aveva svelato, il primo dei credenti, il primo Ebreo? Avraham era forse lacerato tra la lealtà a D-o e l’amore per il figlio? Cosa si aspettava D-o da Avraham? Come ha reagito Avraham e cosa voleva dimostrare? Nel complesso la Akedah è una prova per chi e perché?
Il bene e il male vengono entrambi da D-o e tutto è a fin di bene. Credere in D-o nonostante Do. Ma è sufficiente?
Per Kierkegaard la risposta è più semplice. Avraham ha posto tutta la sua fede in D-o, e questo è sufficiente. Colui che crede in D-o, per D-o può e deve fare tutto, qualsiasi cosa. Dopo aver ricevuto l’ordine di D-o, per Avraham fu più difficile risparmiare Yitzhak che trucidarlo. D-o chiede di rinunciare totalmente a noi stessi, una rinuncia totale della vita. Ad esempio di ciò viene citato spesso il verso di Luca: “Se qualcuno viene a me senza odiare il proprio padre, la madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle, e persino la propria vita, non può essere mio discepolo”.
Esiste una contraddizione con il comandamento di “ama il prossimo tuo come te stesso”? Esiste uno squilibrio fra il comandamento di amare D-o e quello di amare il prossimo?
Un tale principio si pone in evidente contrasto con la tradizione ebraica. Come è detto: “onora tuo padre e tua madre”. I Maestri nel Talmud interpretano: “il Signore ha collocato l’obbligo di onorare padre e madre prima di quello di onorare Lui stesso”. “È grande il dovere di onorare il padre e la madre, se il Santissimo, sia lodato il Suo Nome, diede all’onore dovuto ai genitori uguale importanza dell’onore dovuto a Lui”.
“Ascolta Israele, il Signore nostro D-o, il Signore è Uno”.
“Amerai il Signore tuo D-o con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue facoltà”.
“Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Insegnamento di Hillel: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te: ecco la Legge. Il resto non è che commento. Va’ e Studia”. Questa è Legge: “Amerai il tuo prossimo come te stesso, tutto quello che vorresti che il tuo prossimo faccia a te fallo tu al tuo prossimo”.
I nostri maestri hanno un punto di vista differente da Kierkegaard, mossi dal desiderio di redimere Avraham e il suo atteggiamento verso Yitzhak. Non è facile. Ritengono che la Akedah sia una prova duplice. D-o mise alla prova Avraham, e Avraham mise alla prova D-o. Nel primo caso, la prova è visibile, tangibile; nel secondo, si consuma nel cuore e nella mente di Avraham e D-o ascolta il cuore e la mente.
Avraham, data la sua enorme fede nella bontà e nella giustizia divina, sa che il proprio figlio non morirà sull’altare. Questo è il motivo per cui trova la forza interiore di sottomettersi all’ordine datogli da D-o. Come per dichiarare: “Signore dell’universo, vuoi la vita di mio figlio, la vuoi attraverso le mie mani? Hinneni, eccomi, ed ecco mio figlio! Adesso vediamo se veramente sarà necessario che io diventi lo strumento della sua morte! Io andrò fino in fondo! Sari tu a fermarmi!”.
L’intuizione di Avraham è corretta: D-o revocherà l’ordine. Avraham ha dimostrato di aver compreso bene il significato degli insegnamenti della Torah: D-o non potrà mai dare un ordine contrario alla sua stessa etica. D-o è la fonte dell’etica. La Torah quindi non può essere metaetica.
Quando Avraham sentì la voce celeste ordinargli di risparmiare il figlio Yitzhak, affermò: “Giuro che non mi allontanerò dall’altare prima di aver detto quel che ho da dire!”. “Parla” disse D-o. “Non mi avevi promesso che i miei discendenti sarebbero stati tanto numerosi quante sono le stelle in cielo?”. “Sì, te lo avevo promesso”. “E di chi saranno i discendenti?”. “Saranno i discendenti di Yitzhak”. “Signore dell’universo” disse Avraham, “avrei potuto dirti che il tuo ordine era in contraddizione con la tua promessa. Ho trattenuto il mio dolore e tenuto a freno la lingua. In cambio, voglio che mi prometti che ogni volta che i figli dei miei figli peccheranno, anche tu non dirai nulla e li perdonerai!” “Così sia” disse D-o. “Che continuino a raccontare questa storia e saranno perdonati”.
Questa è la ragione per cui si legge la storia della Akedah nei giorni penitenziali. Noi ricordiamo a D-o quella promessa. Ma a D-o non importò, per così dire, essere messo alle strette? Dice il Talmud: “Colui che è Santo, benedetto sia il suo nome, ama essere sconfitto dai propri figli”. Dio dice: “nitzchuni banai”, tradotto “i miei figli mi hanno vinto”, oppure “i miei figli mi hanno reso eterno”.
La Akedah è dunque una vittoria di Avraham contro D-o.
Questa vicenda ha suscitato nei pensatori di tutti i tempi innumerevoli questioni filosofiche. Kierkegaard ha dato la sua risposta.
I nostri Maestri hanno risposto diversamente: esiste un dovere assoluto verso D-o?
Esiste un dovere verso D-o ma al suo interno c’è spazio per la ribellione, per la discussione con D-o. D-o ha scelto l’uomo come suo interlocutore e collaboratore. L’uomo è socio di D-o. La fede ebraica è una continua lotta con D-o.
Si dà una sospensione teologica dell’etica?
La religione non è metaetica, non implica che D-o pretenda dall’uomo qualcosa di immorale dal momento che Egli è l’origine dell’etica. D-o non chiede all’uomo di sacrificargli suo figlio.
La vita è un luogo dove D-o si cela. E noi non siamo mai distaccati da lui, che ha bisogno di noi. I popoli vagano e delirano, ma tutto questo scalfisce appena la profonda, inavvertita e incompresa quiete.
Il rapporto tra D-o e Israele è un rapporto di amore. Il nostro amore per D-o non è che un riflesso del Suo amore per noi. Tuttavia tra coniugi amanti si può anche litigare. La sottomissione a D-o non esclude necessariamente la possibilità di critica a D-o, si pensi a nostro padre Avraham.
Avraham è un ebreo. Avraham è come Israel, suo nipote (Giacobbe), “ha combattuto con D-o”. Avraham fa un processo a D-o nei suoi silenzi. Avraham è uno che crede nella giustizia di D-o e nella verità di D-o non ostante il mondo sia un “mondo della menzogna”, un “mondo di caos”. Avraham crede in D-o nonostante D-o. Questo non esclude però che si possa discutere con D-o.
Paolo Sciunnach, insegnante
Pubblicato su Moked (28 ottobre 2013)
Di Gastone Maini
Pubblicato su Academia.edu L’approccio socio-antropololgico qui adottato nell’interpretazione del cosiddetto “sacrificio di Isacco”, descritto nel capitolo 22 della Genesi, è interamente dettato dalla convinzione di fondo che nella sua stesura fosse presente una forte preoccupazione riguardante il problema dell’uso della violenza e del potere in materia religiosa. Questo problema dovette poi essere stato sentito in maniera ancor più acuta dal fatto che dei benefici promessi della religione del Dio unico avrebbero dovuto fruire tutti i popoli della terra e, quindi, contraddittoriamente, anche quelli che ci si accingeva a combattere. E non si trattò solo di violenza nei rapporti esterni, quella cioè di cui si è appena parlato. Si cercherà infatti di dimostrare come l’idea stessa di” popolo eletto” comportasse ,per la sua portata utopica, uno sforzo spirituale tale da non poter essere sopportato da parte della comunità dello stato ebraico da poco formato. L’accento posto nella ricostruzione del contesto storico-sociale nel quale Genesi 22, contenente il “sacrificio di Isacco” (in realtà AKEDAH ,cioè “legatura”), potè essere concepito, dovrebbe contribuire a dare concretezza e plausibilità alla tesi proposta al punto da poterla considerare come necessaria. Si è preferito non isolare il capitolo in questione nella convinzione che il problema della violenza e del potere sia di ordine generale e faccia la sua comparsa fin dagli inizi della storia umana, come testimonia la Bibbia fin dal primo capitolo della Genesi dal quale, infatti, prende l’avvio lo studio qui intrapreso. |
Vedi anche di Krzysztof Napora, sempre da Academia.edu:
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