IL TETRAGRAMMA (YHWH)
Tetragramma biblico
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Il tetragramma biblico è la sequenza delle quattro lettere (in greco: tetragràmmaton; τέτρα, «quattro» e γράμματα, «lettere») ebraiche che compongono il nome proprio di Dio (lat. theonymum) descritto nel Tanakh: in ebraico: יהוה (yod, he, waw, he, da leggersi da destra a sinistra). In passato era largamente attestata la traslitterazione JHWH; in epoca contemporanea invece la traslitterazione più diffusa è YHWH, dato che il valore consonantico e fonetico che la lettera J possiede in diverse lingue neolatine e in quella inglese (come in «jeans») non corrisponde alla yod ebraica.
Tuttavia in italiano la J è la versione semiconsonantica della vocale I; solo dagli anni '50 del XX secolo, con il massiccio afflusso di anglicismi nella lingua italiana, la J ha acquistato valore prettamente consonantico. I Samaritani affermano che la pronuncia sia iabe. Alcune fonti patristiche forniscono prove per la pronuncia greca iaō.
I libri della Torah ed il resto della Bibbia ebraica (eccetto Ester) contengono la parola ebraica יהוה. (si veda grafico più sotto) Basandosi sulle lettere ebraiche, la sua pronuncia in ebraico dovrebbe quindi essere vicino a Yahweh. Coloro che seguono le tradizioni ebraiche conservatrici non pronunciano יהוה, ad alta voce o in silenzio mentalmente, né lo leggono traslitterato nelle succitate forme di Jehovah (Geova) o Yahweh (Iavé). Per interpretazione restrittiva, gli Ebrei infatti considerano, fin dall'antichità, il tetragramma come troppo sacro per essere pronunciato. La Halakhah (Legge ebraica) prescrive che il nome sia pronunciato come Adonai (quest'ultimo è anch'esso considerato un nome sacro, da usarsi solamente durante le preghiere); prescrivendo anche che per farvi riferimento si debba usare la forma impersonale HaShem ("il Nome"). La parola è invece sostituita con altri termini divini, sia che si desideri invocare o fare riferimento al Dio di Israele. Un'altra forma sostitutiva ebraica comune, oltre alle già citate, è hakadosh baruch hu (“Il Santo Benedetto”).
Dato che nella lingua ebraica non si scrivono le vocali, il tetragramma biblico è costituito unicamente da consonanti; poiché esso non viene pronunciato, la corretta vocalizzazione (l'interpolazione di vocali alle consonanti) delle quattro lettere del tetragramma è andata col tempo perduta. Inoltre, delle quattro consonanti che compongono il tetragramma, due hanno un suono semivocalico, e tre possono anche essere mute, nella pronuncia (matres lectionis): pertanto si potrebbe anche arrivare, paradossalmente, a ipotizzare una pronuncia unicamente vocalica, quasi come una emissione ininterrotta del fiato. L'Ebraismo ritiene persa la corretta pronuncia del nome sacro: da ciò è nata, a partire dal XVI secolo e soprattutto da parte di studiosi cristiani, una ricerca approfondita e vasta, tuttora in discussione.
Il nome potrebbe derivare da un verbo che significa "essere", "esistere", "divenire", o anche "avvenire".
Origini
Etimologia
Le lettere, appropriatamente lette da destra a sinistra (in ebraico biblico), sono:
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Il tetragramma biblico è la sequenza delle quattro lettere (in greco: tetragràmmaton; τέτρα, «quattro» e γράμματα, «lettere») ebraiche che compongono il nome proprio di Dio (lat. theonymum) descritto nel Tanakh: in ebraico: יהוה (yod, he, waw, he, da leggersi da destra a sinistra). In passato era largamente attestata la traslitterazione JHWH; in epoca contemporanea invece la traslitterazione più diffusa è YHWH, dato che il valore consonantico e fonetico che la lettera J possiede in diverse lingue neolatine e in quella inglese (come in «jeans») non corrisponde alla yod ebraica.
Tuttavia in italiano la J è la versione semiconsonantica della vocale I; solo dagli anni '50 del XX secolo, con il massiccio afflusso di anglicismi nella lingua italiana, la J ha acquistato valore prettamente consonantico. I Samaritani affermano che la pronuncia sia iabe. Alcune fonti patristiche forniscono prove per la pronuncia greca iaō.
I libri della Torah ed il resto della Bibbia ebraica (eccetto Ester) contengono la parola ebraica יהוה. (si veda grafico più sotto) Basandosi sulle lettere ebraiche, la sua pronuncia in ebraico dovrebbe quindi essere vicino a Yahweh. Coloro che seguono le tradizioni ebraiche conservatrici non pronunciano יהוה, ad alta voce o in silenzio mentalmente, né lo leggono traslitterato nelle succitate forme di Jehovah (Geova) o Yahweh (Iavé). Per interpretazione restrittiva, gli Ebrei infatti considerano, fin dall'antichità, il tetragramma come troppo sacro per essere pronunciato. La Halakhah (Legge ebraica) prescrive che il nome sia pronunciato come Adonai (quest'ultimo è anch'esso considerato un nome sacro, da usarsi solamente durante le preghiere); prescrivendo anche che per farvi riferimento si debba usare la forma impersonale HaShem ("il Nome"). La parola è invece sostituita con altri termini divini, sia che si desideri invocare o fare riferimento al Dio di Israele. Un'altra forma sostitutiva ebraica comune, oltre alle già citate, è hakadosh baruch hu (“Il Santo Benedetto”).
Dato che nella lingua ebraica non si scrivono le vocali, il tetragramma biblico è costituito unicamente da consonanti; poiché esso non viene pronunciato, la corretta vocalizzazione (l'interpolazione di vocali alle consonanti) delle quattro lettere del tetragramma è andata col tempo perduta. Inoltre, delle quattro consonanti che compongono il tetragramma, due hanno un suono semivocalico, e tre possono anche essere mute, nella pronuncia (matres lectionis): pertanto si potrebbe anche arrivare, paradossalmente, a ipotizzare una pronuncia unicamente vocalica, quasi come una emissione ininterrotta del fiato. L'Ebraismo ritiene persa la corretta pronuncia del nome sacro: da ciò è nata, a partire dal XVI secolo e soprattutto da parte di studiosi cristiani, una ricerca approfondita e vasta, tuttora in discussione.
Il nome potrebbe derivare da un verbo che significa "essere", "esistere", "divenire", o anche "avvenire".
Origini
Etimologia
Le lettere, appropriatamente lette da destra a sinistra (in ebraico biblico), sono:
Molti esegeti affermano che il nome "YHWH" sia un verbo derivato dalla radice triconsonantica dell'ebraico biblico היה (h-y-h), che significa "essere", "divenire", "avvenire". Ha הוה (h-w-h) come forma variante, con un prefisso y- in terza persona maschile. Si collega al passo Esodo 3:14 in cui Dio dà il suo nome come אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה (Ehyeh Asher Ehyeh), dove il verbo, tradotto basilarmente come "Io sono colui che è", o "Io sono colui che sono", "Sarò chi sarò" o ancora "Io sono io-sono" o "Diverrò ciò che deciderò di divenire", "Diverrò qualsiasi cosa mi aggradi". יהוה con la vocalization (niqqud) "Yahweh" potrebbe in teoria essere l'inflessione verbale hif'il (causativa) della radice HWH, con un significato del tipo "colui che induce ad esistere" o "che dà la vita" (l'idea base della parola essendo "respirare" e quindi "vivere") o "Egli fa divenire". Come inflessione verbale qal (paradigma base), potrebbe significare "Colui che è, che esiste".
Significato
L'interpretazione del tetragramma si basa su un passo del Libro dell'Esodo (3, 14): in tale versetto esso è solitamente tradotto in italiano con "io sono". Nella Septuaginta dove il tetragramma è reso come Kyrios, il Nome è tradotto "ego eimi ho òn" letteralmente "io sono l'esistente".
La Jewish Encyclopedia riporta:
« è possibile determinare con un buon grado di certezza la pronuncia storica del Tetragramma, e il risultato è in accordo con l'affermazione contenuta in Esodo 3, 14, nel quale la radice verbale si rivela come "Io sarò", una frase che è immediatamente preceduta dall'affermazione completa "Io sarò ciò che sarò", oppure, come nelle versioni in italiano (o in inglese) "Io sono" e "Io sono ciò che sono". Il nome deriva dalla radice del verbo essere, ed è visto come un imperfetto. Questo punto è decisivo per la pronuncia poiché l'etimologia è basata in questo caso sulla parola nota. Gli esegeti più antichi, come Onkelos, i Targumim di Gerusalemme e lo pseudo-Gionata considerano Ehyeh e Ehyeh Asher Ehyeh come il nome della Divinità, e accettano l'etimologia di hayah: "essere" »
Il tetragramma potrebbe anche significare "Io mostrerò d'essere ciò che mostrerò d'essere" oppure "Io sono l'essenza dell'essere": il nome per indicare che Dio può manifestarsi nel tempo come tutto ciò che desidera e che attualmente è fuori del tempo. Con ciò YHWH dice a Mosè di essere colui che è sempre presente a favore del suo popolo. Il nome di Dio assume così un doppio significato:
storico-salvifico: Io sono colui che è presente per salvare il mio popolo dalla schiavitù d'Egitto; si ritiene che tale significato sia il più fedele al contesto in cui il nome appare.
metafisico: Io sono colui che esiste di per sé; Dio rivela a Mosè di essere l'Essere in quanto essere. Tale significato è stato sviluppato in epoca cristiana, soprattutto nell'ambito della riflessione metafisica e ontologica. Infatti, le caratteristiche di YHWH corrispondono a quelle che Parmenide aveva definito per l'essere (immutabilità, incorruttibilità, eternità).
Il teologo Hans Küng nel libro Dio esiste, paragrafo "L'unico Dio con un nome", fa un'ampia disamina sul significato del nome, esprimendo un punto diverso:
« [...] Jahvé (abbreviazione in «Jah»): scritto in ebraico soltanto da quattro consonanti, con il tetragramma JHWH. Soltanto in epoca molto posteriore, non volendo più pronunciare per rispetto il nome di Jahvé (a partire dal sec. III), si aggiunsero alle quattro consonanti le vocali del nome divino «Adonai» ("Signore"), dando così motivo ai teologi medievali (e agli odierni Testimoni di Geova) di leggere «Jehovah» invece che Jahvé. Ma qual è il significato del nome Jahvé? In tutto l'Antico Testamento, nel quale il nome ricorre più di seimilaottocento volte, si trova soltanto l'enigmatica risposta ricevuta da Mosé sul Sinai, davanti al roveto ardente: «ehejeh aser ehjeh». Come tradurre questa dichiarazione, sulla quale è stata scritta tutta una piccola biblioteca? Per lungo tempo ci si è attenuti alla traduzione greca dell'Antico Testamento (detta dei Settanta, in quanto opera, secondo la leggenda, di settanta traduttori): «Io sono colui che sono». Una traduzione che conserva ancora il suo valore. Il verbo «hajah» infatti - sia pure in rarissimi casi - significa anche «essere». Per lo più però il suo significato va cercato tra «essere presente, aver luogo, manifestarsi, accadere, divenire». Siccome inoltre in ebraico si ha la stessa forma per il presente e il futuro, si può tradurre tanto «Io sono presente quando sono presente» quanto «Io sono presente quanto sarò presente» oppure - secondo il grande traduttore ebreo dell'Antico Testamento Martin Buber - «Io sarò presente quando sarò presente». Qual è il significato di questo nome enigmatico? Non si tratta di «una dichiarazione sull'essenza di Dio», come ritenevano i Padri della Chiesa, gli scolastici medievali e moderni: nessuna rivelazione dell'entità metafisica di Dio, da intendersi nel senso greco di un essere statico («ipsum esse»), nel quale, secondo la concezione tomista, l'essenza e l'esistenza coinciderebbero. Si tratta «piuttosto» di «una dichiarazione sulla volontà di Dio», secondo l'interpretazione oggi fornita dai principali esegeti dell'Antico testamento: vi si esprime la presenza di Dio, la sua esistenza dinamica, il suo essere presente, reale, operante, il suo infondere sicurezza , il tutto in una formulazione che non permette oggettivazioni, cristallizzazioni e fissazioni di sorta. Il nome «Jahvé» quindi significa: «Io sarò presente!» - guidando, aiutando, rafforzando, liberando. »
(Hans Kung)
Il significato del nome secondo Franz Rosenzweig è : Ich werde dasein, als der ich dasein werde (Sarò lì come io ci sarò).
Il filosofo ebreo Ernst Bloch afferma che "il Dio dell'Esodo non è statico come gli dei pagani", e suggerisce che il passo biblico Esodo 3:14 si traduca con "Io sarò quello che sarò" in contrasto con la Biblia Sacra Vulgata del V secolo, dalla quale derivano o fanno riferimento le maggiori traduzioni successive, nella quale leggiamo "ego sum qui sum", ed il testo masoretico Codex Leningradensis, nel quale leggiamo "אֶֽהְיֶ֑ה אֲשֶׁ֣ר אֶֽהְיֶ֖ה", ossia "'eh·yeh 'ă·šer 'eh·yeh", "Io sono chi io sono". L'intenzione del filosofo è quella di proporre un contrasto con l'iscrizione "EI" del tempio di Apollo a Delfi, che secondo la sua "interpretazione mistico-numerica" si tradurrebbe "Tu sei".
Altri ritengono oggi impossibile stabilire l'esatto significato.
Pronuncia
La pronuncia più vastamente accettata del tetragramma (YHWH) è Yahweh. L'esegeta benedettino Genebrardus (Francia, 1535–1597) propose la pronuncia Jahve basandosi sull'asserzione di Teodoreto che i Samaritani usassero la pronuncia Iabe. Alla maggioranza degli ebrei comunque era proibito pronunciare o persino scrivere l'intero tetragramma.
Il biblista Arthur Lukyn Williams (1853-1943) asserì che la pronuncia del tetragramma dovesse essere Yaho o Yahu basandosi sui nomi teofori della Bibbia ebraica (Tanakh) che terminano in YHW. In assenza di una vocalizzazione precisa, ogni traduttore moderno deve comunque usare un certo criterio per inserire nel tetragramma le vocali che permettano di leggerlo in una delle lingue correnti. Nelle edizioni odierne della Bibbia il nome può essere pertanto trascritto in vari modi, a seconda delle ipotesi sottese.
Le vocalizzazioni più conosciute sono:
A E (Yahweh, da cui, in italiano, Jahvè)
E O A (Yehowah, da cui, in italiano, Geova)
La vocalizzazione O A I sembra molto forzata. È accettata la vocalizzazione A E, che fa riferimento al testo del capitolo 3 del libro dell'Esodo in cui Dio rivela il suo nome a Mosè. In questo caso dal testo si evince che יהוה è una forma arcaica del verbo essere in ebraico (hawah, moderno hajah), significante "Egli è", in una forma causativa del verbo.
Forzata è anche la vocalizzazione I I, che deriverebbe da un'altra trascrizione (יי). Si tenga poi presente che la lettera vav (ו), una volta vocalizzata in O o U, perde il suono V per assumere un suono puramente vocalico, quindi il tetragramma potrebbe essere una sequenza di soli suoni vocalici.
In tempi recenti, altri studiosi hanno analizzato alcuni nomi ebraici di persone o luoghi contenuti nelle scritture che mantengono una forma abbreviata del nome divino. Le ipotesi scaturite da questi studi separati si concentrano su una fonetizzazione con tre sillabe, come ad esempio Yahowah o Yehowah.
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I NOMI DIVINI
I. I Nomi Divini. (Glossario)
Oltre ai nomi della Divinità che si trovano nella Sacra Scrittura, gli antichi teologi ebrei ne hanno impiegati molti altri, come epiteti descrittivi delle perfezioni divine; come ad esempio, 1. Matsui Rishon , "l'Essere Primario." 2. Ha-Shem "il Nome"; una alternativa pronunciabile per Jehovah. 3. Yechido, "l'Unico." 4. Chai Haolamim "il Sempre-Vivente". 5. Hakkadosh , "il Santo"; a cui di solito è aggiunto, Baruch Hu, "Egli sia Benedetto". 6. Zaddiko , "il Giusto". 7. Makom, letteralmente "Luogo"; un epiteto usato per indicare l'Onnipresenza di Dio. Il luogo o spazio occupato da una creatura è limitata alle dimensioni del proprio essere contratto: il luogo del Creatore è infinito. 8. Geburah, "Potenza", o "Onnipotenza". 9. Ha-Bore, "il Creatore". 10. Mi sheamar vehayah ha Olam, "Che parlò, e il mondo fu." 11. Adon kol Haarets, "il Reggitore di tutta la terra." 12. Malko shel olam, "Re del mondo". 13. Melek hammelakim malkey, "il Re dei re dei re." 14. Melek shehashalom Shelo, "il Re della Pace"; o, "il Re con il quale c'è la Pace." 15. Ha El hakkabod vehannorah, "il Dio glorioso e terribile." 16. Rachamana, "il Misericordioso". 17. Mazega de alma "il Distributore di cose buone (Lett. vino) al mondo." 18. Baal harachamim , "il Signore delle misericordie". 19. Abinu shebbashamayim, "il nostro Padre che è nei cieli". 20. Ha-Shamayim , "Il Cielo".]
II. Jehovah, יהוה In questo santo e terribile Nome, come ha rivelato l'appellativo dell'Essere Auto-Esistente, a Tutto Sufficiente, e Immutabile, possediamo il germe e principio di ogni vera teologia. I teologi ebraici lo chiamano, con enfasi, Ha Shem , il Nome; con gli epiteti reverenziali Shema Rabba , "il Grande Nome"; Sem shel arba othioth "il Nome di Quattro Lettere" (il Tetragramma Greco ); Shem ha-etsem , "il Nome perfetto"; Sem hammeyochad , "l'unico, singolare, o Nome peculiare"; e Sem hammephorash "il nome della Manifestazione", come rendere nota la Natura Divina; (da pharash , "per spiegare") o, nel senso che tale verbo porta in aramaico l'essere separato o distinto, - "il Nome che è particolarmente sacro."
Il rispetto e il timore con il quale è considerato questo titolo Divino, hanno dato per duemila anni tra gli ebrei un nome al pensiero, piuttosto che alla lingua; e il silenzio di tanti secoli, caduto in disuso come vocabolo, ne è conseguito la perdita totale della sua vera pronuncia. L'avversione per l'utilizzo del Nome con la voce era in un primo periodo rafforzata dalla posizione adottata dal terzo comandamento, in quanto non solo vieta la falsa testimonianza e la bestemmia, ma anche la pronuncia indiscriminata e con leggerezza del Santo Nome nella conversazione comune; e le conclusioni del caso in Levitico 24, 11-16, dove il peccato dell'uomo è considerato non solo nel suo bestemmiare il Nome, ma anche nel pronunciarlo. Vedi nel punto i Targumim.
Levitico 24: 11-16 JPS - 11 E il figlio della donna israelita bestemmiò il Nome, e lo maledisse; ed essi lo portarono a Mosè. E il nome di sua madre era Shelomith, la figlia di Dibri, della tribù di Dan. 12 E lo misero in prigione, affinché potesse essere detta a loro (la sentenza) dalla bocca del Signore. 13 E il Signore parlò a Mosè, dicendo: 14 «Porta quel bestemmiatore fuori dell'accampamento; e tutti coloro che hanno udito posino le mani sul suo capo, e tutta la comunità lo lapidi. 15 E parlerai ai figli d'Israele, dicendo: «Chiunque maledirà il suo Dio porterà il suo peccato. 16 E colui che bestemmia il Nome del Signore, costui dovrà essere messo a morte; tutta la comunità lo dovrà lapidare; così lo straniero, come il nativo della terra, quando bestemmierà il Nome, sarà messo a morte»».
Targum - E il figlio di una donna, una figlia d'Israele, che però era il figlio di un uomo Mizraita, uscì tra i figli d'Israele; e il figlio della donna israelita e un uomo, un figlio di Israele, ebbero una contesa nell'accampamento. E il figlio della donna, una figlia di Israele imprecò verso il Nome. * E lo condussero da Mosheh. E il nome di sua madre era Shelomith, la figlia di Dibri, della tribù di Dan. E lo legarono nella casa di reclusione, fino a che non fosse data loro una spiegazione dal decreto della Parola del Signore. E il Signore parlò con Mosheh, dicendo: «Fa' uscire colui che ha imprecato fuori dell'accampamento, e tutti coloro che hanno ascoltato mettano le mani sul suo capo, e tutta la comunità lo lapidi. E tu parla con i figli d'Israele, dicendo: «Chiunque ha imprecato davanti al suo Dio porterà la sua colpa, e chi pronuncia (così) il Nome del Signore, costui deve morire, e tutta la comunità lo dovrà lapidare, come dunque lo straniero anche il nativo che è nato (fra voi); quando egli avrà fatto un'espressione (blasfema) del Nome, sarà messo a morte.
(* Maledire = Dichiarare di essere odioso e ripugnante; denunciare. Sentire disgusto per; aborrire. Arcaico. Per richiamare una maledizione su)
L'influenza di questo sentimento si è dimostrato nell'abitudine di astenersi dall'uso comune del Nome, tranne che nel culto, e nei saluti pii (Berakoth, III 5.); e quindi di limitare l'espressione di Esso alle labbra del sacerdote nel servizio religioso. Così, nel pronunciare la benedizione tripla, (Nm. 6) il sacerdote "potrebbe rendere espressione del Nome secondo la sua scrittura." ( Shem hammephorash ki-kethabo -Talmud, Sotah, VII 6;.. Tamid, VII 2.) Quando il sommo sacerdote lo pronunciava nel servizio del giorno dell'espiazione, il popolo cadeva prostrato a terra. (Mishna, Yoma, VI. 2.) In modo che fino a quel momento il suo uso non è stato assolutamente vietato, ma solo l'abuso. Ma l'esagerazione del sentimento ha portato finalmente alla cessazione definitiva dell'uso stesso. Dopo il tempo del sommo sacerdote Shemeon Hazaddik, ha smesso di essere pronunciato. E' stato ascoltato nel tempio per l'ultima volta dalla sua bocca. D'ora in avanti chi avesse tentato di pronunciarlo non avrebbe avuto alcuna parte nel mondo a venire. ( Sinedrio, X 1.) La conseguenza è stata un oblio della ortoepia (corretta pronuncia) del Nome, non solo nel suo suono per via orale, ma nella sua vocalizzazione grammaticale; un difetto che ha causato non poco imbarazzo alla composizione precisa ed importazione della denominazione. Le quattro consonanti antiche rimangono, come un simbolo immutabile dell'Essere Divino; ma il modo in cui vengono vocalizzate, dalla natura peculiare della lingua ebraica, modificherà notevolmente il significato. E forse nessun nome è stato sottoposto a tanti esperimenti per tanto tempo come quello sacro davanti a noi, per i quali le seguenti modalità di espressione sono state considerate come: -YeHeVeH, YeHVeH, Yahveh, YaHaVaH, YaHaVeH, Yehovah. Dopo questi cesseremo stupirci delle diversità nelle forme di etnia greca e altri del Nome; come Aia, Iao, Iabe, Ieuo, Dios, Jovis , e Jova.
Ma in mezzo a tutte queste variazioni per quanto riguarda il modo in cui dovrebbe essere sillabato, il vero significato del Nome non è stato seriamente oscurato. La base com'è di certo, è nel verbo ebraico hayah , "essere"; un verbo di cui ci sono due forme, hayah e Havah , quest'ultimo è il più antico. E' quella che compare nel nome Jehovah; una circostanza che dovrebbe essere presa in considerazione in sede di esame, una delle domande del giorno sull'antichità del Nome.
Ora, del passato remoto hayah o Havah , "Egli Fu", la terza persona futura, maschile, è Yihyeh o Yihveh , "Egli Sarà"; una forma del verbo che dà certamente quella del titolo YHVH. Da questo punto di vista, come affermazione della futura esistenza, reputa di esprimersi, nella terza persona, "Sarà"; ciò che l'Onnipotente ha affermato di se stesso (Es. 3, 14) in prima persona, Ehyeh , "Io sarò". Ma il Futuro dell'esistenza qui proclamato non è quello di chi sarà solo in futuro; è l'esistenza permanente di un Essere che è ora, e che è sempre stato. Poiché la forma Yihveh è ritenuta equivalente a Ye-Havah , il prefisso del futuro in combinazione con la radice del passato remoto, per indicare la permanenza di Colui che è sempre esistito. Colui che Era ed E', Egli è Colui che Sarà. La punteggiatura del Nome come Yehovah è un tentativo di esprimere la pienezza di questa verità, in aggiunta ai tre elementi del verbo "essere". Così Yehe , "Lui sarà", "Hoveh", "Egli è"; "Havah", "Era". Così nell'Apocalisse la Divinità è chiamata come Ho en, kai ho su, kai ho erchomenos (Ap. 4, 8), "Colui che era, che è, e che deve venire", o "per essere, ancora"; in ebraico, Hu haveh, Hu hoveh, vehu yehveh. Da qui il nome Yehovah è sempre stato considerato come il titolo peculiare e incomunicabile dell'Essere che è auto-esistente, a tutto sufficiente, e immutabile. Nel Tetragramma v'è una concentrazione di tutti gli attributi divini; perché Colui che è l'auto-esistente deve essere autosufficiente, e quindi infinitamente benedetto, benevolo, e giusto; onnisciente, perché spirituale nella Sua natura, e ovunque presente, come esistente in assoluto; senza limiti di potenza come in presenza; immutabile, che abita l'eternità.
I Masoreti scandirono il nome Yehovah con le vocali di Adonai . Ma quando i due titoli, Yehovah e Adonai, si verificano nella Bibbia in accostamento, il primo è indicato con le vocali di Elohim .
Gli autori della versione dei Settanta, sotto l'influenza del sentimento palestinese per quanto riguarda il Santo Nome, non danno un'espressione letterale, ma lo rendono con Ho Kurios , "il Signore"; e Yehovah Elohim con Kurios Ho Theos . La vecchia versione siriaca per Yehovah impiega il titolo Morio, "il Signore". I siriani considerano questo nome con le sue quattro lettere MRIA corrispondenti al Tetragramma ebraico, יהוה; e con le stesse lettere come le iniziali di parole simboliche della natura divina; il primo, M , in piedi per morutho , "dominio"; la seconda, R , per rabutho , "maestà", o "grandezza"; il terzo e quarto, I, A , per aithutho , "essere essenziale." Morio , "Il Signore," si distingue dalla forma comune di Mar , "un signore", e non viene mai utilizzato, ma come appellativo della Divinità. Nei Targumim caldei Yehovah è sempre espresso da Yeya .
III. Eheyeh asher Eheyeh. Esodo 3, 14: "Dio disse a Mosè: «IO SONO COLUI CHE SONO. Così dirai ai figli d'Israele, IO SONO mi ha mandato a voi»". 15: "E Dio disse ancora a Mosè: « Così dirai ai figli d'Israele, Jehovah Dio dei vostri Padri mi ha mandato a voi Questo è il Mio Nome per sempre, e questo è il Mio Memoriale per tutte le generazioni»". Si vedrà che il Signore (Jehovah) nel quindicesimo versetto viene usato come sinonimo di Eheyeh Asher Eheyeh nel quattordicesimo; e che in quest'ultimo titolo può essere trovata l'interpretazione divina della precedente. Grammaticalmente Eheyeh è la prima persona singolare del futuro di hayah , "era," - "Io Sarò": ma alcuni buoni teologi ebraici credono che la parola, come è stata utilizzata qui, sia costituita dal passato hayah , "era", con il prefisso della prima persona א, iniziale e rappresentativa del pronome Anochi, I -א-היה e-heyeh ; come se Egli avesse detto: "Io sono colui che era"; o, "Io, Colui che sono stato, Sono Colui che È". Questo, quindi, come il Tetragramma, è un nome incomunicabile dell'immutabile, perché Auto-Esistente Uno; o, come Maimonide interpreta le parole divine "l'Essere che è l'Essere, cioè, un Essere che deve necessariamente Essere; perché ciò che esiste come necessario doveva esistere sempre" E nello stesso senso l'esposizione proposta dal teologo metafisico, il rabbino Joseph Albo: "Io Sono la Causa del Mio Essere, e la Causa Prima di tutti gli altri: perché ogni altro essere è non perché è, ma perché Io Sono. "
L'Onnipotente ha fatto qui questo annuncio della sua immutabilità, per dare maggiore tensione al Suo scopo ora rivelato di liberare Israele dalla schiavitù, e per riscattarli nella libertà del suo popolo. "Io Sono per sempre, e quindi sono in grado di soddisfare le Mie promesse." Quindi, nel sesto capitolo dell'Esodo, il Nome dell'Immutabile, dell'Eterno, anche se conosciuto già in modo imperfetto dai patriarchi, è ora conosciuto per la prima volta come quello del DIO ALLEANZA di Israele, i cui scopi, anche se richiedono la fine di secoli e millenni per il loro pieno sviluppo, sono gli scopi di Uno per il quale migliaia di anni sono come un giorno.
La versione dei Settanta traduce Eheyeh con, Ego eimi ho On , "Io sono l'Esistente". Onkelos lascia l'ebraico non tradotto; ma il Targum palestinese tenta una parafrasi: "Colui che parlò, e il mondo fu, che parlò, e tutte le cose furono. Ed egli disse: «Questo dirai ai figli d'Israele, Io Sono Colui che Sono e che Sarà, mi ha mandato a voi». Il Targum di Gerusalemme ha, - "E la Parola del Signore disse a Mosheh: «Colui che disse al mondo, Sia, e Sarà, e che dirà ad esso, Sia, e Sarà», mi ha detto: «Così tu dirai ai figli d'Israele: «Eheyeh mi ha mandato a voi»».
IV. El Shaddai. (Gn. 17, 1) Ci sono due principali opinioni sul terreno e sul significato di questo nome. Uno, che è derivato dal sostantivo dai , "pienezza" o "abbondanza", e, in combinazione con il prefisso personale
sh (l'abbreviazione di Asher , "che"), denota la completa sufficienza di Dio, El sh'dai . Ma la derivazione più in generale accettata lo fa derivare da shad, "potere", "forza", soprattutto ciò che è distruggente ( shadad ), irresistibile, come l'uragano, o la marea montante del mare. El Shaddai è "Dio Onnipotente", "l'Onnipotente". Shaddai è il pluralis majestatis ; e nella maggior parte dei testi in cui si verifica è senza dubbio giustamente reso con "l'Onnipotente". La Settanta traduce talvolta con Theos (Gn. 49, 25); talvolta con Ho Ikanos , "il sufficiente" (Rut 1, 20-21); ma più comunemente con Pantokrator , "l'Onnipotente". Onkelos conserva l'ebraico; il siriaco ha El Shaddai Aloha ; e la versione Samaritana, in Genesi 17, 1, Anah Chiulah Sapukah , "Io sono l'Eccelso, il Sufficiente '' Si può osservare che la prima rivelazione di questo nome ad Abramo è unito con un comando a camminare davanti a Dio e ad essere perfetto, un comando a cui l'umanità caduta può obbedire solo per la grazia efficace dell'Essere a Tutto-sufficiente che la dà. Confronta Isaia 40, 28-31.
V. Adonai, "Il Signore" (Gn. 15, 8); viene da dun , "per giudicare", e così esprime il dominio rettorale di Dio, o da Adon (eden esplicito ), "una base", "fondamento"; un titolo di Reggitore Divino e quindi Titolare e Signore di tutta la creazione. [In Dt. 32, 4 Dio è chiamato Ha Tsur , "la roccia", come il fondamento e la forza del creato esistente.] La forma Adonai è considerata il pluralis excellentiae . Essa deve essere distinta da Adoni , "mio signore", il titolo comune dato ad un superiore.
VI. Helton o Elyon, l'Altissimo; da Halah o Alah , "salire" o "eccellere": il Grande Supremo, Dio su tutti. Genesi 14, 22: El Helyon koneh shammayim vaa-arets "Dio l'Altissimo, padrone dei cieli e della terra" Onkelos, El Illaah. Jonathan, Eloha Illaha. Versione Samaritana "Il Più Potente". Settanta, upsistos, Altissimus .
Nota. Memra da Yeya. Anche se questa designazione, peculiare dei Targumim Caldei, non può essere classificata con i nomi divini come indicato nelle Scritture Ebraiche, ma come viene spesso utilizzata nelle parafrasi come un equivalente per alcuni di loro, che non dovrebbe essere omessa nel presente sommario. Abbiamo già offerto alcune osservazioni su di essa nell'Introduzione; e solo aggiungerei qui un breve supplemento, in modo di dare una più chiara definizione e più forte conferma alla dottrina ivi menzionata.
Il termine Memra viene utilizzato in una varietà di accezioni. E' ciò che i grammatici chiamano verbum polusemon , "una parola dai diversi significati." 1. Memra ha il senso di una mera parola articolata o una dichiarazione parlata. In questi casi in generale è necessario l'aleph finale: MEMR "una parola," Sermo, oratio , come pithgama o milla in caldeo. 2. E' utilizzato con l'importazione di un pronome enfatico. Così, MEMRI , "la mia parola," equivale a "Io stesso"; memreka , "Io e te stesso"; memrieh , "lui stesso". Esempio: "C'è un patto fra me e te". Kayema bein memri uvein memrika . Così Genesi 26, 3: "Io sarò con te." Targum: Ve yehe memri be sahduk : "E la Mia Parola", cioè, Io Stesso, "sarò il tuo aiuto." 3. Come un appellativo personale, intensificando l'idea della personalità. È allora Memra da Yeya , "la Parola del Signore", cioè, il Signore Egli stesso. Esodo 19, 17: "E Mosè fece uscire il popolo per incontrarsi con Dio". Targum: Likdamoth Memra da Yeya, " Per incontrarsi con la Parola del Signore." Così Esodo 3, 11, 12, 14; Genesi 1, 27, 28, 21.
Ma, 4. - e qui sta il punto in questione, Viene utilizzato, affermiamo, non solo come un nome proprio, - e qui è il punto in questione - Ma, 4. ma come il Nome proprio di una Persona nella Divinità, come distinto da un altro, in modo da indicare in una qualche misura la percezione del mistero da parte del Targumista di una sussistenza personale della natura divina, che è Dio con Dio, una seconda persona nell'Essere ancora indivisa dell'Unico Jehovah. Come prova possiamo addurre i seguenti esempi.
(1) Genesi 16, 7: testo ebraico: "E l'Angelo del Signore la trovò presso una sorgente d'acqua nel deserto ... Ed egli disse: «Hagar, da dove vieni, e dove stai andando?». E lei rispose: «Io fuggo dalla faccia della mia padrona». E l'Angelo del Signore le disse: «Ritorna ... io moltiplicherò la tua discendenza, che non sarà più contata per la sua moltitudine ...» Ed ella chiamò il Nome di Jehovah che parlava con lei, Tu Dio mi vedesti: perché disse: «Anche qui ho visto da dietro Colui che mi vede?» Perciò il pozzo è stato chiamato Beer laharoi, un pozzo del Vivente che mi vede? ".
Targum della Palestina: "E l'Angelo del Signore la trovò alla sorgente delle acque nel deserto ... Ed egli disse: «Hagar, ... da dove vieni, e dove tu vai?». E lei disse: «Dal davanti alla mia padrona io sto fuggendo». E l'Angelo del Signore le disse: «Ritorna ... Io moltiplicherò i tuoi figli, e non potranno essere contati per moltitudine ... e lei rese grazie al Signore, il cui Memra parlò a lei, ed ella così disse: «Tu sei Colui che vive e Sei Eterno, che vedi, ma non Ti si vede»: perché ella disse: «Qui si è rivelata la gloria della Shekinah del Signore, dopo una visione» ". [Targum di Gerusalemme: "Hagar rese grazie e pregò nel Nome del Memra del Signore, che si era manifestato a lei, dicendo: «Benedetto sei Tu, Eloha, il Vivente dell'Eternità, che hai guardato la mia umiliazione» .. . Per questo ha chiamato il pozzo, "Il pozzo in cui si è rivelato il Vivente e l'Eterno""]
Qui Hagar vede Dio, e il Memra, in unità. Ma nel Memra vede l'Angelo del Signore, cioè Colui che è inviato. Una persona non può essere descritta come l'inviato di se stesso: ma Dio manda il Memra: il Memra pertanto è Dio, ma Dio in una seconda personalità.
(2.) Esodo 33, 21: "E il Signore disse: «Ecco, c'è un luogo vicino a Me, e tu starai in piedi su una roccia. E avverrà, che mentre la Mia Gloria ti passerà vicino, che Io ti metterò in una fenditura della roccia e ti coprirò con la Mia mano, mentre Io passerò»".
Targum Palestinese : "Tu starai sulla roccia: e avverrà che, quando la Gloria della Mia Shekinah passerà davanti a te, Io ti metterò in una caverna della roccia, ed Io ti metterò in ombra con Mio Memra, fino al momento in cui Io sarò passato". La distinzione qui è semplice. Il Memra adombra Mosè mentre Jehovah passa.
(3.) Numeri 23, 4: testo ebraico: "E Dio incontrò Bileam." Targum Palestinese .: "E il Memra dalla presenza del Signore incontrò Bileam." Cfr. Onkelos nel punto e al margine.
(4.) Dell'angelo che il Signore promette a Mosè (Esodo 23, 20) di inviare al popolo per essere la loro guida e proteggerli attraverso il deserto, Egli dice: "Ascoltatelo, e ubbidite alla sua voce: ... perché il Mio Nome è in lui: "ki Shemi bekirbo," quia Nomen Meum in interiori ejus est "; e quindi alcuni dei Rabbini identificano l'Angelo con Shaddai. Vedi Jarchi in loco. In questa prospettiva, "Il Mio Nome è in lui," è equivalente a "La Mia Natura o Essenza è in lui." Egli è l'Angelo Divino; Malak habberith , "l'Angelo dell'Alleanza"; Malak haggoel , "l'Angelo del Redentore". Ma nei Targumim questo Angelo è identificato con il Memra. Così, in Deuteronomio 31, 6, Mosè, riferendosi alla promessa della guida celeste, ordina agli israeliti di gettare via ogni timore dei loro nemici; dove il Targum dice: "Non temerli: perché il Memra del Signore tuo Dio sarà la guida davanti a te." E in Giosuè 5, 14-15, l'Essere che aveva l'aspetto di un uomo, come Egli parlò con il comandante ebraico, la cui presenza rese il terreno su cui si trovava "terra santa", disse a lui (in accordo con il Targum): "Io sono l'Angelo inviato dalla presenza di Dio ... e Jehoshua cadde sopra la sua faccia, e adorò." "Questo Angelo", dice Mosè Ben Nachman, "è l'Angelo Redentore, del quale sta scritto: "Perché il Mio Nome è in lui." Egli è l'Angelo che disse a Jakob: "Io sono il Dio di Betel"; Egli è Colui del quale è detto: "Dio chiamò Mosè dal roveto."... poiché sta scritto: " Jehovah ci ha portato su facendoci uscire dall'Egitto", e altrove: "ha mandato il suo angelo, e ci ha fatti uscire dall'Egitto". Anche in questo caso è scritto: "E l'Angelo della Sua Presenza li salvò"; questo Angelo, vale a dire, che è la Presenza di Dio, di cui si dice: "La Mia Presenza verrà con te e Io ti darò riposo." Infine, questo è l'Angelo di cui il profeta dice: "Quello che cercate è venuto improvvisamente al Suo tempio, anche l'Angelo dell'Alleanza che voi sospirate"". Nel brano citato qui dal rabbino, da Isaia 63, 8-9, il Targum di Jonathan ben Uzziel identifica l'Angelo con il Memra, inviato per redimere e salvare. Il commento di Filone è altrettanto notevole: "Dio, come il Pastore e Re, conduce tutte le cose secondo la legge e la giustizia, che ha stabilito su di loro" ton Orthon autou, protogonon uion , "La Sua vera Parola (e) Figlio Unigenito, che, come il Viceré del gran Re, protegge e serve per questo sacro gregge poiché è detto: «Ecco, Io sono: Io manderò il Mio Angelo davanti a te per guidarti nella via ". (De Agricult., Opp., I., 308.)
Prendendo in considerazione questi passaggi, sembra difficile giungere a qualsiasi altra conclusione oltre a quella della dottrina del Targum su questo argomento, la quale è la stessa di quella di San Giovanni: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio ". Onkelos e Jonathan ben Uzziel sono testimoni di una tale fede esistente nei tempi pre-apostolici; e Filone di Alessandria, quando discorre con una tale ampiezza sul Logos, non scrive come un mero filosofo platonico, ma come credente nella tradizionale teologia dei suoi predecessori. Il germe di questo articolo della loro fede essi lo hanno trovato nelle loro Scritture canoniche.
Tratto da: http://juchre.org/